laurence316
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martedì 4 novembre 2014
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secondo, poetico capolavoro di takahata:
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E' il secondo capolavoro del maestro Takahata considerando come primo Una tomba per le lucciole, ma anche non trascurando lo splendido Omohoide poro poro, ed anche l'ennesimo capolavoro dello Studio Ghibli, quasi una summa di tutte le opere precedenti, nonostante l'evidente distanza stilistica. E', infatti, un film d'animazione che si ispira ai tipici dipinti giapponesi (sembra quasi un infinito foglio di pergamena che scorre sullo schermo) e che prende spunto da quello che è considerato uno dei più antichi racconti giapponesei, Taketori Monogatari, risalente al X secolo. Un film di pura poesia, come lo sono la gran parte delle produzioni dello Studio, che accompagna lo spettattore in un viaggio immaginifico, lasciandolo immergere in quelle tavole acquarellate, così meravigliosamente abbozzate, con una splendida colonna sonora e una trama di forte valore simbolico, probabilmente più interessante agli occhi dello spettattore occidentale (ammaliato dalla ricchezza figurativa delle tavole, ma anche dalla storia, commovente e malinconica) che non di quello giapponese, che infatti conoscerà già a memoria l'intera vicenda (cosa che forse ha precluso il successo di pubblico che avrebbe meritato il film), che non manca di appasionare e porta, ovviamente, a simpatizzare per la giovane principessa Kaguya, per tutta la vita costretta a fare quello che le viene imposto, ma che nonostante tutto adora questo mondo e tutta la sua gente (in questo caso si potrebbe anche azzardare un collegamento con un altro maestro del cinema giapponese, Kenji Mizoguchi, che spesso si è dedicato alla condizione della donna nella maschilistica società giapponese).
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E' il secondo capolavoro del maestro Takahata considerando come primo Una tomba per le lucciole, ma anche non trascurando lo splendido Omohoide poro poro, ed anche l'ennesimo capolavoro dello Studio Ghibli, quasi una summa di tutte le opere precedenti, nonostante l'evidente distanza stilistica. E', infatti, un film d'animazione che si ispira ai tipici dipinti giapponesi (sembra quasi un infinito foglio di pergamena che scorre sullo schermo) e che prende spunto da quello che è considerato uno dei più antichi racconti giapponesei, Taketori Monogatari, risalente al X secolo. Un film di pura poesia, come lo sono la gran parte delle produzioni dello Studio, che accompagna lo spettattore in un viaggio immaginifico, lasciandolo immergere in quelle tavole acquarellate, così meravigliosamente abbozzate, con una splendida colonna sonora e una trama di forte valore simbolico, probabilmente più interessante agli occhi dello spettattore occidentale (ammaliato dalla ricchezza figurativa delle tavole, ma anche dalla storia, commovente e malinconica) che non di quello giapponese, che infatti conoscerà già a memoria l'intera vicenda (cosa che forse ha precluso il successo di pubblico che avrebbe meritato il film), che non manca di appasionare e porta, ovviamente, a simpatizzare per la giovane principessa Kaguya, per tutta la vita costretta a fare quello che le viene imposto, ma che nonostante tutto adora questo mondo e tutta la sua gente (in questo caso si potrebbe anche azzardare un collegamento con un altro maestro del cinema giapponese, Kenji Mizoguchi, che spesso si è dedicato alla condizione della donna nella maschilistica società giapponese). Ma La storia della principessa splendente è anche e soprattutto un gioiello di illustrazioni e disegni (ovviamente tutte rigorosamente fatte a mano e in grado di far impallidire qualunque produzione in computer-graphics), un grande affresco del Giappone dell'epoca che si riflette anche però in una riflessione sul presente, un testamento artistico di colui che è uno dei maestri indiscussi dell'animazione giapponese, nonostante troppo spesso nell'ombra di Miyazaki, almeno in Occidente, capace di regalare pochi, ma significativi film. E questo suo ultimo lungometraggio è forse persino più riuscito dell'altro testamento artistico del 2013 per lo Studio Ghibli, Si alza il vento. Insomma, un film più che consigliato, non solo agli appassionati, ma anche a chiunque voglia assistere ad uno spettacolo spiazzante e meraviglioso, poetico e malinconico. Un nuovo, "strano" capolavoro dell'animazione giapponese. E putroppo, dopo l'uscita nel 2014 di Omohide no Marnie, potrebbe anche essere il penultimo film dello Studio, prima di questa ambigua "ristrutturazione" e sospensione dell'attività che forse porterà a non realizzare più film. E alla chiusura di uno dei più importanti studi d'animazione della storia del cinema. Speriamo che così non sarà. Intanto si può solo appassionarsi alla visione di questo bellissimo film, non lasciandosi impressionare dalla lunga durata (insolita per un film d'animazione), il film vola via e in men che non si dica ci si ritroverà già a fissare i titoli di coda. Ammaliati. Come al solito (e fastidiosamente) distribuito in Italia per soli tre giorni, con l'ennesimo "evento esclusivo" al cinema. Ma almeno è finalmente uscito anche qui, più di un anno dopo l'uscita giapponese.
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stefano pariani
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domenica 9 novembre 2014
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un'antica principessa dallo spirito modernissimo
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Un tagliatore di bambù trova nel germoglio di una pianta una minuscola creatura vestita come una principessa, la porta a casa con sé e la piccola si trasforma in una neonata a grandezza naturale, buffa e paffuta. Il tagliabambù e la moglie, senza figli e non più giovani, decidono di crescere la bimba come una figlia. Tempo dopo, l'uomo trova in una canna di bambù dell'oro e successivamente preziosissime stoffe colorate: si convince che la piccola deve essere una creatura divina. La bimba intanto cresce in fretta e fa amicizia con i ragazzi del villaggio, vivendo felice e a stretto contatto con la natura.
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Un tagliatore di bambù trova nel germoglio di una pianta una minuscola creatura vestita come una principessa, la porta a casa con sé e la piccola si trasforma in una neonata a grandezza naturale, buffa e paffuta. Il tagliabambù e la moglie, senza figli e non più giovani, decidono di crescere la bimba come una figlia. Tempo dopo, l'uomo trova in una canna di bambù dell'oro e successivamente preziosissime stoffe colorate: si convince che la piccola deve essere una creatura divina. La bimba intanto cresce in fretta e fa amicizia con i ragazzi del villaggio, vivendo felice e a stretto contatto con la natura. Ma un giorno il tagliatore di bambù decide di trasferirsi in città con la famiglia in un sontuoso palazzo e la piccola viene costretta a crescere come una principessa, educata da un'istitutrice che le insegna le buone maniere, a vestirsi, a scrivere e a suonare. Lontana dalla campagna e dagli amici, soprattutto dal buon Sutemaru, la fanciulla perde la gioia e la spontaneità quotidiana e come se non bastasse un gruppo di maldestri ma ricchissimi spasimanti si presenta a chiederla in sposa. Il regista Isao Takahata (suo lo splendido "Una tomba per le lucciole", 1988), storico collaboratore di Hayao Miyazaki e co-fondatore dello Studio Ghibli, porta sullo schermo un'antichissima fiaba giapponese del X secolo, adattandola perfettamente allo spirito delle produzioni Ghibli. Riprendendo un'idea già sviluppata più di cinquant'anni fa, ma che non si tradusse in film, Takahata realizza un lungometraggio animato di ampio respiro con disegni interamente eseguiti a mano, dai tratti semplici, come realizzati a carboncino, e dai raffinati colori acquerello, vicini all'animazione delle origini. La storia della principessa splendente, strappata alla natura e costretta ad una vita monotona e ad un ruolo che non desidera, è attualissima: il rito del trucco, gli ingombranti vestiti, l'arte della scrittura sono incombenze a cui la giovane si adatta suo malgrado, ma resta viva in lei una luce interiore che è la sua indipendenza, la sua libertà, ancor più sfavillante e viva di fronte a chi la vorrà in sposa. Sfugge infatti alle lusinghe di uomini ricchi, ma ottusi e tronfi, e anche alla volontà del padre, certo buono ma disposto a darla in sposa in nome del prestigio sociale, ribadendo così la forza del suo modernissimo e controcorrente spirito di donna. Il passato e i sentimenti di gioia vissuti a contatto con la natura sono forse perduti per sempre e la principessa può solo riviverli con nostalgia in sogni e fantasie, che spesso si sovrappongono alla realtà. Il film sviluppa temi cari a Miyazaki: la principessa splendente, pur non essendo una guerriera, ha un animo forte come Mononoke ("Principessa Mononoke") e come lei prova un nobile amore per la natura; allo stesso tempo attraversa una fase di crescita e maturazione a contatto col mondo meschino degli adulti, come la piccola Chihiro de "La città incantata" (2001). Similmente a diversi film di Miyazaki il finale è lieto solo in parte; la principessa ribadisce la sua libertà, ma il suo destino è altrove, in una dimensione ultraterrena e distaccata dal mondo, dimentica delle esperienze vissute fra gli uomini. La differenza tra le due realtà è inconciliabile, ma quell'ultimo struggente sguardo rivolto alla terra, mentre la principessa torna in cielo, nell'universo divino a cui appartiene, rivela quanto l'amore, anche quello terreno, sia un sentimento indelebile oltre ogni limite. Da non perdere per i suoi tratti delicati e poetici, il film avrebbe meritato una più adeguata distribuzione e non relegata a soli tre giorni, tra l'altro i primi della settimana.
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