francesco2
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venerdì 4 settembre 2009
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postmoderno?
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Il cinema italiano non è "Postmoderno"(Tranne in pochi casi, alcuni disastrosi, come "Nirvana"), ma neanche questo film lo è.Meglio "Lèon", che non è assolutamente "Nikita", ma che si fa preferire a questa storia(?) di ricostruzione, che mescola il melò, qualche punto dell'"Odio" di Kassovoitz o "Lontano,lontano" di Techné, a parte i già citato "Postmoderno".Film che fa spettacolo, commuove(?), ma non va molto in profondità.Personaggi abbozzati, pochi tocchi di originalità(Tra cui la storia con la Dalle, che secondo me così sta meglio), finale forse non molto credibile e giocato tutto sula bravura degl attori.Come spesso avviene al film, del resto.
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croewsdreamer
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domenica 1 gennaio 2006
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mah
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sì, leggere le due recensioni che mi precedono è utile per capire che è un film "da dettagli" ma che (ahimè, bisogna ammetterlo) è un po' povero di trama. Capisco che in questo caso era necessario perchè la tecnica del regista si esprimesse, ma devo ammettere che in qualche punto il montaggio sembra restare appeso a se stesso. E poi, lasciatemelo dire, quella canzone che canta la protagonista è davvero inascoltabile!
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(di francesco2)
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enoc
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mercoledì 1 giugno 2005
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clean vs junkie
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"Clean", pulito, è il contrario di "junkie", tossico. Non è soltanto questione di droga, ma, soprattutto, di immagini. Come è possibile ripulire il corpo (filmico) dai veleni sintetici, dai fumi industriali, dalle reti imprigionanti di una dipendenza fisica ed economica? Come è possibile riconsegnare il cinema alla sua purezza visiva, alla sua libertà narrativa, alla sua indipendenza? Questi i quesiti che interessano davvero Olivier Assayas. Sotto, e dentro, la storia di Emily (una Maggie Cheung frastornante), vedova eroinomane che cerca di disintossicarsi per recuperare il piccolo Jay, spinge un’altra urgenza: quella di liberare il cinema dalle regole ammorbanti dell’industria dello spettacolo e restituirlo allo scavo limpido, cristallino dei sentimenti.
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"Clean", pulito, è il contrario di "junkie", tossico. Non è soltanto questione di droga, ma, soprattutto, di immagini. Come è possibile ripulire il corpo (filmico) dai veleni sintetici, dai fumi industriali, dalle reti imprigionanti di una dipendenza fisica ed economica? Come è possibile riconsegnare il cinema alla sua purezza visiva, alla sua libertà narrativa, alla sua indipendenza? Questi i quesiti che interessano davvero Olivier Assayas. Sotto, e dentro, la storia di Emily (una Maggie Cheung frastornante), vedova eroinomane che cerca di disintossicarsi per recuperare il piccolo Jay, spinge un’altra urgenza: quella di liberare il cinema dalle regole ammorbanti dell’industria dello spettacolo e restituirlo allo scavo limpido, cristallino dei sentimenti. Il cineasta francese ci riesce alla perfezione. Gira con un’eleganza figurativa ed una padronanza dei tempi drammatici da stordimento. Riduce le riprese in continuità ed i piani sequenza, sue cifre stilistiche, frammentando l’azione e concentrandosi sui dettagli marginali, particolari leggermente decentrati che illuminano il senso della situazione con chiarezza folgorante. Spalleggiato dal direttore della fotografia Eric Gautier, dà vita ad un universo visivo straordinariamente mobile, pulsante, capace di aderire simbioticamente all’orizzonte esistenziale dei personaggi come di allontanarsi improvvisamente dai loro corpi, dipingendo squarci di disperante estraneità. Filma i dialoghi declinando lo schema del campo/controcampo con una sensibilità stupefacente, riuscendo ad entrare immancabilmente nelle pieghe emotive del momento e a scavare con sofferta lucidità nelle cicatrici interiori dei caratteri. E riceve da Nick Nolte, nei panni di Albrecht, una tra le più intense, profonde e toccanti interpretazioni attoriali che abbiano mai impressionato una pellicola. Il cinema è di nuovo puro. Clean.
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(di francesco2)
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ken falco
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mercoledì 1 giugno 2005
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ignobile
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Io mi sono addormentato, adoro i film che ruotano nel mondo di droghe e storie annesse ma sono rimasto molto deluso.
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