writer58
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domenica 2 giugno 2019
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el primer deseo
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E' un impasto di malinconia, consapevolezza della fragilità del presente, ricordi rimossi e ritrovati, stanchezza di vivere, primi desideri e slanci creativi questo "Dolor y Gloria", ultima opera di Almodovar. La narrazione si dipana come un tessuto morbido, come un flusso di immagini che sgorgano una dall'altra con leggerezza e misura, mescolando i flash back degli anni '60 con un'attualità segnata da sterilità creativa, isolamento, dolori continui, una china discendente che appare ormai irreversibile.
E' facile identificare nel protagonista del film - il regista Salvador Mallo da tempo improduttivo e tormentato da un malessere psico-fisico fortemente invalidante- una proiezione dello stesso Almodovar: entrambi hanno studiato da bambini in scuole gestite da religiosi, hanno raggiunto il successo negli anni '80, sono dichiaratamente gay, sperimentano un rapporto ambivalente con la propria madre e hanno sviluppato la loro carriera a Madrid, diventando poi stelle del cinema internazionale.
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E' un impasto di malinconia, consapevolezza della fragilità del presente, ricordi rimossi e ritrovati, stanchezza di vivere, primi desideri e slanci creativi questo "Dolor y Gloria", ultima opera di Almodovar. La narrazione si dipana come un tessuto morbido, come un flusso di immagini che sgorgano una dall'altra con leggerezza e misura, mescolando i flash back degli anni '60 con un'attualità segnata da sterilità creativa, isolamento, dolori continui, una china discendente che appare ormai irreversibile.
E' facile identificare nel protagonista del film - il regista Salvador Mallo da tempo improduttivo e tormentato da un malessere psico-fisico fortemente invalidante- una proiezione dello stesso Almodovar: entrambi hanno studiato da bambini in scuole gestite da religiosi, hanno raggiunto il successo negli anni '80, sono dichiaratamente gay, sperimentano un rapporto ambivalente con la propria madre e hanno sviluppato la loro carriera a Madrid, diventando poi stelle del cinema internazionale. Tuttavia, l'analogia diventa più interessante proprio perché è imperfetta e giocata nel rapporto tra passato e presente, come se il regista, nella sua rappresentazione, si fosse allontanato da una prospettiva autobiografica per narrare una vicenda che tocca la vita di tanti.
Salvador ha almeno 60 anni, da tempo non produce film, è in preda a una deriva che pare inarrestabile e definitiva. Vive in una grande casa-museo a Madrid, accudito da una manager che sembra un membro della famiglia, medita un suicidio che non mette in atto per mancanza di energia, ha scritto dei testi e delle sceneggiature di valore che giacciono sepolti nel suo hard disk. Un elemento casuale -la cineteca di Madrid lo invita a presenziare alla visione di un suo film degli anni '80 restaurato- lo induce a cercare il protagonista dell'opera -intitolata Sabor- che non vede da 30 anni. I due sono in pessimi rapporti, ma il loro incontro provocherà una serie di eventi tra di loro concatenati che produrrà cambiamenti insospettabili...
I rapporti tra passato e presente sono illustrati da flash back dai colori chiari e accesi che ci mostrano Salvador bambino in un villaggio della Spagna rurale franchista, intento a divorare libri, mentre sua madre (un'eccellente Penelope Cruz) cerca di rendere abitabile una grotta che costituisce la loro dimora. I flash back assumeranno un significato particolare nello scioglimento del film, in omaggio a una gestione non lineare dei tempi narrativi.
Le interpretazioni dei protagonisti sono magnifiche: da quella di Salvador (interpretato da un bravissimo Antonio Banderas, una delle sue migliori performance), a quella di Etxeandia, nel ruolo di Alberto, il protagonista del film di Salvador, splendido nel monologo teatrale tratto da un testo autobiografico del protagonista. Ma occorre segnalare anche Sbaraglia che tratteggia con misura e tenerezza Federico, ex compagno del regista riapparso dopo 30 anni di assenza.
"Dolor y Gloria" è un film che parla del tempo che passa, dei solchi che crea nella mente e nel corpo di ciascuno, della necessità di fare i conti col passato per ricostruire il proprio presente. Lo fa con una leggerezza stilistica impressionante, a compimento di una parabola ormai più che trentennale, partita dalla movida madrilena e dal melodramma trasgressivo, passata attaverso una maturazione stilistica e sociale per approdare a una dimensione introspettiva di grande rilevanza e trascendenza. Una dimensione che non rinnega le tematiche fondanti del cinema almodovariano (passione, sentimenti, trasgressioni, comunità LGBT, rapporti ambivalenti con la figura materna), ma le rivisita con una nuova consapevolezza.
Il fulcro di tutto il cinema dell'autore è la nozione di desiderio. dal primo desiderio di un bambino all'investimento creativo di un anziano che ritrova la voglia di rappresentare la propria arte, la propria visione del mondo, a partire dal momento preciso in cui irrompe con forza sconvolgente "el primer deseo".
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daniela montanari
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domenica 19 maggio 2019
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prima che sia tardi
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amAlTRAMA DOLOR Y GLORIA:
Molto attesa, torna per noi sul grande schermo Almodóvar dove un credibile Banderas veste i panni di Salvador Mallo (Antonio Banderas)I Il regista rappresentanto nel film, verso il suo tramonto professionale dovuto più a dolori (fisici e dell'anima) che all'età, annaspa nella sua tenera fanciullezza alla ricerca di amore, di conferme, di forza. E li trova. Li trova per disperazione, per non aggrapparsi a ciò che più gli fa male (dipendere così tanto dal dolore), per l'amore intriso di dolore verso la madre, questa figura ancora così presente nella sua vita.
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amAlTRAMA DOLOR Y GLORIA:
Molto attesa, torna per noi sul grande schermo Almodóvar dove un credibile Banderas veste i panni di Salvador Mallo (Antonio Banderas)I Il regista rappresentanto nel film, verso il suo tramonto professionale dovuto più a dolori (fisici e dell'anima) che all'età, annaspa nella sua tenera fanciullezza alla ricerca di amore, di conferme, di forza. E li trova. Li trova per disperazione, per non aggrapparsi a ciò che più gli fa male (dipendere così tanto dal dolore), per l'amore intriso di dolore verso la madre, questa figura ancora così presente nella sua vita.
Dolor Y Gloria reca con sè anche alcuni bellissimi colpi di regia: un Banderas completamente sott'acqua ringiovanito improvvisamente come fossero liquidi amniotici quelli in cui si abbandona dopo un intervento, il dolore che cammina, il dolore che appare con due braccia due gambe e una testa, la luce abbacinante del sud della Spagna, e per la maggior parte del film, tutte scene girate all'interno. All'interno perfino del protagonista attraverso giochi di colore, tavole cromatice, simboli, tavole di anatomia comparata, il disegnarsi delle emozioni.
Proprio dopo aver deciso di non aver più le forze per rimettersi dietro la macchina da presa, Salvador Mallo (che con tutta probabilità veste i panni di Almodóvar stesso ) grazie al suo talento, alla sua forza interiore e, ancora, grazie alla sua sempre presente manager, torna a vivere, filmare, dirigere, fare cinema.
Non sento di dilungarmi in esternazioni abusate tipo "finalmente Almodóvar è tornato Pedro", nessuno di noi può tornare ad essere chi è già stato. Piuttosto, forse, il nostro amato regista eclettico ha trovato ancora una volta, un nuovo modo per raccontare l'amore e la vita, la salute e la malattia, la forza e il disinganno: Dolor y Gloria.
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vanessa zarastro
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giovedě 30 maggio 2019
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confessioni
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Francamente non riesco a condividere pienamente il grande entusiasmo con il quale è stato accolto l’ultimo film di Pedro Almodòvar, con l’esclusionr Natalia Aspesi che, cattivissima, così scrive: «Due buone parole per Almodòvar, perché non puoi ferire i bisognosi di cure mediche e psichiatriche…».
Ma non è tanto nella storia-confessione che ricorda, dove sono ricucite insieme parti di vita dello stesso autore, ma è proprio nel modo di fare cinema di Amodòvar che il film mi ha convinto poco. Infatti, “Dolor y Gloria” è un film molto statico che sembra quasi una sommatoria di fotogrammi.
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Francamente non riesco a condividere pienamente il grande entusiasmo con il quale è stato accolto l’ultimo film di Pedro Almodòvar, con l’esclusionr Natalia Aspesi che, cattivissima, così scrive: «Due buone parole per Almodòvar, perché non puoi ferire i bisognosi di cure mediche e psichiatriche…».
Ma non è tanto nella storia-confessione che ricorda, dove sono ricucite insieme parti di vita dello stesso autore, ma è proprio nel modo di fare cinema di Amodòvar che il film mi ha convinto poco. Infatti, “Dolor y Gloria” è un film molto statico che sembra quasi una sommatoria di fotogrammi. Questa modalità, che mi sta bene in Wes Anderson (“I Tenenbau” del 2001) che è uno sperimentatore di generi, mi va meno bene in Almodòvar, specialmente in questo film che è sostanzialmente un monologo sulla sua vita (o una lunga seduta di psicoanalisi, scrive qualcuno). Il tono del film è melanconico e poetico, però proprio per la sua staticità un pochino noioso e, onestamente, una tac in meno gli avrebbe giovato.
Salvador Mallo (una specie di anagramma), alter-ego di Almodòvar nel film, è un regista sulla soglia della sessantina in depressione e in crisi creativa. Non riesce più a scrivere sceneggiature né tantomeno a girare delle riprese, riesce solo a scrivere brevemente di sé, più come sfogo con se stesso che come proposta inventiva. Sta quasi sempre in casa, esce pochissimo, evita gli incontri mondani e rifiuta gli inviti. L’unica persona che sente e vede regolarmente è la sua manager Mercedes (Nora Navas), che si prende cura di lui. Pieno di acciacchi fisici, veri o presunti, passa da un medico all’altro, accompagnato dall’accudente manager, che gli prescrivono tutta una serie variegata di medicine. Ma chi di noi che ha superato i sessant’anni non ne prende tutta una serie giornaliera?
Salvador sente una grande nostalgia degli anni ’80 del secolo scorso, di un’epoca post franchista dove la gioia della libertà - e il piacere della trasgressione - erano diventati la sua ridondante cifra stilistica. La cineteca ha acquisito “Sabor” il suo vecchio film di successo di trent’anni prima: lui lo rivede e gli piace di più oggi che allora. Lo invitano a presentarlo insieme all’attore principale Alberto Crespo (uno splendido Asier Etxeandia) che Salvador si mette a ricercare dopo così tanti anni e molte aspre critiche. Dal loro incontro i poi, Salvator inizia un uso di droghe pesanti, eroina fumata, dopo che per anni aveva sempre lottato contro la droga, cercando anche di salvare dalla dipendenza Fernando, il suo grande amore della vita, amato e perduto trent’anni prima.
Così tra una fumata e una sbobba di medicine mischiate, contro i “mali astratti” e quelli concreti, il film presenta tutta una serie di flashback che riguardano la sua infanzia, il rapporto quasi morboso con la madre Jacinta, e l’assenza del padre.
Al film non manca nulla: gli attori sono tutti eccezionali a cominciare dalla immancabile Penelope Cruz, musa dei suoi film, allo stesso Banderas di cui la critica segnala alla sua migliore interpretazione. La fotografia è molto bella. I luoghi sono tutti interni – a parte la prima scena del bucato nel fiume - e la grotta ( i “sassi” di Paterna vicino Valencia) sembra essere un “utero materno”, con il delizioso il rivestimento di scampoli di maioliche che Eduardo (César Vincente), il giovane muratore-artista, inserisce come collage della propria storia. Eduardo piace molto a Salvador (forse anche a sua madre…) che gli insegna a leggere e a scrivere, lo definisce come il suo primo desiderio sessuale, in un età in cui non c’è stato ancora lo scoppio degli ormoni, ma sono presenti i primi turbamenti.
Lo stravagante appartamento in cui vive Salvador è la fedele ricostruzione della casa del regista, con quadri ad altezza d’uomo nell’ingresso, e colori forti molto “spagnoli”. Più discutibile sono le scelte di vestiario, ma è proprio così che si veste il regista, e poco credibili sono i vestiti a fiorellini e le espadrillas della Cruz che, poverissima, deve andare a cucire la domenica per arrotondare lo stipendio.
Il pezzo più bello del film, a mio avviso, è l’interpretazione teatrale one-man-show di Alberto nel teatrino off, dove recita il testo – un’auto-fiction letteraria - scritto da Salvador Mello, che vuole invece restare anonimo. Lì è perfetto perché è proprio teatro, giustamente bidimensionale, e l‘attore il più del tempo è immobile, seduto su una sedia con uno schermo dietro. È l’unica parte in cui non c’è l’onnipresente volto stralunato in primo piano di Antonio Banderas, con cui ha vinto il premio a Cannes 2019. Il ruolo di Mercedes, raccontata come una sorta di vestale, è quello che invece mi è piaciuto meno, troppo poco messo in evidenza, forse una donna che né Salvator né Pedro vedono a tutto tondo.
Il film si conclude con una rinascita creativa che fa sperare i critici ed entusiasmare i più appassionati del regista spagnolo.
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angelo umana
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giovedě 25 luglio 2019
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come sinfonia - dolcemente
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“Un tempo forse non lontano qualcuno mi diceva t'amo” è la frase di una bellissima canzone, “Sognando” di Don Backy. In essa si parla della pazzia, nel film invece si tratta della stasi esistenziale di un regista 60enne (Antonio Banderas alias Salvador) che non riesce più a scrivere o sceneggiare alcun lavoro. E' affetto da ipocondria e malanni veri e immaginari, vive un tempo che non gli permette di agire e creare, di svogliatezza, lassismo, quasi una non vita. E' solo e ricco, accompagnato da una collaboratrice domestica (di colore, tanto per differenziarla dal padroncino) e da una specie di press-agent che si prende cura di lui, nelle iniziative mondano-lavorative e nell'animo.
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“Un tempo forse non lontano qualcuno mi diceva t'amo” è la frase di una bellissima canzone, “Sognando” di Don Backy. In essa si parla della pazzia, nel film invece si tratta della stasi esistenziale di un regista 60enne (Antonio Banderas alias Salvador) che non riesce più a scrivere o sceneggiare alcun lavoro. E' affetto da ipocondria e malanni veri e immaginari, vive un tempo che non gli permette di agire e creare, di svogliatezza, lassismo, quasi una non vita. E' solo e ricco, accompagnato da una collaboratrice domestica (di colore, tanto per differenziarla dal padroncino) e da una specie di press-agent che si prende cura di lui, nelle iniziative mondano-lavorative e nell'animo. Qualcosa impara, a drogarsi per esempio, lo apprende per mezzo di un attore che ha diretto 32 anni prima e che rivede perché vengono invitati entrambi a parlare di quel film a un cineforum. Ed allora qualcosa lo fa risorgere: sono i suoi ricordi di bambino, di una mamma tanto dolce (Penelope Cruz), amorevole nell'abbracciarlo, a riprova che l'essere voluti bene – o il ricordo dell'esserlo stati – possono azionare le energie di un uomo in qualche fase problematica della vita, l'esser voluti bene dà sicurezza, benzina per agire, fiducia in sé. Quei ricordi gli sono serviti per riannodare i fili della sua vita, si è come ritrovato.
Fanno parte di quel tempo gli anni che passò con La Mala Educaciòn dei preti, per studiare allora si andava in seminario (esperienza comune a tanti, anche perciò ora mancano le vocazioni...). I preti gli facevano passare le classi pure senza studiare, era apprezzato per il suo canto. Così dice ora, il regista Salvador, che la geografia la apprese viaggiando poi col suo lavoro, l'anatomia pure, la imparò osservando i corpi degli attori e ci fa una grande rivelazione: da quell'incultura maturata da ragazzo scelse di diventare regista! Fu chiaro già allora però che il cinema era la sua vocazione, e amava leggere. Chiede alla mamma, in uno dei numerosi flash-back che ne mostrano l'infanzia, se secondo lei nel “pueblo” dove si sarebbero trasferiti avessero il cinema.
Un film altamente autobiografico, è la vita di Almodòvar, una vita come un film. Come in tutti i suoi film c'è il vissuto, le emozioni (qui abbastanza pacate), sono “carnali” di forme e colori umani, basta ripensare ai suoi titoli: Lègami, Tacchi a spillo, Carne tremula, La pelle che abito … Il film nel film, di 32 anni prima, si chiamava non a caso Sabor, fà pensare che egli abbia cercato e gustato il piacere, e bene ha fatto! Si vede qui, in Dolor y Gloria, il momento in cui ancora bambino gli nacque el primer deseo:svenne alla vista di un uomo nudo. Piccolo cameo da citare: nella colonna sonora è contenuta “Come sinfonia” di Mina, una canzone del 1961 in un film del 2019, tributo a qualcosa d'italiano!
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cinlarella
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lunedě 20 maggio 2019
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autentico, potente, vero.
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Non c’č nulla di eclatante, di clamoroso in Amor y Gloria. E’ semplicemente una storia, raccontata con essenzialitŕ. La storia di un uomo che ha conosciuto la morte e la rinascita. E’ una storia che potrebbe essere la storia di tanti. E’un film coraggioso, forse il piů coraggioso di Almodovar, perché l’autore si mette a nudo facendoci entrare nella sua intimitŕ: la fatica di viviere, l’infanzia, la scoperta dell’omosessualitŕ, la lacerazione per la perdita della madre, un amore lontano che ha lasciato una traccia indelebile. C’č il piacere di raccontare e di raccontarsi, perché il dolore, se lo si supera rende piů forti e aperti alla vita. E fa venir voglia di condividere. Antonio Banderas č credibile nei panni del protagonista (Salvador Mallo, regista e alter-ego di Almodovar).
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Non c’č nulla di eclatante, di clamoroso in Amor y Gloria. E’ semplicemente una storia, raccontata con essenzialitŕ. La storia di un uomo che ha conosciuto la morte e la rinascita. E’ una storia che potrebbe essere la storia di tanti. E’un film coraggioso, forse il piů coraggioso di Almodovar, perché l’autore si mette a nudo facendoci entrare nella sua intimitŕ: la fatica di viviere, l’infanzia, la scoperta dell’omosessualitŕ, la lacerazione per la perdita della madre, un amore lontano che ha lasciato una traccia indelebile. C’č il piacere di raccontare e di raccontarsi, perché il dolore, se lo si supera rende piů forti e aperti alla vita. E fa venir voglia di condividere. Antonio Banderas č credibile nei panni del protagonista (Salvador Mallo, regista e alter-ego di Almodovar). Appare invecchiato, imbruttito, provato dalla sofferenza fisica e psichica, senza alcuno stimolo. La cineteca di Madrid gli propone una serata per celebrare il restauro di un suo vecchio film. Questo sarŕ il pretesto per riallacciare i rapporti con l’attore protagonista (Alberto Crespo), dopo 32 anni di silenzio. Salvador inizia a rivivere i momenti salienti della propria esistenza, in un mix di passato e presente in cui l’eroina funge da collante. La dipendenza, cosě si chiama il monologo che Salvador regala ad Alberto per risarcirlo dei torti da lui subiti. Dipendenza dall’eroina, abitudine assai diffusa nella Madrid anni 80, e che e’ costata a Salvador la fine della storia con Federico. Perché a volte l’amore non basta. Ma il destino chiude il cerchio, facendoli riconoscere e incontrare nuovamente e portando i due ad un chiarimento insperato quanto desiderato. E il fato farŕ ricongiungere altri fili, riportando alla memoria sensazioni, visi, legami, apparentemente sopiti, ma mai cancellati. Un film non cambia, cambiano gli occhi di chi lo guarda dice Cecilia Roth all’inizio di Dolor y Gloria. Cosě gli eventi vissuti, l’esperienza fatta, cambiando il modo di giudicare le situazioni passate, facendocele vedere con sguardi nuovi, spesso piů benevoli. Ognuno conosce le proprie cadute e ripartenze. E chi ne ha vissute troverŕ questo Almodovar autentico, potente e vero.
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robert eroica
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domenica 19 maggio 2019
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dolor y gloria
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Salvador Mello (Banderas) è un regista cinematografico afflitto da diversi problemi fisici che gli impediscono di tornare a lavorare sul set. Invitato dalla Cineteca di Madrid per presentare un suo vecchio classico, coglie l’occasione per fare la pace con il protagonista di quella pellicola, l’attore Alberto Crespo (Etxenia) che non rivede da oltre un trentennio. E grazie a lui ritroverà un suo antico amore di gioventù, Federico (Sbaraglia) che ora vive lontano ed è tornato nella capitale per un numero limitato di giorni e che è rimasto commosso dalla rappresentazione che di lui è stata fatta nel monologo “La dipendenza”, portata a teatro da Alberto.
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Salvador Mello (Banderas) è un regista cinematografico afflitto da diversi problemi fisici che gli impediscono di tornare a lavorare sul set. Invitato dalla Cineteca di Madrid per presentare un suo vecchio classico, coglie l’occasione per fare la pace con il protagonista di quella pellicola, l’attore Alberto Crespo (Etxenia) che non rivede da oltre un trentennio. E grazie a lui ritroverà un suo antico amore di gioventù, Federico (Sbaraglia) che ora vive lontano ed è tornato nella capitale per un numero limitato di giorni e che è rimasto commosso dalla rappresentazione che di lui è stata fatta nel monologo “La dipendenza”, portata a teatro da Alberto. Solo la morte interrompe le cose, sembra dirci Pedro Almodovar in questo ventiduesimo lungometraggio, presentato in concorso al Festival di Cannes e che appare come una delle sue opere più sincere, pacate e in fin dei conti più serene. Quella che sembrerebbe una sorta di autobiografia per immagini, un 8 ½ madrileno, con il flusso di coscienza che diviene il motore della vicenda, è al contempo un fare i conti col proprio corpo (e a me è venuto in mente l’ultimo episodio di Caro diario di Nanni Moretti, anche quella una confessione, e un disegnare per parole) e con lo scorrere del tempo che passa sulle rughe sempre più presenti e con la consapevolezza che nella vita di ognuno tutto si tiene, il furore e la rabbia possono divenire dapprima tolleranza e poi comprensione, l’amore e la passione il piacere e la gioia di stare insieme. Non ci sono battute né sguaiatezze nel film, non un movimento di macchina che dimostri un’abilità particolare di regia. Ma traspare ad ogni immagine un calore umano che non può non commuovere, anche grazie ad una prova attoriale superba (non si sa chi sia meglio tra Banderas, Etxenia, Sbaraglia e la straordinaria Julieta Serrano nel ruolo della madre di Salvador, una delle muse di Almodovar) che non si otterrebbe se non si credesse davvero a quello che si fa. Almodovar non ha mai vinto Leoni o Palme e il suo cinema non è mai apparso a chi scrive davvero folgorante e necessario. Ma questo è un film senza pelle, che si offre nudo allo spettatore. Come si fa a non premiarlo ?
Voto: 9
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ralphscott
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sabato 25 maggio 2019
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quella collezione di vasi...
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Quella collezione di vasi,ovviamente coloratissimi,i quadri surrealisti e metafisici,il mobilio di design (toh,c'è pure la macchina da caffè Smeg),un museo di fedeli,amati oggetti per Salvador: mentre le persone amate sono scomparse da anni,il nido del regista ne è diventato un succedaneo,per quanto sia possibile. Quando il passato ritorna,scopriamo qualcosa di decisamente più interessante:gli anni dell'infanzia,la madre - una Cruz stupenda - e la presenza determinante di tante donne,la passione per il cinema. Che gioia l'album di figurine (la battuta su Robert e Liz Taylor va ricordata)! Questo è quanto mi piace del film. Sono sinceramente stufo della droga,qui co-protagonista,che mi stava bene quando rievocava gli anni '80 a Madrid,ma diventa ingombrante nell'attualità.
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Quella collezione di vasi,ovviamente coloratissimi,i quadri surrealisti e metafisici,il mobilio di design (toh,c'è pure la macchina da caffè Smeg),un museo di fedeli,amati oggetti per Salvador: mentre le persone amate sono scomparse da anni,il nido del regista ne è diventato un succedaneo,per quanto sia possibile. Quando il passato ritorna,scopriamo qualcosa di decisamente più interessante:gli anni dell'infanzia,la madre - una Cruz stupenda - e la presenza determinante di tante donne,la passione per il cinema. Che gioia l'album di figurine (la battuta su Robert e Liz Taylor va ricordata)! Questo è quanto mi piace del film. Sono sinceramente stufo della droga,qui co-protagonista,che mi stava bene quando rievocava gli anni '80 a Madrid,ma diventa ingombrante nell'attualità. Banderas si "cala" convintamente ed efficacemente nella parte e i suoi amanti reggono pienamente la scena;stupenda la scena del ricongiungimento e,forse,nuovo addio,con Leonardo Sbaraglia,il grande amore di Salvador. Triste vedere come si è modificata Cecilia Cruz,se si riesce a riconoscerla,dopo i fasti del "Tutto su mia madre" di venti anni fa',esatti. Quest'ultima fatica del regista castigliano chiude,ad ora,un percorso che da diversi anni ormai ha privilegiato il dramma perdendo l'ironia di un tempo,che pure piaceva tanto. Sono film innegabilmente marchiati,trionfo di colori - qui si ammirano,in particolare,i titoli di testa e le incursioni nelle pagine di anatomia dei dolori del mattacchione,pieno di acciacchi - ma ormai il contrasto tra la vibrante confezione e la deriva dello spirito è fortissimo.
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felicity
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venerdě 13 marzo 2020
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la catarsi di almodovar con un immenso banderas
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La storia di un uomo che, per colpa del dolore, è arrivato a muoversi il meno possibile, per non sentire dolore ha rinunciato a vivere.
Una storia di fantasia che affronta problemi reali: i dolori sono quelli veri del regista e la vera causa della fatica a fare bene il proprio lavoro negli ultimi anni, la depressione che hanno portato anche.
Gli intrecci del film invece sono inventati e sono quelli del suo cinema, romanzeschi e clamorosi, sempre esplicitamente finti, da film, ma terribilmente sentimentali.
Dolor y Gloria è privo delle scene madri tipiche di Almodovar, ha una quieta forza sentimentale, perfetta per raccontare le passioni di un uomo ormai anziano.
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La storia di un uomo che, per colpa del dolore, è arrivato a muoversi il meno possibile, per non sentire dolore ha rinunciato a vivere.
Una storia di fantasia che affronta problemi reali: i dolori sono quelli veri del regista e la vera causa della fatica a fare bene il proprio lavoro negli ultimi anni, la depressione che hanno portato anche.
Gli intrecci del film invece sono inventati e sono quelli del suo cinema, romanzeschi e clamorosi, sempre esplicitamente finti, da film, ma terribilmente sentimentali.
Dolor y Gloria è privo delle scene madri tipiche di Almodovar, ha una quieta forza sentimentale, perfetta per raccontare le passioni di un uomo ormai anziano. E tutto quello che così perde in apice lo guadagna in profondità.
Dolor y gloria è una seduta psicoanalitica e un diario di memorie e Pedro Almodóvar tramuta le più intime delle esperienze in fertile terreno riguardante noi tutti.
È un campo esperienziale che il regista presenta con esemplare chiarezza: nonostante sia quella del protagonista una ricognizione di anni e anni di vita vissuta, pochi sono i personaggi che ci vengono mostrati, pochi gli ambienti e pochi anche trucchi ed effetti scenici rispetto ad altri suoi film del passato.
Un film capace di avvolgerci, abbracciarci, invaderci, commuoverci e curarci con discrezione.
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psicosara
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lunedě 23 marzo 2020
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"d" come dolore e gloria dalla a alla z!
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Dolor y gloria”, ventiduesimo film di Pedro Almodóvar presentato in concorso al Festival di Cannes 2019 è forse l’opera più autobiografica del regista madrileno. Come lui stesso ha dichiarato: “Tutti i miei film mi rappresentano. È vero che questo mi rappresenta di più…”
Il regista (anche sceneggiatore e produttore cinematografico) che era diventato famoso in tutto il mondo raccontando le donne, per la prima volta ci parla di sé, lasciandosi andare sul piano emotivo, raccontando la sua vita, ma anche e soprattutto il proprio malessere.
Dolor y Gloriaè uno dei suoi rari film con al centro un uomo, e per essere precisi sé stesso.
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Dolor y gloria”, ventiduesimo film di Pedro Almodóvar presentato in concorso al Festival di Cannes 2019 è forse l’opera più autobiografica del regista madrileno. Come lui stesso ha dichiarato: “Tutti i miei film mi rappresentano. È vero che questo mi rappresenta di più…”
Il regista (anche sceneggiatore e produttore cinematografico) che era diventato famoso in tutto il mondo raccontando le donne, per la prima volta ci parla di sé, lasciandosi andare sul piano emotivo, raccontando la sua vita, ma anche e soprattutto il proprio malessere.
Dolor y Gloriaè uno dei suoi rari film con al centro un uomo, e per essere precisi sé stesso.
E’ l’opera con cui l’autore, con sincerità e spudoratezza mette in scena autobiograficamente la sua vita, con l'aiuto del giusto alter ego.
Il giusto alter ego è Antonio Banderas, (premiato a Cannes per la Migliore interpretazione maschile) che interpreta Salvador Mallo un regista cinematografico che ha avuto molto successo nella sua vita, ma che da lungo tempo non scrive e non progetta più.
Dolor y Gloriaracconta più di cinquant’anni della vita del regista Salvador Mallo: da quando, giovanissimo, cantava solista nel coro della scuola, alla scoperta delle sue prime pulsioni sessuali, a quando era un brillante giovane che nella scrittura e nella produzione artistica trovava la sua salvezza, fino ad arrivare all’uomo adulto (ma pur sempre figlio), pieno di malanni (fisici e psicologici) e terapie fin troppo analgesiche (anche a base di eroina).
Salvador Malloha il volto di Banderas ma è in tutto e per tutto Almodóvar: i due si assomigliano come due gocce d’acqua: stessa malinconia nello sguardo, camicie coloratissime, capelli dritti in testa, i mille dolori fisici e mentali acuiti dall'età. Ma non solo: la casa in cui vive Salvador riproduce la vera casa del regista cha ha fatto costruire per il film un set identico al proprio appartamento, a Madrid di fronte al Parque del Oeste, in qualche caso completando la scenografia con alcuni oggetti provenienti da casa sua. I quadri, appartengono quasi tutti alla sua collezione.
A ricreare la casa di Almodovar-Mallo è Antxon Gómez production designer già autore delle scenografie di Tutto su mia madre, La mala educación, Parla con lei e Carne Tremula.
In ogni ambiente, in ogni tempo e in ogni spazio il colore è tutto, come da sempre lo è in tutta la sua filmografia.
L’esigenza di rappresentare così vivacemente i colori (che nel regista fu preponderante nel dopo-dittatura, della Spagna) torna spesso in questo film; torna il Rosso, colore di passioni sanguigne, che rimanda alla terra di Spagna, mediterranea, vivace, con la sua musica ed i suoi profumi.
I luoghi di Dolor y Gloria sono diversi: mentre il presente (di Mallo) si sviluppa quasi tutto in ambienti interni, (la bella dimora, gli studi medici, l’abitacolo dell’auto), il passato è solare, all’aperto, non oppressivo persino nella casa-grotta di Paterna, illuminata da un lucernario, dal quale è comunque possibile osservare il cielo e sognare un futuro.
La Locandina del film – intrigante ed innovativa - presenta il cast praticamente al completo, come in un collage di fotografie: un collage che va a rappresentare un unico filo conduttore che è poi la vita intera del regista. La memoria è dunque il tema fondamentale: la memoria della madre, la memoria dell'amico perduto, la memoria di se stessi da bambini, la memoria della propria carriera, anche quando si invecchia e il meglio sembra perduto. Presente e passato che si tendono la mano.
Al centro di questo collage, c’è il titolo del film: “dolor Y gloria”, scritto in blu ed in minuscolo. La gloria in effetti è tacitata nel film, è una gloria che allude ad un periodo d’oro ma che in effetti non ce lo mostra mai. E’ un vano ricordo. Il regista non ha alcuna intenzione di parlarne.
Lo si capisce bene dalla scena in cui il regista e il protagonista di un vecchio film restaurato, “Sabor”, non si presentano alla proiezione, dando vita tra l’altro ad una esilarante conferenza stampa telefonica…
Alberto Crespoe Salvador Mallo non vanno a prendersi la gloria.
L’attenzione del regista si sofferma in tutto il film più sul dolor che sulla gloria. C'è un passaggio bellissimo in Dolor Y Gloria in cui Banderas/Mallo elenca tutti i dolori che lo affliggono. E’ il dolore fisico incessante che perseguita Almodovar ormai da anni. Il regista è preda di acciacchi d'età ma anche di una moltitudine di patologie croniche, che vengono esposte senza vergogna nel suo film più personale e intimo.
Il colore della scritta rimanda al colore del mare. E non a caso l’incipit del film (così come il trailer) si apre con una scena ‘sommersa’: si vede Antonio Banderas (nei panni di Salvador), sott’acqua che sta meditando o ricordando, oppure sta solo restituendo un po’ di pace al suo corpo dolorante: sott’acqua, non sente il peso dei suoi affanni, non sente dolore, non sente niente.
Ma ricorda. E’ come se l’assoluto silenzio del sott’acqua e l’assenza di gravità aiutasse i ricordi a venire a galla. Torna il filo conduttore della memoria, la memoria sott’acqua, nel mare dei ricordi, e torna il valore simbolico dell’acqua, come ritorno alle origini.
John Fitzgerald Kennedydisse a tal proposito: “Siamo legati all'oceano. E quando torniamo al mare, sia per navigarci che per guardarlo, torniamo da dove siamo venuti.”
Nella Locandina, come dicevamo, si osservano tutti i volti della memoria del regista Almodovar-Mallo: e qui possiamo cogliere un interessante parallelismo della Locandina con il progetto che sta a monte del film: per Dolor y Gloria il regista spagnolo ha radunato attorno a sé tutti i suoi collaboratori più cari: non parlo soltanto dei suoi attori feticcio (l’amico Banderas e la sua Musa Penelope Cruz).
Pedro ha voluto omaggiare Mina (da sempre una sua passione): è sua la voce che apre il trailer, con l’interpretazione di “Come sinfonia” firmata da Pino Donaggio nel 1961.
Sempre restando nella musica, il compositore spagnolo Alberto Iglesias ha composto tutte le musiche di questo film e di molti altri precedenti.
Per non parlare di Juan Gatti, da sempre grafico di fiducia di Pedro e autore di alcune delle più belle locandine dei film del regista madrileno. Gatti firma grafica e animazione del film, disegnando i titoli di testa di questo film semplici e magnetici, anche in questo caso basati su colori accesi e cangianti.
La scelta del regista di portare a sé le persone più care per raccontare la sua vita è quanto di più comprensibile e umano ci sia: quando ci si mette a nudo così profondamente, tenti di farlo in territorio amico, tra persone che hanno dimostrato in passato di conoscerti e accettarti per quello che sei. Perché non è facile parlare di sé dinanzi a milioni di persone raccontando il proprio periodo di dipendenza dall'eroina così come lo stretto legame con una figura materna (la cui perdita ancora si fa sentire in profondità), senza sentirsi circondati da figure di riferimento.
E’ la prima volta che accade che tutti i protagonisti del film siano presenti nella Locandina del film stesso. E’ giusto dunque rendere conto di ogni bellissimo volto: Antonio Banderas, attore prediletto dal regista fin dagli Ottanta è all’ottava collaborazione col regista (Labirintodi passioni, Matador (1986), La legge del desiderio (1987), Donne sull'orlo di una crisi di nervi (1988), Legami! (1990), La Pelle che abito (2011), e di nuovo nel 2013 con Gli Amanti passeggeri).
Penélope Cruz, alla quale il regista fa il dono di farle indossare i panni della madre Jacinta (da giovane). La vediamo sorridente in riva a un ruscello intenta a lavare i panni senza mai smettere di sorridere e di cantare.
Julieta Serranointerpreta Jacinta da anziana, santa cattolica e apostolica come la Spagna, la madre che si preoccupa di dare indicazioni a Salvador su come vuole lasciare la vita terrena (nel suo paese di origine), regala il suo rosario al figlio non prima di avergli ricordato di non essere stato un buon figlio.
Asier Etxeandía interpretaAlberto Crespo protagonista sia del “film-nel-film” Sabor, del 1987 (causa del litigio con Salvador) sia di un monologo teatrale autobiografico “Adicción” (dipendenza) molto bello che invece segnerà la riconciliazione tra i due. In quel monologo, che per Alberto Crespo diventa arma di riscatto professionale, è contenuta anche la doppia dipendenza, dalla scrittura e dalla droga, dei due giovani amanti che ne sono protagonisti, Salvador e Federico, quest’ultimo interpretato da Leonardo Sbaraglia.
Nora Navasanche se brevemente, interpreta il ruolo indovinato e calzante dell’assistente/accudente Mercedes.
César Vicenteè l’ultima straordinaria scoperta di Pedro Almodovar, che ha scovato questo giovane sconosciuto e l’ha voluto nel suo cast. Césarinterpreta Eduardo un giovane imbianchino con la passione per la pittura che ha l’unica colpa di essere di una bellezza disarmante. Almodóvar, in questo, credo sia l’unico a riuscire a scovare la forte caratterizzazione di certi volti, che sono bellissimi anche quando lievemente imperfetti (l’esempio più eclatante è l’attrice Rossy de Palma ed il suo caratteristico e naso sgraziato).
Nel caso di César, non bastano i denti imperfetti, a rendere meno eccezionale un volto, se hai due occhi ipnotici.
Eduardoè bello, evidentemente troppo bello agli occhi di Salvador bambino, che lo guarda fare una doccia e sviene! Ed è così che il regista decide di raccontare il sorgere dei primi desideri nell’orizzonte dell’omosessualità.
Personalmente credo che Dolor y Gloria sia il miglior film di Pedro Almodóvar. Per vari motivi: l’alto senso dell’estetica che pervade l’intero film, per quanto è intimo e profondo, per i colori, per la fotografia (di José Luis Alcaine) e la scelta degli attori.
Per il suggerimento che il cinema e la scrittura siano l’unica terapia per dimenticare l’indimenticabile.
“Si scrive per dimenticare il contenuto di ciò che si è scritto” dice Salvador Mallo in un momento del film. E in fondo Salvador è un artista che ha dato senso alla sua vita attraverso la scrittura e il cinema.
Il bisogno di scrivere, di narrare, è il bisogno di fermare le cose. Per archiviarle sostanzialmente.
Per chi come me ha amato ‘il primo’ Almodóvar degli eccessi e della provocazione, questo film - figlio di una maturità artistica conclamata - segna il ritorno alle origini con lo sguardo della maturità.
Non toglie nulla al personaggio ma aggiunge alla persona. Completa l’immagine del regista/uomo.
E’ un invito a considerare che si può mutare pelle più volte, restando sempre fedeli a se stessi.
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simona proietti
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domenica 19 maggio 2019
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introspettivo, senza slancio
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Sostanzialmente è un film ordinario, senza picchi, senza slanci, un po' spento, compassato. Tutti i film di Almodovar hanno tali caratteristiche, ma in questa opera completamente autobiografica, si avverte fin troppo la lentezza di una vita (la sua) vissuta tra le mura domestiche, per i troppi malanni: faringite cronica, dolori articolari, spossatezza, depressione. Almodovar evidentemente è prigioniero di se stesso, dei suoi dolori epigastrici, ipocondriaco quanto debilitato, sia fisicamente che psicologicamente. L'unica patologia vera è la disfagia (difficolta a deglutire il cibo) causata da un osteosarcoma, un accrescimento anomalo di un osso del collo. Banderas impersona in ogni movenza Almodovar: è pettinato come lui, appare ingrassato, spento, lento nei movimenti, sornione ma dallo sguardo lucido.
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Sostanzialmente è un film ordinario, senza picchi, senza slanci, un po' spento, compassato. Tutti i film di Almodovar hanno tali caratteristiche, ma in questa opera completamente autobiografica, si avverte fin troppo la lentezza di una vita (la sua) vissuta tra le mura domestiche, per i troppi malanni: faringite cronica, dolori articolari, spossatezza, depressione. Almodovar evidentemente è prigioniero di se stesso, dei suoi dolori epigastrici, ipocondriaco quanto debilitato, sia fisicamente che psicologicamente. L'unica patologia vera è la disfagia (difficolta a deglutire il cibo) causata da un osteosarcoma, un accrescimento anomalo di un osso del collo. Banderas impersona in ogni movenza Almodovar: è pettinato come lui, appare ingrassato, spento, lento nei movimenti, sornione ma dallo sguardo lucido. Salvador/Pedro è il riflesso l'uno dell'altro: non si riesce bene a capire dove finisce l'uno e dove comincia l'altro, a tal punto che la conclusione del film è proprio un film. Succede spesso che le sue pellicole finiscano così (vedi La Mala Educacion), ovvero inquadrando il backstege con la telecamera o in questo caso la microfonista che depone l'asta mentre gli attori si rilassano dopo l'ultimo ciak. Il film DOLOR Y GLORIA che è restato col suo nome spagnolo e non tradotto in italiano è quindi dotato di una grande introspezione psicologica, ma pecca in azione e movimento. Banderas è assolutamente straordinario e si candida senz'altro per la palma d'oro come miglior attore.
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