gianleo67
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venerdì 25 maggio 2012
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l'arte di non perdere
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Stella mancata del baseball, come General Manager degli Oakland Athletics, riesce a sopperire alle carenze finanziarie della società ideando un sistema statistico-analitico per creare una squadra efficiente (idealmente la migliore) assemblando giocatori poco noti (poco costosi) ma massimamente funzionali. Dopo un iniziale empasse, la sua scelta si rivela vincente ancorchè rivoluzionaria. Esemplare e avvincente dramma di ambientazione sportiva basato su un fatto vero, con qualche venatura intimista e una ricercata brillantezza dei dialoghi, ma anche classico compendio su come il cinema americano (da sempre) reinterpreta i suoi miti e le sue leggende.
L'arte di vincere è in realtà la spietata e cinica declinazione del principio darwiniano secondo cui sopravvive solo chi sa adattarsi, modificando forme e comportamenti in funzione delle mutate condizioni ambientali.
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Stella mancata del baseball, come General Manager degli Oakland Athletics, riesce a sopperire alle carenze finanziarie della società ideando un sistema statistico-analitico per creare una squadra efficiente (idealmente la migliore) assemblando giocatori poco noti (poco costosi) ma massimamente funzionali. Dopo un iniziale empasse, la sua scelta si rivela vincente ancorchè rivoluzionaria. Esemplare e avvincente dramma di ambientazione sportiva basato su un fatto vero, con qualche venatura intimista e una ricercata brillantezza dei dialoghi, ma anche classico compendio su come il cinema americano (da sempre) reinterpreta i suoi miti e le sue leggende.
L'arte di vincere è in realtà la spietata e cinica declinazione del principio darwiniano secondo cui sopravvive solo chi sa adattarsi, modificando forme e comportamenti in funzione delle mutate condizioni ambientali.
Il paradigma evoluzionista è un efficace sottotesto (in realtà chiaramente esplicitato dallo script) attraverso cui sviluppare un tema classico (e apparentemente abusato dal cinema made in USA) quale quello dello spirito di rivalsa e del pragmatismo quali segni distintivi del carattere più autentico del popolo americano e della sua idea di successo. La storia sviluppa efficacemente questi temi attraverso una dosata gradazione nel progredire della vicenda e sottolineandone le fasi fondamentali: l'adesione ad un modello analitico-statistico innovativo nella composizione di una squadra e la trasmissione pragmatica di questa filosofia al collettivo che deve attuarla. Ottima la prova degli attori , soprattutto di un Pitt in grado di conferire spessore umano al suo personaggio (anche questo logoro) del 'falso perdente di successo' che riesce in modo egregio e sornione a calarsi nel ruolo di 'guru' della situazione , ma anche a mostrare gli aspetti più sottili di un tormento interiore. La regia è accorta e brillante , in grado di imprimere il giusto ritmo ad una vicenda su di un mondo (quello del baseball) codificato da un eccessivo tecnicismo e soprattutto capace di condire il tutto con la giusta dose di ironia e di sberleffo. Esilarante e velocissima la scena della 'contrattazione di mercato' al telefono in grado di sublimare parossisticamente le doti professionali del più brillante G.M. quale inesorabile battitore d'asta. Finale dal retrogusto di polemica anti-sistema. Hollywood ancora una volta ci insegna la difficile arte di non perdere soldi facendo un film. Esemplare.
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1962thor
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martedì 22 maggio 2012
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ottima metafora di un perdente
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In Italia fa 297.000 € di incassi ma che è candidato a 6 Oscar ; ma come vengono promossi i film nel nostro paese ?
Bella metafora dell'arte di perdere incarnata da un grande Brad Pitt nei panni di un general manager che a causa dei suoi ancoraggi negativi
e nel tentativo di trasformare il "sistema" che muove il baseball, non riesce a mettere pienamente la faccia in quello che fa, si tiene al margine
del campo di gioco, al di fuori dello spogliatoio e lontano dai mezzi che portano la squadra in trasferta.
Centratissimo Jonah Hill nel suo ruolo, non si capisce bene la scarsa importanza data ad un attore della portata di Philip Seymour Hoffman
che veste i panni di un allenatore poco espressivo.
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puppodums
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domenica 20 maggio 2012
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un buon film di attori pieno di difetti
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Bella prova per gli attori, in un film sul baseball praticamente senza gioco. Peccato che il film sia pieno di difetti. In primo luogo è eccessivamente lento, con una prima parte troppo diluita e un cambiamento di *posizione* troppo repentino. In secondo luogo è troppo tecnico: è vero che di baseball ce n'è poco ma quello che c'è è quasi incomprensibile pur avendo una minima infarinatura dello sport. In terzo luogo alcuni personaggi sono mal sfruttati, vedi l'allenatore od orribilmente stereotipati, vedi la figlia del protagonista e il rapporto che ne consegue. Dopo un finale eccessivamente sfumato e blando rimane l'amaro in bocca di un film che non mantiene quel che promette, nonostante buone prove di attori.
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Bella prova per gli attori, in un film sul baseball praticamente senza gioco. Peccato che il film sia pieno di difetti. In primo luogo è eccessivamente lento, con una prima parte troppo diluita e un cambiamento di *posizione* troppo repentino. In secondo luogo è troppo tecnico: è vero che di baseball ce n'è poco ma quello che c'è è quasi incomprensibile pur avendo una minima infarinatura dello sport. In terzo luogo alcuni personaggi sono mal sfruttati, vedi l'allenatore od orribilmente stereotipati, vedi la figlia del protagonista e il rapporto che ne consegue. Dopo un finale eccessivamente sfumato e blando rimane l'amaro in bocca di un film che non mantiene quel che promette, nonostante buone prove di attori.
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robypisanu89
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mercoledì 9 maggio 2012
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ottimo film
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Buona storia raccontata in modo decente con un Brad Pitt in stato di grazia, finale non dei migliori.
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albydrummer
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martedì 8 maggio 2012
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vincente!!!
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Un film ben diretto e ben interpretato da Pitt. Tutta la vera filosofia dello sport,la passione,il coraggio di farlo davvero pulito,con tutte le forze,la tenacia di un uomo,di non arrendersi,e l'amicizia,di ungiovane economista ad aiutarlo a rifare una squadra di giocatori sconosciuti,ma con l'orgoglio di farcela e mai arrendersi. In questo film c'è il vero sport,quello puro,la vera arte di vincere,con pochi soldi.Per un qualsiasi sport che vale la pena di seguire,di tifare. Questo film per me è un grande esempio di un vero e pulito gioco!!
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bella earl!
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domenica 15 aprile 2012
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la seconda chance per lo sport.
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- Come fai a non essere romantico col Baseball? -
Billy Beane (Pitt) è il general manager e talent scout degli Oakland Athletics. Dopo essere stato eliminato dalla competizioni l'anno prima dai New York Yankees e dopo aver perso i suoi gioielli, Billy prova un nuovo approccio al mercato, cercando di creare una squadra forte, con l'ausilio delle statistiche fornite da un ragazzo di venticinque anni di nome Peter (Hill). All'inizio sia la società, che i suoi colleghi che l'allenatore della squadra (Seymour Hoffman) si trovano in disaccordo col suo modo di vedere le cose. Ma quando la squadra inizia a ingranare nulla la può fermare se non...
Il candidato premio Oscar Bennet Miller (Truman Capote: A Sangue Freddo) dirige il suo secondo lungometraggio.
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- Come fai a non essere romantico col Baseball? -
Billy Beane (Pitt) è il general manager e talent scout degli Oakland Athletics. Dopo essere stato eliminato dalla competizioni l'anno prima dai New York Yankees e dopo aver perso i suoi gioielli, Billy prova un nuovo approccio al mercato, cercando di creare una squadra forte, con l'ausilio delle statistiche fornite da un ragazzo di venticinque anni di nome Peter (Hill). All'inizio sia la società, che i suoi colleghi che l'allenatore della squadra (Seymour Hoffman) si trovano in disaccordo col suo modo di vedere le cose. Ma quando la squadra inizia a ingranare nulla la può fermare se non...
Il candidato premio Oscar Bennet Miller (Truman Capote: A Sangue Freddo) dirige il suo secondo lungometraggio. Con a sua disposizione un Brad Pitt da premio Oscar e un grande Philipp Seymour Hoffman, Miller realizza un film sul baseball che del Baseball mostra molto poco. Mostra di più, invece, la vita fuori dal campo di un general manager che deve fare i conti con la politica restrittiva della sua squadra. Un bel film, consigliato.
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uranio
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domenica 26 febbraio 2012
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piccola recenzione
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Le nuove idee sono sempre un po osteggiate, distrattate, dato che mettono in discussione il sistema di pensare.....di vivere?? di fare economia??
Un po complicato capire i meccanismi del baseball, sport a noi italiani quasi sconosciuto, quindi si apprezza poco le originalità del pensiero portato in campo....da vedere:)
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(di kondor17)
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salda91
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venerdì 24 febbraio 2012
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il coraggio di vincere
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Dopo l’ottima stagione disputata dagli Oakland Athletics, Billy Beane, General Manager della squadra di baseball, vede portarsi via i suoi migliori giocatori da team più blasonati e aventi un potere contrattuale decisamente maggiore rispetto al proprio, al cospetto di un budget a disposizione molto più alto. Ormai disilluso nell’effettuare la campagna acquisti, l’incontro con il giovane Peter Brand muta la situazione: quest’ultimo espone a Billy l’idea secondo cui è possibile creare una squadra vincente non puntando sulla bravura individuale, ma sulle caratteristiche dei singoli da incastrare, mediante meccanismi statistici, in un gioco corale. Attratto da questa nuova teoria e dalla possibilità (inedita) di edificare un gruppo fondato sulla coesione e la fiducia nelle potenzialità dei giocatori, l’idea viene subito abbracciata da Billy, che si adopera prontamente a reclutare una serie di uomini scartati dalle altre società per dare avvio al progetto.
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Dopo l’ottima stagione disputata dagli Oakland Athletics, Billy Beane, General Manager della squadra di baseball, vede portarsi via i suoi migliori giocatori da team più blasonati e aventi un potere contrattuale decisamente maggiore rispetto al proprio, al cospetto di un budget a disposizione molto più alto. Ormai disilluso nell’effettuare la campagna acquisti, l’incontro con il giovane Peter Brand muta la situazione: quest’ultimo espone a Billy l’idea secondo cui è possibile creare una squadra vincente non puntando sulla bravura individuale, ma sulle caratteristiche dei singoli da incastrare, mediante meccanismi statistici, in un gioco corale. Attratto da questa nuova teoria e dalla possibilità (inedita) di edificare un gruppo fondato sulla coesione e la fiducia nelle potenzialità dei giocatori, l’idea viene subito abbracciata da Billy, che si adopera prontamente a reclutare una serie di uomini scartati dalle altre società per dare avvio al progetto. Dapprima le cose non vanno come dovrebbero, ma col tempo i fatti sembrano dar ragione ai due innovatori. Infine il tenero rapporto che Beane ha con sua figlia, in contrapposizione al divorzio con la moglie, e il turbamento interiore, esplicato da una evidente difficoltà a trattenere rabbia e nervoso (si noti a tal proposito la continua esigenza di masticazione), del protagonista, rendono la vicenda ancor più umana.
Ispirato ad una storia vera, il film, è tratto dal libro del celebre giornalista M. Lewis, Moneyball; seconda opera del regista di Truman Capote, è lo script dei due notevoli sceneggiatori Zaillian e Sorkin (già premio Oscar con The Social Network) a fare della pellicola un ottimo prodotto, nonché la magistrale interpretazione dell’idolo del genere femminile Brad Pitt, anche quest’anno in corsa per la tanto agognata e mai raggiunta statuetta.
Il titolo, L’arte di vincere, è in aperta dissonanza con la natura del protagonista, definibile come “un vincente che non vince”, in quanto logorato da una serie di sconfitte, quali il mancato successo come giocatore, il fallimento del matrimonio o lo sfiorato raggiungimento del titolo l’anno precedente, che lo accompagnano costantemente, tanto da indurlo a non assistere mai alle partite della propria squadra. E’ probabilmente da qui che parte la sua voglia di riscatto attraverso un’integrità, una tenacia e un metodo non condivisi dai più, una scommessa esistenziale da vincere senza le luci abbaglianti del trionfo comunemente inteso. In sostanza, viene narrata non la trama sportiva tradizionale, che accompagna ad eroiche e improbabili vittorie, ma la storia di un uomo che serve, tramite il mondo dello sport, a scavare la società statunitense, e capitalistica in generale, regolata da inossidabili cliché, “in primis” quelli di denaro e successo. Il baseball ha in realtà solo una valenza metaforica e romantica e, benché sia la cruda statistica di Peter a portare al successo, è il fattore umano incarnato da Billy a rendere tale successo concreto.
Accanto a Pitt troviamo un validissimo J. Hill, alle prese con un ruolo soltanto incidentalmente comico; certo, un attore del calibro di Hoffman poteva sicuramente essere utilizzato in modo più proficuo, eccessivamente sacrificato invece nel ruolo del coach. Inoltre, per apprezzare appieno il film, è indispensabile quantomeno un generale interesse nei confronti dello sport e delle trame che lo costellano, ma la riuscita della pellicola è comunque indubbia.
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spike
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venerdì 24 febbraio 2012
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un film ben scritto
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Un film ben scritto e ottimamente recitato. Lo sport visto dall'ufficio di un GM ( General Manager ) che vuole cambiare le cose. Sorkin come al solito è ispirato e scrive una sceneggiatura straripante. Attenzione a questo film, potrebbe essere la sorpresa degli Oscar ( da noi non ha avuto successo ma negli USA il baseball è uno degli sport nazionali più seguiti).
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riccardo t.
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martedì 21 febbraio 2012
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l'arte di vincere
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Come in The Social Network Aaron Sorkin usa un aspetto specifico per raccontare altro sulla società e sull’America.
Se nel film di Fincher, la metafora era l’incomunicabilità e l’influenza dei nuovi media attraverso Facebook, in Moneyball sono la seconda possibilità, il credere nel nuovo, il non arrendersi mai, a essere analizzati sotto la parola Baseball.
Nell’arte di vincere il Baseball diventa simbolo di riscatto, prima di un uomo che cerca rivalsa personale e privata e poi di un gruppo di uomini.
Quello che interessa lo sceneggiatore Sorkin, è appunto tale riflessione, il creare un gruppo, lo stare in gruppo vincere e perdere in gruppo, anche con difficoltà ma sempre al centro la collettività e mai l’individualità.
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Come in The Social Network Aaron Sorkin usa un aspetto specifico per raccontare altro sulla società e sull’America.
Se nel film di Fincher, la metafora era l’incomunicabilità e l’influenza dei nuovi media attraverso Facebook, in Moneyball sono la seconda possibilità, il credere nel nuovo, il non arrendersi mai, a essere analizzati sotto la parola Baseball.
Nell’arte di vincere il Baseball diventa simbolo di riscatto, prima di un uomo che cerca rivalsa personale e privata e poi di un gruppo di uomini.
Quello che interessa lo sceneggiatore Sorkin, è appunto tale riflessione, il creare un gruppo, lo stare in gruppo vincere e perdere in gruppo, anche con difficoltà ma sempre al centro la collettività e mai l’individualità.
Promotore di questo cambiamento, è Billy Beane interpretato da uno straordinario Brad Pitt, che cerca una nuova opportunità professionale che applica insieme al giovane Peter Brand di Jonah Hill, un nuovo metodo di approcciarsi al baseball, dove la parola chiave è squadra, e qui il film compie un attenta e sottile analisi alla situazione social economica americana, l’individuo, il migliore è importante. L’arte di vincere dimostra il contrario l’intelligenza applicata allo sport, la novità contro la tradizione.
Dal punto di vista tecnico il film vanta un ottima regia, da parte di Bennett Miller, che gira con classe aiutato sia da una buona fotografia che da un ottimo sonoro.
Ma oltre alla sceneggiatura, e il cast la parte fondamentale, soprattutto il duo protagonista, Jonah Hill, perfetto contro altare a Brad Pitt, che offre un interpretazione sentita,umana di un eterno perdente, che però ha raggiunto il suo personale riscatto.
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