Automata

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Un film di Gabe Ibáñez. Con Antonio Banderas, Dylan McDermott, Melanie Griffith, Birgitte Hjort Sørensen, Robert Forster.
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Fantascienza, Ratings: Kids+13, durata 109 min. - Spagna, Bulgaria 2014. - Eagle Pictures uscita giovedì 26 febbraio 2015. MYMONETRO Automata * * 1/2 - - valutazione media: 2,84 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Più potente del continuo...più umano dell'umano Valutazione 3 stelle su cinque

di gianleo67


Feedback: 61377 | altri commenti e recensioni di gianleo67
domenica 21 dicembre 2014

Agente assicurativo al soldo di una compagnia produttrice di robot al servizio di un'umanità rintanata nei malsani agglomerati urbani dopo una catastrofe post-apocalittica causata da violente esplosioni solari che hanno reso inabitabile il pianeta e decimato la popolazione mondiale, deve indagare sullo strano caso di un automa che,contravvenendo al rigido di protocollo di sicurezza integrato nella propria intelligenza positronica, sembra autoripararsi e mostrare segni di un insolito istinto di sopravvivenza. Combattuto tra le responsabilità per la moglie incinta ed il desiderio di fuga verso l'Eden incerto di un Oceano sconosciuto e lontano, dovrà risolvere il suo caso  in una lotta per la sopravvivenza contro gli spietati emissari della sua stessa compagnia decisi a celare le sconvolgenti ricadute di una verità scomoda e inquietante.
Se il naturale pregiudizio verso la serialità prenatalizia di produzioni fantasy ad alto tasso di sentimentalismo e di buoni propositi formato famiglia (la narrazione di una Natività futuribile ben si attaglia al plot ben congegnato di questo film) farebbe storcere il naso a più di qualcuno tra gli 'addetti ai lavori' e non, la visione di questo thriller-fantascientifico post-apocalittico ispano-americano di Gabe Ibáñez ('Hierro' 2009) ne riforma parzialmente le mancate spettative con i sorprendenti risultati di un'adesione neanche tanto originale ai modelli di riferimento ('Blade Runner' ed 'Io Robot' su tutti) che sa tuttavia ritagliarsi l'onesto perimetro di una certa autonomia creativa ed un comparto tecnico all'altezza dei 15 milioni del budget (eccellente la fotografia di Alejandro Martínez). Incrociando l'immaginario dickiano di una promiscua realtà succedanea dove la macchina non solo vive a stretto contatto con l'uomo ma ne rappresenta una sorta di prodotto macro-evolutivo che ambisce alla propria indipendenza con la trasgressione alla rigida logica di un compendio delle Leggi di Asimov (2 è meglio che 3 e non crea grossi problemi di complessità semantica), il film di Ibanez si muove lungo questa transumanza desertica di una fuga erodica del secondo millennio alternando i generi (trhiller sci-fi distopico) con la favoletta morale e mostrandoci come l'immortale spirito di scoperta e di sopravvivenza dell'uomo (ormai confinato in maleodoranti e fatiscenti gabbie metropolitane) si perpetui attraverso la presa di coscienza di una macchina in grado di trascenderne i limiti biologici le meschinità etiche, per riuscire a colonizzare nuovamente quella parte di pianeta resa inospitale dagli stravolgimenti climatici. Tutto già visto e risaputo si dirà, ma per chi è abituato a sparare a zero sulla Croce Rossa forse sarebbe ora di riflettere sulle virtù artigianali e ricombinatorie di un cinema globalizzato che (come gli automi senzienti del film) è in grado di autoreplicare all'infinito se stesso, alternando tematiche e registri diversi e   facendo coesistere credibilmente l'epica western di un finale all'Ok Corral con gli stuggimenti sentimentali dell'apprendistato amoroso di una graziosa meretrice meccanica sulle note immortali di un Charles Trenet riesumato dalle 'Memories' cinefile della Nouvelle Vogue. Nessun capolavoro per carità, ma nonostante gli scimmiottamenti di una visionarietà d'accatto, le compressioni di un plot che sa benissimo dove andare a parare e qualche incongruenza narrativa di troppo, riesce comunque a giustificare con onestà le quasi due ore di pellicola senza dover ricorrere a mirabolanti effetti speciali od a complicate speculazione filosofiche (vade retro Wachowski!). Begli scenari e ottima fotografica, anche se l'apetto trasandato di un improbabile Deckard in versione latina farà rimpiangere il broncio guascone del grande Ford (nome ricorrentemente legato alle 'macchine') aspettate di vedere la faccia stiracchiata di una Melanie Griffith che, a differenza degli automi nel finale del fim, non sembra mai volersi togliere la maschera. Quando si dice più umani degli (almeno di alcuni) umani! 

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