Un boss in salotto

Mi dispiace per questo critico cinematografico, nonché sceneggiatore Dario Zonta, che non ha capito proprio nulla di questo sorprendente film. Certamente non fa parte di quei film, sedicenti impegnati, che lui tenta di scrivere per un pubblico di pochi eletti. Ma se l’arte deve arrivare alle menti e al cuore di molti, e non parlare ai “muri di velluto”, allora partiamo da questa premessa, perché questo film è la rinascita della commedia italiana, come non si vedeva da anni. Quella stessa commedia che era drammatica, senza cadere nel drammatico. Ho rivisto nella Cortellesi la Anna Magnani e in Papaleo la figura fumettistica, come la definisce lo stesso Zonta, del grande Totò. Argentero, Finocchiaro e Besantini sono state delle grandi spalle.

Torno a ripetere sul dispiacere che ho provato nell’interpretazione che Zonta ha dato del film, perché il tema non è nella contrapposizione Sud-Nord. Carissimo pubblico, questo argomento non centra nulla con il film. Il vero e grande tema affrontato con valente maestria nella sua comicità, ma anche nella sua delicatezza è quello della legalità, e in maniera più intima dell’eterna legge del più forte, che affligge l’uomo. Su tale problematica il grande regista ha fatto emergere tutte le contraddizioni tipiche dell’uomo nella sfida con la vita. In questo ho rivisto tutta la poesia della comicità sordiana.

Un film profondo che smuove le coscienze difronte al concetto dell’etica. Un film nel quale non si capisce più chi è il vero mafioso: se l’imprenditore Manetti o il presunto boss. Memorabile e magniloquente.

Un film dove sono ribaltati certi preconcetti sulla società, nella quale forse un po’ tutti rischiamo di agire da mafiosi. Probabilmente chi ha fatto la fortuna come l’imprenditore Ma-inetti è il più mafioso dei mafiosi. Attualissimo con celature soavi. Un film che mette prepotentemente in discussione il nostro modo di essere, perennemente in competizione, e forse per questo costantemente mafioso. Sublime.

A titolo di cronaca, la scenetta sul gatto è esilarante al punto che tutta la platea è scoppiata a ridere ininterrottamente. Ometto la metafora sul gatto, che ha una sua profondissima significazione storica legata proprio alla giustizia. Mi limito solo a dire che le risate corali del pubblico sono già di per sé un grande risultato per chi scrive un film per qualcuno. Se poi a qualcuno, come Zonta, piace scrivere per nessuno, questa allora è fantascienza.

Maurizio Torelli