flyanto
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lunedì 18 giugno 2012
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una lunga indagine su un delitto che conduce alla
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Film sulle indagini condotte lungo un'intera notte riguardo un brutale assassinio che condurranno non solo alla scoperta del reale accaduto dei fatti ma anche alla scoperta di personali verità da parte degli investigatori stessi. Insomma, il film è costituito come un lungo percorso alla ricerca del proprio sè più intimo. L'unico appunto "negativo" che si può muovere a questa pellicola è, forse, l'eccessiva lunghezza della trama, resa ancor più tale dal lento succedersi degli eventi strutturati come se avvenissero con la lentezza propria della realtà. Ma questa lentezza, con cui il regista Ceylan gira il film, viene ad essere, appunto, proprio il fascino della sua opera innalzandola a vera poesia e riservandola, purtroppo, ad un pubblico senza dubbio di nicchia.
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Film sulle indagini condotte lungo un'intera notte riguardo un brutale assassinio che condurranno non solo alla scoperta del reale accaduto dei fatti ma anche alla scoperta di personali verità da parte degli investigatori stessi. Insomma, il film è costituito come un lungo percorso alla ricerca del proprio sè più intimo. L'unico appunto "negativo" che si può muovere a questa pellicola è, forse, l'eccessiva lunghezza della trama, resa ancor più tale dal lento succedersi degli eventi strutturati come se avvenissero con la lentezza propria della realtà. Ma questa lentezza, con cui il regista Ceylan gira il film, viene ad essere, appunto, proprio il fascino della sua opera innalzandola a vera poesia e riservandola, purtroppo, ad un pubblico senza dubbio di nicchia. E' la stessa lentezza che si riscontra anche nelle pellicole poetiche dell regista iraniano Kiarostami e gli stessi paesaggi infiniti rurali accomunano di molto entrambi i registi. Molto toccanti le figure nonchè i dialoghi avvenuti tra il medico ed il procuratore che sovrintendono le indagini. Un reale piccolo gioiello.
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lorenzodv
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sabato 25 gennaio 2020
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mezzo pieno
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Qualche volta capita che la trama non sia l'elemento essenziale del film e svolga soltanto la funzione di contenitore di altri elemento, un'opportunità per raccontare, attraverso i personaggi, altre cose che non popolano la storia principale ma si ramificano da essa. Questo è quel tipo di film, la storia è scarna e poco interessante, serve soltanto a far incontrare delle persone che scambiano esperienze tra loro e con lo spettatore. Soltanto che anche queste storie collaterali sono essenziali, poco sviluppate e in fondo non così particolari tanto che gli stessi personaggi le raccolgono con aria di banalità.
Io abbandono il fumo ma il fumo non mi lascia andare; i bambini subiscono passivamente le azioni degli adulti; una persona può usare il suicidio come vendetta contro chi resta vivo.
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Qualche volta capita che la trama non sia l'elemento essenziale del film e svolga soltanto la funzione di contenitore di altri elemento, un'opportunità per raccontare, attraverso i personaggi, altre cose che non popolano la storia principale ma si ramificano da essa. Questo è quel tipo di film, la storia è scarna e poco interessante, serve soltanto a far incontrare delle persone che scambiano esperienze tra loro e con lo spettatore. Soltanto che anche queste storie collaterali sono essenziali, poco sviluppate e in fondo non così particolari tanto che gli stessi personaggi le raccolgono con aria di banalità.
Io abbandono il fumo ma il fumo non mi lascia andare; i bambini subiscono passivamente le azioni degli adulti; una persona può usare il suicidio come vendetta contro chi resta vivo. Queste sono le saggezze del film, argomenti validi e pronti da sviluppare in altrettante storie che qui sono mancate.
Il pregio di quest'opera è la fotografia notturna. Spesso la cinematografia, sbagliando, rende la notte con il buio. Qualcuno che conosce poco le arti fotografiche potrebbe osservare che la notte è caratterizzata dalla carenza di luce, quindi questa tecnica non sembra sbagliata. La notte è buia e su questo non ho da obiettare, purtuttavia qualcosa si vede, l'occhio è assai adattabile e vede anche di notte ma vede diversamente ed è questo l'effetto da imprimere nella pellicola, mentre il buio sulla pellicola impedisce di vedere. La notte "fotografica" non è caratterizzta dal buio, è resa con maggiori contrasti, ombre ampie e diffuse, toni di colore ridotti, esattamente come succede in questo film che ciascun direttore della fotografia dovrebbe studiare. Aver fatto una cosa correttamente tra le tante che andavano fatte non sembra un gran merito ma se si considera che di tutti i film prodotti questo è uno dei pochi che riesce nelle risprese notturne (il primo che ricordi di aver visto personalmente) il merito diventa un record e gliene va dato atto.
Il maggior difetto sono i dialoghi nei momenti morti della narrazione, quando i personaggi sono impegnati e non possono dialogare. In tutti questi momenti il silenzio è riempito da brevi battute di inciatamento che non solo non servono ma ricordano tempi e tipologie di cinema arcaiche risalenti a quando le tecniche narrative ancora non erano sviluppate.
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corrado
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sabato 15 aprile 2023
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pura poesia
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C'ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA
Spesso ci diciamo come sarebbe bello visitare un paese sconosciuto, senza servirsi di un viaggio organizzato, andando alla ventura, immergendosi nel paesaggio, parlando con la gente del posto. Ma non puoi: il paese sconosciuto ti intimorisce, non hai capacità di adattarti alle difficoltà di un viaggio “non protetto”, non conosci la lingua, ...
Poi ti capita di andare al cinema e vedere un film “C’era una volta in Anatolia”, che noi l’Anatolia non sapevamo precisamente dove si collocasse, e ti immergi, giorno e notte, in un paesaggio infinito che evoca tanti altri paesaggi, attraversi paesi e villaggi che ormai si assomigliano tutti.
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C'ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA
Spesso ci diciamo come sarebbe bello visitare un paese sconosciuto, senza servirsi di un viaggio organizzato, andando alla ventura, immergendosi nel paesaggio, parlando con la gente del posto. Ma non puoi: il paese sconosciuto ti intimorisce, non hai capacità di adattarti alle difficoltà di un viaggio “non protetto”, non conosci la lingua, ...
Poi ti capita di andare al cinema e vedere un film “C’era una volta in Anatolia”, che noi l’Anatolia non sapevamo precisamente dove si collocasse, e ti immergi, giorno e notte, in un paesaggio infinito che evoca tanti altri paesaggi, attraversi paesi e villaggi che ormai si assomigliano tutti. Partecipi alla vita delle persone, perché parlano una lingua che è la tua (un’ovazione ai doppiatori), ridono e soffrono di sentimenti e drammi che sono simili a quelli che si svolgono attorno a te. Le differenti culture si appiattiscono e, se ti lasci andare, entri in relazione con queste persone e partecipi ai loro discorsi banali e quotidiani, alle loro riflessioni sul mistero della vita e della morte, alla ricerca di un significato.
E che il film non offra soluzioni, né alla trama “poliziesca”, né alle vicende dei personaggi lo rende ancor più reale. È come se aveste conosciuto delle persone in un pezzo della vostra vita e poi le aveste perse di vista. Non sapete cosa è poi successo di loro, ma vi sono rimaste dentro. Avete visto l’Anatolia meglio che da un pullman di un viaggio organizzato e avete parlato con la gente del posto. Due ore e trenta di film che valgono un viaggio... pura poesia.
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annamarialaneri35
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sabato 23 giugno 2012
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la mela e la donna. l'uomo dov'è?
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Un commissario, i suoi poliziotti, un procuratore e un medico accompagnano 2 sospettati alla ricerca del cadavere nell’immensità costretta dell’Anatolia. Trovano il cadavere e, dopo il riconoscimento della moglie, fanno eseguire l’autopsia. Questa è la trama oggettiva del film, non si conosce neanche il movente dell’assassinio. Solo gli sguardi e i dialoghi ne esprimono il senso, creando coordinate che uniscono i personaggi in un mondo privo di vita, dove la morte dell’uomo è continuamente evidenziata dall’unico argomento dei dialoghi: i figli. Il commissario risulta essere l’unico personaggio ancora in vita: è il solo a trasmettere emozioni e sentimenti, è lui l’unico che dice di avere un figlio,seppure malato e bisognoso di cure.
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Un commissario, i suoi poliziotti, un procuratore e un medico accompagnano 2 sospettati alla ricerca del cadavere nell’immensità costretta dell’Anatolia. Trovano il cadavere e, dopo il riconoscimento della moglie, fanno eseguire l’autopsia. Questa è la trama oggettiva del film, non si conosce neanche il movente dell’assassinio. Solo gli sguardi e i dialoghi ne esprimono il senso, creando coordinate che uniscono i personaggi in un mondo privo di vita, dove la morte dell’uomo è continuamente evidenziata dall’unico argomento dei dialoghi: i figli. Il commissario risulta essere l’unico personaggio ancora in vita: è il solo a trasmettere emozioni e sentimenti, è lui l’unico che dice di avere un figlio,seppure malato e bisognoso di cure. Le soste continue per la ricerca del cadavere, i discorsi ripetitivi con scarno linguaggio e i primi piani su sguardi inespressivi dove non si riconoscono,anche per giochi registici, i colpevoli e gli innocenti, allungano volutamente i tempi del film e dilatano le colpe di ognuno che volteggiano negli animi come la natura di paesaggi identici dove il vento, quasi come da legge del contrappasso, scuote animi che amavano. A fare luce sulla vita e sulla morte di ognuno di loro, è proprio una figlia, quella del sindaco del paese dove la ciurma è costretta a fermarsi di notte; è lei che con discrezione porta una lampada e thè accendendo una luce di vita, di ricordi,in ogni uomo, sarà qui che il sospettato rivelerà la sua paternità al commissario, è lui il padre del figlio dell’ucciso. Anche gli altri uomini coi baffi e la barba di tre giorni, il procuratore ed il medico, sono morti nell’anima perché hanno ucciso. Il procuratore si rivela al medico raccontando di una donna che aveva predetto il giorno della sua fine dopo il parto perché tradita dal marito, ed il medico capisce che ne era la moglie, ed il medico colora la sua vita lontano dal suo passato di padre e marito fallito: l’autopsia, descritta chirurgicamente! rivela un indizio, terreno nei bronchi, che il medico cancella come una spugna dalla sua memoria e non fa trascrivere. La prova della morte cosciente dei due personaggi è data dal fatto che entrambi descrivono il cadavere coi loro tratti somatici, ed il procuratore, il più sofferente di tutti, ha delle sorte di piaghe sul volto, quasi un inizio di decomposizione. Il finale è quasi una foto conservata dal medico: un gruppo di bambini che gioca, divisa da un vetro dove dall’altra parte c’è il medico con sangue schizzato dall’autopsia sul volto, immagine che stravolge il binomio innocente/colpevole. In qs universo maschile, essenziale quanto reale,ne esce un’immagine della donna fiera,intera, a tutto tondo, determinata nelle proprie scelte e nelle proprie azioni, una donna capace di vivere oltre la morte. Bello, si, ma troppo di nicchia sia per lunghezza che per concetti
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annamarialaneri35
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sabato 23 giugno 2012
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lo sguardo delle donne
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Un commissario, i suoi poliziotti, un procuratore e un medico accompagnano 2 sospettati alla ricerca del cadavere nell’immensità costretta dell’Anatolia. Trovano il cadavere e, dopo il riconoscimento della moglie, fanno eseguire l’autopsia. Questa è la trama oggettiva del film, non si conosce neanche il movente dell’assassinio. Solo gli sguardi e i dialoghi ne esprimono il senso, creando coordinate che uniscono i personaggi in un mondo privo di vita, dove la morte dell’uomo è continuamente evidenziata dall’unico argomento dei dialoghi: i figli. Il commissario risulta essere l’unico personaggio ancora in vita: è il solo a trasmettere emozioni e sentimenti, è lui l’unico che dice di avere un figlio,seppure malato e bisognoso di cure.
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Un commissario, i suoi poliziotti, un procuratore e un medico accompagnano 2 sospettati alla ricerca del cadavere nell’immensità costretta dell’Anatolia. Trovano il cadavere e, dopo il riconoscimento della moglie, fanno eseguire l’autopsia. Questa è la trama oggettiva del film, non si conosce neanche il movente dell’assassinio. Solo gli sguardi e i dialoghi ne esprimono il senso, creando coordinate che uniscono i personaggi in un mondo privo di vita, dove la morte dell’uomo è continuamente evidenziata dall’unico argomento dei dialoghi: i figli. Il commissario risulta essere l’unico personaggio ancora in vita: è il solo a trasmettere emozioni e sentimenti, è lui l’unico che dice di avere un figlio,seppure malato e bisognoso di cure. Le soste continue per la ricerca del cadavere, i discorsi ripetitivi con scarno linguaggio e i primi piani su sguardi inespressivi dove non si riconoscono,anche per giochi registici, i colpevoli e gli innocenti, allungano volutamente i tempi del film e dilatano le colpe di ognuno che volteggiano negli animi come la natura di paesaggi identici dove il vento, quasi come da legge del contrappasso, scuote animi che amavano. A fare luce sulla vita e sulla morte di ognuno di loro, è proprio una figlia, quella del sindaco del paese dove la ciurma è costretta a fermarsi di notte; è lei che con discrezione porta una lampada e thè accendendo una luce di vita, di ricordi,in ogni uomo, sarà qui che il sospettato rivelerà la sua paternità al commissario, è lui il padre del figlio dell’ucciso. Anche gli altri uomini coi baffi e la barba di tre giorni, il procuratore ed il medico, sono morti nell’anima perché hanno ucciso. Il procuratore si rivela al medico raccontando di una donna che aveva predetto il giorno della sua fine dopo il parto perché tradita dal marito, ed il medico capisce che ne era la moglie, ed il medico colora la sua vita lontano dal suo passato di padre e marito: l’autopsia, descritta chirurgicamente! rivela un indizio, terreno nei bronchi, che il medico cancella come una spugna dalla sua memoria e non fa trascrivere. La prova della morte cosciente dei due personaggi è data dal fatto che entrambi descrivono il cadavere coi loro tratti somatici, ed il procuratore, il più sofferente di tutti, ha delle sorte di piaghe sul volto, quasi un inizio di decomposizione. Il finale è quasi una foto conservata dal medico: un gruppo di bambini che gioca, divisa da un vetro dove dall’altra parte c’è il medico con sangue schizzato dall’autopsia sul volto, immagine che stravolge il binomio innocente/colpevole. In qs universo maschile, essenziale quanto reale,ne esce un’immagine della donna fiera,intera, a tutto tondo, determinata nelle proprie scelte e nelle proprie azioni, una donna capace di vivere oltre la morte. Bello, si, ma risulta essere troppo di nicchia in quanto richiede troppo allo spettatore, sia per lunghezza sia per concettualizzazioni.
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francesca meneghetti
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mercoledì 20 giugno 2012
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un tempo lento per affacciarsi sui nostri abissi
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Un vetro appannato lascia intravedere un interno. Tre uomini sono seduti in un locale chiuso e mangiano in modo cordiale. La voce è lontana. Uno dei tre esce dall’officina. Fuori sta arrivando un temporale. Una locomotiva arriva da destra e copre la scena. I titoli (solitamente di coda) scorrono in silenzio.
Il primo tempo è totalmente notturno (anche se la divisione consueta dei film in primo e secondo tempo non corrisponde all’articolazione logica e strutturale in tre atti, ciascuno incentrato su un personaggio maschile e sulla sua triste storia).
In un paesaggio montuoso brullo, verso il tramonto (straordinaria in tutto il film la fotografia), avanza in modo lento e tortuoso un serpente, o, a meglio dire, un bruco di fuoco: è un motivo suggestivo e potente che si presenterà altre volte nel film.
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Un vetro appannato lascia intravedere un interno. Tre uomini sono seduti in un locale chiuso e mangiano in modo cordiale. La voce è lontana. Uno dei tre esce dall’officina. Fuori sta arrivando un temporale. Una locomotiva arriva da destra e copre la scena. I titoli (solitamente di coda) scorrono in silenzio.
Il primo tempo è totalmente notturno (anche se la divisione consueta dei film in primo e secondo tempo non corrisponde all’articolazione logica e strutturale in tre atti, ciascuno incentrato su un personaggio maschile e sulla sua triste storia).
In un paesaggio montuoso brullo, verso il tramonto (straordinaria in tutto il film la fotografia), avanza in modo lento e tortuoso un serpente, o, a meglio dire, un bruco di fuoco: è un motivo suggestivo e potente che si presenterà altre volte nel film. Non sono di alieni (anche se torna in mente qualche scena di E.T) gli occhi di questo bruco: ma fari di tre auto, destinate a girare tutta la notte con il loro carico umano, tutto maschile, alla ricerca del corpo di un reato. Che, nella fattispecie, è proprio il corpo di un uomo.
Il tempo passa, lentamente, mente prosegue questa ricerca notturna, in cui si innestano manifestazioni naturali violente e impulsive (un vento inquietante, che ricorda quello del Tè nel deserto), fulmini, pioggia.
La trama del “giallo” procede verso la sua soluzione, pur restando aperta e decisamente troppo sospesa. Ma in un film di 150 minuti non è certo la fabula a fare da impalcatura al film: il vero motivo è quello del tempo.
Secondo la civiltà occidentale the time is money. I ritmi devono essere veloci. L’ansia di fare qualcosa e di “ammazzare il tempo”, come disse Montale, è sovrastante. Il che evita di affacciarsi all’abisso e di pensare alla morte, che sta dietro al tempo. Qui in Anatolia, in un mondo appena lambito dal progresso – dove le autopsie non si fanno con sistemi tecnologici, ma con forbicione e seghe tradizionali - i minuti scorrono lenti. Gli uomini possono così riflettere su se stessi, affacciarsi a quell’abisso. “Passeranno gli anni e nulla resterà di me”, dice un personaggio. Ma riflettere su si sé implica anche il riflettere sulle proprie relazioni con gli altri: il che significa, per dei protagonisti tutti maschili, che spesso cicaleggiano e cazzeggiano al maschile, rapportarsi alla donna. Creatura che rimane misteriosa e affascinante. Vendicativa come la moglie del procuratore o pietosa come la figlia del sindaco. Ma lontana e imperscrutabile. In tal modo essa concorre a rendere indecifrabile e casuale il senso della vita, come gli oggetti (la mela, il barattolo, il pezzo di pelliccia) che cadono per effetto della gravità o rotolano nel vento.
Nel finale il regista si disperde un poco: la scena dell'autopsia risulta, in tal caso, di una lentezza non finalizzata a quel botto finale che si aspetta lo spettatore.
Bravi i protagonisti, scrutati fino in fondo dai primi piani del regista. Bello e tenebroso, con tratti di fragilità, Firat Tanis che interpreta Kenam.
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antonio trimarco
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lunedì 25 giugno 2012
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senza via di scampo
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Un film che narra contemporaneamente più storie drammatiche. Un omicidio, un suicidio, una malattia. Tre auto attraversano di notte l'Anatolia, cercano un cadavere. Visto da lontano è lavoro, lavoro di un poliziotto, un procuratore, un medico e i loro uomini. Visto da vicino attraverso le inquadrature e le parole degli interpreti il dramma, i drammi prendono corpo. La solitudine, la tristezza si mescolano così ad una quotidianità che si è costretti a vivere. Uomini normali, che cercano di fare bene il loro lavoro nonostante questo affronti le miserie umane e le loro conseguenze. Uomini normali che devono guardare ai drammi esterni a loro, ma che li riportano ai propri. La notte porta un piccolo conforto di ospitalità in un piccolo villaggio dove il sindaco accoglie indagati e indagatori.
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Un film che narra contemporaneamente più storie drammatiche. Un omicidio, un suicidio, una malattia. Tre auto attraversano di notte l'Anatolia, cercano un cadavere. Visto da lontano è lavoro, lavoro di un poliziotto, un procuratore, un medico e i loro uomini. Visto da vicino attraverso le inquadrature e le parole degli interpreti il dramma, i drammi prendono corpo. La solitudine, la tristezza si mescolano così ad una quotidianità che si è costretti a vivere. Uomini normali, che cercano di fare bene il loro lavoro nonostante questo affronti le miserie umane e le loro conseguenze. Uomini normali che devono guardare ai drammi esterni a loro, ma che li riportano ai propri. La notte porta un piccolo conforto di ospitalità in un piccolo villaggio dove il sindaco accoglie indagati e indagatori. Si cena, si colgono le vite e la vita di quel microcosmo. Si coglie la separatezza e la rigidità dei ruoli tra uomo e donna. Si coglie la bellezza della figlia del Sindaco, una bellezza che forse rimarrà confinata per tutta la vita in quell'angolo di mondo. L'omicida ha forse un segreto o più di uno. La mattina si scopre il cadavere. Ma poco si riesce a capire del perchè di quella morte. C'è probabilmente un adulterio che non verrà svelato pubblicamente. Ci sono poi i drammi del procuratore, che parlando con il medico scopre qualcosa sulla morte della moglie e quelli del poliziotto che con un figlio malato preferisce andare a lavorare per allontanare il dolore. E poi il medico che non ci svela nulla di lui, ma anche la sua storia sembra impregnata nel dolore e nella solitudine. Verrebbe da dire che "c'era una volta" e ci sono ancora "Vite senza vie d'uscita". Un film lirico, intenso, doloroso. Fotografia meravigliosa, soggetto sceneggiatura e regia impeccabili. Anche le interpretazioni dei personaggi principali sono molto intense.
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