felicity
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venerdì 3 febbraio 2023
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narcotraffico come profanazione di una cultura
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Oro verde racconta una vicenda che è accaduta realmente ed è di fatto il momento fondativo della lunga storia del narcotraffico colombiano. Ai due registi tuttavia non interessano né la cronaca né la storia, quanto piuttosto il valore antropologico e culturale che la complessa questione del traffico di stupefacenti fra Stati Uniti e America Latina veicola.
A differenza delle storie di narcotraffico che il cinema ci ha raccontato in Oro verde vediamo un microcosmo di criminalità autodistruggersi non a causa del denaro, ma in nome di una tradizione morale e di una memoria millenaria che pur nutrendosi con la superstizione non danno quasi alcun valore dei beni materiali.
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Oro verde racconta una vicenda che è accaduta realmente ed è di fatto il momento fondativo della lunga storia del narcotraffico colombiano. Ai due registi tuttavia non interessano né la cronaca né la storia, quanto piuttosto il valore antropologico e culturale che la complessa questione del traffico di stupefacenti fra Stati Uniti e America Latina veicola.
A differenza delle storie di narcotraffico che il cinema ci ha raccontato in Oro verde vediamo un microcosmo di criminalità autodistruggersi non a causa del denaro, ma in nome di una tradizione morale e di una memoria millenaria che pur nutrendosi con la superstizione non danno quasi alcun valore dei beni materiali. Come se l’illusione stessa di poter giocare allo stesso gioco dei conquistatori sia allo stesso tempo un’inesorabile condanna. La storia ha una chiara valenza simbolica nel vedere la nascita del narcotraffico come la diabolica profanazione di una cultura arcaicamente in simbiosi con il territorio.
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stefano capasso
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venerdì 28 agosto 2020
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identità in pericolo
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Nella Colombia degli anni 60 vivono ancora delle tribù Indiane che riescono a conservare tradizioni ed usanze antiche. Tra gli indios Wayuu c’è una giovane donna, Zaida, che attira le attenzioni di Rapayet, giovane indio disposto a tutto per sposarla. Il commercio della marijuana con i gringos americani diviene così lo strumento grazie al quale Rapayet accumula il denaro sufficiente per comprare la dote per sposare la donna. Ma il commercio si rivela redditizio e diviene una attività sempre più grande, che coinvolge diverse famiglie Wayuu e non solo, finendo per essere causa di un conflitto che porterà alla rovina.
Cristina Gallego e Ciro Guerra raccontano il tramonto di quelle popolazioni originarie del centro America, causato dalla incapacità di gestire un commercio che si rivela essere più grande di loro.
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Nella Colombia degli anni 60 vivono ancora delle tribù Indiane che riescono a conservare tradizioni ed usanze antiche. Tra gli indios Wayuu c’è una giovane donna, Zaida, che attira le attenzioni di Rapayet, giovane indio disposto a tutto per sposarla. Il commercio della marijuana con i gringos americani diviene così lo strumento grazie al quale Rapayet accumula il denaro sufficiente per comprare la dote per sposare la donna. Ma il commercio si rivela redditizio e diviene una attività sempre più grande, che coinvolge diverse famiglie Wayuu e non solo, finendo per essere causa di un conflitto che porterà alla rovina.
Cristina Gallego e Ciro Guerra raccontano il tramonto di quelle popolazioni originarie del centro America, causato dalla incapacità di gestire un commercio che si rivela essere più grande di loro. Stretti tra la necessità di operare secondo le tradizioni e quella di adeguarsi alle regole di un mercato che è imposto dai compratori occidentali, finiscono per cedere un pezzetto alla volta le loro peculiarità. La perdita progressiva dell’identità non viene rimpiazzata in modo efficace da una nuova costruzione sociale ed individuale: spaesati e senza più riferimenti saranno destinati all’estinzione.
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cinefoglio
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sabato 9 novembre 2019
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instax of birds of passage (pájaros de verano)
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The wild dust of the desert meets the sacred blood of Wayuu people. In the north of Colombia, a quiet and isolated place is suddenly converted in a sloughed scenario of ‘matanza’ - murders and 'violencia' are the tools to gain profits and prestige in a changing society.
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The wild dust of the desert meets the sacred blood of Wayuu people. In the north of Colombia, a quiet and isolated place is suddenly converted in a sloughed scenario of ‘matanza’ - murders and 'violencia' are the tools to gain profits and prestige in a changing society.
However, richness and power are not enough: the pursuit of personal revenge across any duty and family boundaries destroys everything it touches.
The story arch takes place in a ‘little’ world where concepts like death and trust are echoes of a centenary tradition now became meaningless - social transformations narrated through the experience of ignorant puppets dominated by instincts more than thoughts.
Birds of passage is a proper epic+gangster movie picturing shelters of rural huts, God-protected messengers and American pick-ups.
Ciro Guerra, internationally known for ‘El Abrazo de la Serpiente’ (2015) together with his wife and producer, Cristina Gallego, have built an accurate Colombian historical drama – a synthesis between ancestor’s roots, trivial relations and criminal drug ‘Cartel’.
The oppression of the arid desert balances the emptiness of the uncloudy sky, element of freedom and future hope, compressed in a proportion of two-third – past time and future outcome, which the first is fastly dying and the second is too painful to emerge where only blind or covered faces might stand in front of it.
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vanessa zarastro
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venerdì 2 agosto 2019
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capitalismo vs culture indigene
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Spesso, grazie alle rassegne estive, si ha modo di vedere film sfuggiti quest’inverno. È il caso di “L’oro verde – C’era una volta in Columbia” del 2018, uscito nelle sale italiane questa primavera e riproposto in un’arena romana.
Attraverso la regia di questo film, i due colombiani Cristina Gallego e Ciro Guerra, parlano di una popolazione dove le donne avevano un’enorme importanza. Nella cultura Wayuu, infatti, è proprio la donna a essere la vera capo-famiglia.
Il film “Pájaros de verano” (uccelli estivi), titolo originale, narra la trasformazione, dagli anni ’60 in poi, di un popolo - gli indiani Wayuu - che ancora vive di pastorizia e di coltivazione della terra.
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Spesso, grazie alle rassegne estive, si ha modo di vedere film sfuggiti quest’inverno. È il caso di “L’oro verde – C’era una volta in Columbia” del 2018, uscito nelle sale italiane questa primavera e riproposto in un’arena romana.
Attraverso la regia di questo film, i due colombiani Cristina Gallego e Ciro Guerra, parlano di una popolazione dove le donne avevano un’enorme importanza. Nella cultura Wayuu, infatti, è proprio la donna a essere la vera capo-famiglia.
Il film “Pájaros de verano” (uccelli estivi), titolo originale, narra la trasformazione, dagli anni ’60 in poi, di un popolo - gli indiani Wayuu - che ancora vive di pastorizia e di coltivazione della terra. Oggi in Colombia questa popolazione, che vive prevalentemente nella Penisola della Guajira, è stimata di circa 140.000 unità e di poco più in Venezuela.
È mostrata la vita di una famiglia Wayuu, con un legame ancestrale con la terra, che osserva il passaggio degli uccelli, e che scorre lenta tra rispetto della tradizione e un insieme di credenze o pratiche rituali proprie delle società antiche, specie quelle legate a culti pagani fondate su presupposti magici e soprannaturali, dove i sogni hanno un’importanza profetica. Inoltre, nella cultura Wayuu esiste il culto dei morti e sono rispettate e protette alcune fasce deboli come quelle degli anziani. I Wayuu si distinguono dagli alijunas, ovvero dagli altri popoli e dalle altre etnie.
La prima parte del film mostra con tempi reali l’iniziazione di Zaida - sotto lo sguardo severo della bellissima capo-famiglia Ursula - che dopo aver passato un mese in isolamento, si lancia in una danza colorata e piuttosto seduttiva, dove è la donna a guidare.
Rapajet è un Wayuu ma è stato cresciuto dagli alijunas, quindi se vuole sposare la bella Zaida dovrà rafforzare la sua identità etnica sottoponendosi a varie prove e portando una bella dote in dono alla famiglia della sposa.
Per affrettare il suo matrimonio, e per ambizione personale, da semplice commerciante di caffè, Rapajet si trasforma in narcotrafficante in un crescendo che porta inevitabilmente con sé un aumento della violenza, anche a causa di un socio sballato. Inizia così vendendo la marijuana ai ragazzi del Peace Corps verso laa fine degli anni Sessanta, e man mano diventa un ricco trafficante internazionale di cocaina scatenando l’odio e le invidie di altri gruppi concorrenti.
Lo scontro fra la cultura Wayuu e il progresso diventa il cuore di una differente e inattesa prospettiva. Ci sarà un’inevitabile evoluzione di dissidio fra i clan, un aumento della corruzione con la conseguente perdita dei valori tradizionali fino ad arrivare allo stesso annientamento della famiglia.
Dal giallo di una capanna nel deserto al bianco di una villa costruita in mezzo al nulla che sembra più una fortezza ma che sarà totalmente distrutta, il film cattura emotivamente lo spettatore conducendolo in un’esperienza sensoriale e forse anche esistenziale. Poi resta solo il nero del fumo nel tramonto mentre le mura che crollano.
Pur prendendo spunto da fatti realmente accaduti, i due registi non son interessati alla cronaca, ma alle conseguenze antropologiche e culturali trasmesse dalla questione del traffico di stupefacenti fra gli Stati Uniti e l’America Latina. La tesi dei registi è quindi che una delle sue ripercussioni è la distruzione di quella piccola parte di popolazioni native che ancora sopravvive nel continente americano.
Il film presenta una struttura narrativa lineare e sintetica quasi da diventare surreale, con un tempo ellittico e ipnotico, ma ben agganciato alla matericità dei corpi, così come aveva già fatto Ciro Guerra in “El abrazo de la serpiente” (2015), che ho avuto modo di recensire. Quel film, altrettanto duro, denuncia le follie umane, i soprusi e le violenze perpetuate da uomini su altri uomini, mostra il potere esercitato sui più deboli: i bianchi in cerca di caucciù sugli indios, il missionario che flagella i bambini orfani, il sedicente Messiah che, esercitando un potere psicologico, costringe gli indios ad autoflagellarsi e a suicidarsi, e così via. Alla fine di “El abrazo de la serpiente”, girato in Amazzonia, viene da chiedersi se sia stato giusto importare in quei luoghi “civiltà” e religioni così avulse dal territorio, invece di rispettare quella sorta d’incantato “genius loci”.
Nel 1998, Cristina Gallego assieme a Ciro Guerra ha fondato Ciudad Lunar che ha prodotto parecchi intensi film diretti da Ciro Guerra come “La sombra del caminante” (2004), “La viajes del vento” (2009), oltre al già citato “El abrazo de la serpiente” (2015), tutto girato in bianco e nero.
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fabio
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giovedì 25 aprile 2019
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la tragedia di un popolo ancestrale
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Strutturato in più atti e con una forte valenza teatrale, il racconto si accosta al modello della tragedia greca. C'è una tribù che vive seguendo le proprie tradizioni: un popolo spirituale in comunione intima con la natura, gli spiriti, il culto i morti. Le donne hanno la capacità di leggere i segni ed interpretare i presagi onirici.
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Strutturato in più atti e con una forte valenza teatrale, il racconto si accosta al modello della tragedia greca. C'è una tribù che vive seguendo le proprie tradizioni: un popolo spirituale in comunione intima con la natura, gli spiriti, il culto i morti. Le donne hanno la capacità di leggere i segni ed interpretare i presagi onirici.
Tutto questo viene spazzato via dalla spirale del traffico di droga; a partire dalla fine degli anni '60 il progressivo coinvolgimento nel traffico di marjuana con l'america trascinerà queste famiglie di pastori e contadini in una spirale di morte.
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fabio
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mercoledì 24 aprile 2019
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la tragedia di un popolo ancestrale
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Strutturato in più atti e con una forte valenza teatrale, il racconto si accosta al modello della tragedia greca. C'è una tribù che vive seguendo le proprie tradizioni: un popolo spirituale in comunione intima con la natura, gli spiriti, il culto i morti. Le donne hanno la capacità di leggere i segni ed interpretare i presagi onirici.
Tutto questo viene spazzato via dalla spirale del traffico di droga; a partire dalla fine degli anni '60 il progressivo coinvolgimento nel traffico di marjuana con l'america trascinerà queste famiglie di pastori e contadini in una spirale di morte.
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maurizio
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lunedì 15 aprile 2019
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piena approvazione
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Film quasi grandioso.Pregio alla fattura altamente artigianale, come non ricordarsi dell'albero degli zoccoli, con maggiore dinamica e spettacolarietà, anche se diversamente non riesce a commuovere, anche nelle scene più drammatiche.Forse è l'intento del regista, lontano da ogni tipo di retorica.
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