riccardo tavani
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lunedì 13 aprile 2015
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due musicisti e un tecno-demiurgo
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L’interesse e la forza di questo film sono nella sua scrupolosa documentazione di un processo artistico musicale che si fa pura tecnica di registrazione, montaggio, mixaggio acustico e rideterminazione, al fine di ottenere un prodotto artificiale perfetto. Tecno-mago di questo sofisticatissimo procedimento elettronico-artistico è Manfred Eicher, il mitico fondatore – nel 1969 – dell’etichetta ECM, Editions of Contemporary Music. Eicher ha studiato musica all’accademia di Berlino, suonava il basso ed è stato anche un cultore del Jazz e del cinema. Un’etichetta, quella della ECM, che si è così impastata sia nella storia della musica che in quella del cinema. Quando Eicher invita o ammette musicisti nel suo esclusivo studio-laboratorio di Lugano, si può stare certi che sono artisti di grado elevato, e che lui vuole ottenere da essi un’opera altrettanto esclusiva. In questo caso i due musicisti sono il trombettista sardo Paolo Fresu e il pianista, bandonenista marchigiano Daniele Di Bonaventura. La prima parte del film monta e dissolve incroci di immagini in movimento che costituiscono il viaggio dei due artisti dai luoghi di provenienza, Olbia e Fermo – dai quali nasce e trae forza la loro musica – all’antro buio, solitario, tecnologicamente incantato di Eicher a Lugano. Durante questo lungo ideale camera car con colonna sonora In Maggiore (che è il titolo del disco, del quale qui si segue la genesi) il processo tecnico di produzione e confezione. Sullo schermo appaiono, in questa fase, cinque righe orizzontali parallele ed equamente distanziate. Poterebbero essere scambiate per dei fili elettrici aerei sospesi sul paesaggio che scorre sullo schermo, ma sono le righe dello spartito musicale. Il regista cerca di trovare una sua cadenza, un suo ritmo di montaggio delle immagini in sintonia con quello musicale. Quando poi vediamo Paolo e Daniele nella caverna del tecno-demiurgo Eicher, la scena si fa raccolta come dentro un luogo sacro, a tenuta acustica, luminosa ed emozionale stagna. C’è solo luce artificiale raccolta in un cerchio sul palco in legno, dentro il quale si racchiudono i nostri due artisti, con strumenti e spartiti. Un grande vetro li separa dalla cabina degli apparati tecnici, dove ci sono solo Manfred e un suo affiatatissimo fonico. Quattro personaggi in tutto che si muovono e parlano al minimo indispensabile, in un teatro di registrazione, vuoto e totalmente insonorizzato. Un vero e proprio laboratorio scientifico. Paolo e Daniele si parlano tra loro per fredde lettere e numeri, indicanti i vari chorus nei quali stabiliscono di alternare o congiungere i loro strumenti. Manfred parla invece quasi solo per ampi gesti della mano e del braccio a indicare l’entrata, l’andamento dei vari spezzoni di registrazione da lui diversamente montati, innestati. L’apparato tecnico sembra alla fine essere sovradeterminante sull’aspetto artistico. Questo non perché gli artistici non ci mettano la bellezza della loro musica e maestria nell’eseguirla, ma perché poi Manfred ne fa altro in sede di cattura acustica e successiva rielaborazione, astrazione tecnica del materiale. Eicher, infatti, la astrae dal suo ambiente originario naturale, la chiude e la sperimenta, la ridetermina, la ri-media, ossia la passa dentro un diverso medium tecnologico, nel suo isolato, sigillato laboratorio scientifico di Lugano. Forse proprio questo andava messo a tema principale del film: l’opera musicale nell’epoca della sua astratta rideterminazione tecnica.
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budellacci
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sabato 18 aprile 2015
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la visione di una creazione
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Un film sulla creazione, un film sulla visione della creazione. In questo film la musica ed il cinema concorrono a porci dinanzi ad un atto creativo. Così come quando andiamo al cinema la luce del proiettore illumina dalle nostre spalle le nostre fantasie, le nostre capacità creative, così questo film illumina le spalle e le nuche dei due musicisti offrendoci il loro atto creativo. Ma al tempo stesso Ferraro ci mostra il cinema nella sua capacità, letteralmente, illuminante. Senza visone non c'è creazione? probabilmenti si, è proprio così, ma la visione non è solo qualcosa che attiene ad un singolo senso, ad un paio di occhi. La visione è un ascolto. Un intero corpo che si protende, si contorce su se stesso, così come si contorcono i due musicisti sui loro strumenti.
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Un film sulla creazione, un film sulla visione della creazione. In questo film la musica ed il cinema concorrono a porci dinanzi ad un atto creativo. Così come quando andiamo al cinema la luce del proiettore illumina dalle nostre spalle le nostre fantasie, le nostre capacità creative, così questo film illumina le spalle e le nuche dei due musicisti offrendoci il loro atto creativo. Ma al tempo stesso Ferraro ci mostra il cinema nella sua capacità, letteralmente, illuminante. Senza visone non c'è creazione? probabilmenti si, è proprio così, ma la visione non è solo qualcosa che attiene ad un singolo senso, ad un paio di occhi. La visione è un ascolto. Un intero corpo che si protende, si contorce su se stesso, così come si contorcono i due musicisti sui loro strumenti. Così come pensiamo e fantastichiamo, si contorce Ferraro mentre si abbassa sulla camera, chiude un occhio per vederci meglio. Un film bellissimo, che mostra senza essere didattico come il cinema possa insegnarci a vedere ed ascoltare; come il cinema sia ancora in grado di farci vedere l'invisibile. Andate al cinema a vedere questo film con i vostri bambini, con le nonne e con le zie, e con i vostri amanti: tornerete ricchi, ricchi di sogni e di poesia. Andate, andate.
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