paolp78
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domenica 4 luglio 2021
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travagliato e godibile
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A dispetto del titolo, che potrebbe indurre in errore, il film è essenzialmente una commedia sentimentale con tinte drammatiche qua e là, mentre la parte giallistica è marginale.
Tra i punti di forza dell’opera c’è senz’altro la storia travagliata, divertente e profondamente umana, molto bene sceneggiata e raccontata con brio e con ottimo gusto. La pellicola risulta godibilissima per lo spettatore, che resta completamente rapito dalle vicende narrate.
La direzione del semisconosciuto regista televisivo Richard J. Lewis si rivela molto efficace e ben realizzata.
Buono l’effetto conseguito con la scelta narrativa di raccontare la storia nella forma di vari ricordi che affiorano alla mente del protagonista ormai anziano, avendo però cura di svelare il meno possibile della sua vita attuale, creando così un po’ di confusione e qualche sorpresa tra gli spettatori.
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A dispetto del titolo, che potrebbe indurre in errore, il film è essenzialmente una commedia sentimentale con tinte drammatiche qua e là, mentre la parte giallistica è marginale.
Tra i punti di forza dell’opera c’è senz’altro la storia travagliata, divertente e profondamente umana, molto bene sceneggiata e raccontata con brio e con ottimo gusto. La pellicola risulta godibilissima per lo spettatore, che resta completamente rapito dalle vicende narrate.
La direzione del semisconosciuto regista televisivo Richard J. Lewis si rivela molto efficace e ben realizzata.
Buono l’effetto conseguito con la scelta narrativa di raccontare la storia nella forma di vari ricordi che affiorano alla mente del protagonista ormai anziano, avendo però cura di svelare il meno possibile della sua vita attuale, creando così un po’ di confusione e qualche sorpresa tra gli spettatori.
Il film induce anche a riflessioni profonde sul senso della vita, i valori della famiglia, dell’amicizia ed in particolare sui sentimenti di amore, fiducia e stima reciproca che legano una coppia.
Il ruolo del protagonista è affidato a Paul Giamatti, bravo caratterista di tante pellicole a cui vennero offerte alcune occasioni in ruoli principali dopo la buona performance avuta in “Sideways - In viaggio con Jack” di Alexander Payne; questo film rappresenta probabilmente la sua migliore occasione dopo il film di Payne e deve dirsi che l’attore americano, di origini per metà italiane, sfrutta egregiamente l’occasione entrando nello spirito del personaggio e risultando infine molto convincente. La protagonista femminile è Rosamund Pike, molto seducente e amabile; capace anch’ella di ben figurare in una delle prime parti di maggiore rilievo avute in carriera. Del resto del cast si ricordano Minnie Driver, azzeccatissima nella parte della ricca, bella e superficiale; Mark Addy, molto credibile nei panni dello sbirro arcigno ed implacabile; ma soprattutto uno stupendo Dustin Hoffman che, seppur in una parte non principale, lascia assolutamente il segno, divertendo e illuminando la scena con la sua autentica classe.
Ottimi il trucco e le acconciature che consentono di rendere perfettamente credibile l’effetto invecchiamento dei vari personaggi ed in particolar modo del protagonista.
Presenti alcune battute e sequenze comiche davvero esilaranti.
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giorpost
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martedì 4 agosto 2015
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un dramma letterario con il miglior giamatti
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Nel 2010 il regista di telefilm R.J. Lewis porta in scena un romanzo dello scrittore canadese Richler senza cambiarne il titolo: La versione di Barney.
Ad interpretare Barney Panofsky, un produttore televisivo ebreo di second' ordine, viene chiamato Paul Giamatti, coadiuvato da Dustin Hoffman nei panni del padre pensionato malato di sesso, ma sempre pronto a dispensare buoni consigli. La storia narra delle vicissitudini in campo sentimentale del protagonista, diviso tra 3 mogli, un "migliore" amico, alcool, hochey, sigari ed un filo conduttore che permea l' opera: l' eterna indecisione. Barney è il classico seduttore incallito non molto affascinante (anzi, per la verità un poco bruttino) ma che riesce con i suoi modi buffi a conquistare donne molto più belle rispetto al suo potenziale.
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Nel 2010 il regista di telefilm R.J. Lewis porta in scena un romanzo dello scrittore canadese Richler senza cambiarne il titolo: La versione di Barney.
Ad interpretare Barney Panofsky, un produttore televisivo ebreo di second' ordine, viene chiamato Paul Giamatti, coadiuvato da Dustin Hoffman nei panni del padre pensionato malato di sesso, ma sempre pronto a dispensare buoni consigli. La storia narra delle vicissitudini in campo sentimentale del protagonista, diviso tra 3 mogli, un "migliore" amico, alcool, hochey, sigari ed un filo conduttore che permea l' opera: l' eterna indecisione. Barney è il classico seduttore incallito non molto affascinante (anzi, per la verità un poco bruttino) ma che riesce con i suoi modi buffi a conquistare donne molto più belle rispetto al suo potenziale. La vita viziosa di Panofsky è incentrata tra Roma e Montreal, lasciando sul suo cammino una prima moglie fedifraga, morta suicida ed una seconda, ricca e bella ereditiera ebrea, che non riesce a farlo ballare. Proprio al suo ricevimento nuziale con quest' ultima conosce la futura e defintiva terza moglie, Miriam (Rosamund Pike), attraente neworkese dai modi delicati che diverrà madre dei suoi figli dopo un lunhissimo corteggiamento a dir poco insistente. La tenera storia tra i due è piena di momenti particolari, fatti di bigliettini, routine, cipolle surgelate e quella casa sul lago, vero traino a tutta la burrascosa vicenda.
Burrascosa, appunto, perché nel calderone Barney, prima di conquistare la bella e dolce Miriam, perde per strada quel suo migliore amico, Boogie, dopo averlo trovato a letto con la seconda moglie. Dopo pochi minuti da quest' avvenimento (per lui in realtà liberatorio perchè preludio ad un facile divorzio) si verifica uno strano incidente sul pontile del lago che verrà chiarito solo 30 anni più tardi e per il quale il nostro viene indagato da un feroce detective che non gli darà tregua per tutto il tempo; burrascosa, perchè nel frattempo Barney viene accecato dalla gelosia nei confronti di Blair, gentile ed affascinante uomo di mezza età che entra all' improvviso nella vita dei Panofsky a causa di un guasto alla barca di Barney che lo lascia in mezzo al lago. Blair, in sordina, nutre un' evidente attrazione per Miriam ma questa sembra non ricambiare. Ciononostante, a seguito di numerosi litigi scatenati dall' atteggiamento del produttore che invidia il bell' antonio di turno, Miriam parte per una settimana di riflessione in quel di New York, e Barney non trova di meglio che cedere alla prima tentazione, tradendo sua moglie con un' attrice fallita, interrompendo quel legame di fiducia che era alla base della scelta di lei di cedere al corteggiamento.
Immediatamente pentitosi, le confessa tutto con l' inevatibile conseguenza che Miriam lo lascia senza pensarci su due volte. Inizia così il lento ma inesorabile declino del personaggio, che via via cade vittima di se stesso ma, soprattutto, di quella terribile malattia che è l' Alzheimer (o comunque una forma grave di demenza) fino ad un finale che non può non commuovere, allorquando Barney crede di essere nei primi anni di matrimonio con i figli ancora piccoli e rivolgendosi alla sua amata come nulla fosse accaduto.
Miriam si risposa proprio con Blair e, una volta saputo della morte di Barney, si reca al cimitero per lasciare un ricordo su quella tomba che porta anche il suo nome.
Un film certamente non perfetto, ma piacevole nello stile e convincente per la doppia performance di Giamatti e Hoffman (irresistibile anche quando muore sul letto di un bordello); un' opera che conferma una volta di più la bravura dell' attore di origini campane che ci offre la sua migliore prova, premiata, infatti, con un Golden Globe. Poco definibile dal punto di vista del genere, un po' commedia un po' dramma, non posso confrontarlo col libro perché non l' ho letto; avrei rivisto il titolo, avrei aggiunto una voce fuori campo, avrei evitato di iniziare la pellicola con Barney vecchio. Ma sono punti di vista, come lo sono tutte le cose che ci circondano. In realtà è un bel film.
Voto: 7
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sergio dal maso
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lunedì 29 giugno 2015
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la versione di barney
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Irriverente. Incosciente. Goffo. Antipatico. Cinico. Irresistibile. Passionale. Romantico. Sincero.
Può un uomo avere contemporaneamente tutte queste qualità ? Difficile, ma non nel caso di Barney Panofsky, l’eccentrico ebreo canadese, produttore di orribili soap opere televisive, protagonista della storia, anzi della sua versione della storia. Non solo. Come può un uomo tanto sregolato, semi-alcolizzato e inseparabile dal whisky, incallito fumatore di sigari Montecristo, tifoso ai limiti del fanatismo della squadra del Montreal di hockey su ghiaccio, riuscire ad affascinare e far provare allo spettatore quasi una empatia con la sua vita esagerata? La risposta non è scontata né facile, ognuno forse troverà motivazioni diverse.
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Irriverente. Incosciente. Goffo. Antipatico. Cinico. Irresistibile. Passionale. Romantico. Sincero.
Può un uomo avere contemporaneamente tutte queste qualità ? Difficile, ma non nel caso di Barney Panofsky, l’eccentrico ebreo canadese, produttore di orribili soap opere televisive, protagonista della storia, anzi della sua versione della storia. Non solo. Come può un uomo tanto sregolato, semi-alcolizzato e inseparabile dal whisky, incallito fumatore di sigari Montecristo, tifoso ai limiti del fanatismo della squadra del Montreal di hockey su ghiaccio, riuscire ad affascinare e far provare allo spettatore quasi una empatia con la sua vita esagerata? La risposta non è scontata né facile, ognuno forse troverà motivazioni diverse.
Tratto dal romanzo di Mordecai Richler, diventato un caso letterario e un libro di culto per migliaia di lettori (tra i quali il sottoscritto), La versione di Barney ripercorre la vita del protagonista attraverso un flash-back lungo quarant’anni focalizzando le tre fasi fondamentali della sua vita attorno ai suoi tre matrimoni. Nel primo, in una Roma bohemien degli anni 70 dove vive in modo scapestrato con gli amici artistoidi, pensando fosse incinta di un figlio suo, sposa Clara, una pittrice depressa ed irrequieta che finirà suicida. Tornato a Montreal conosce e, senza convinzione, sposa la ricchissima ma logorroica e insopportabile seconda Signora P. E’ proprio durante l’esilarante e scoppiettante matrimonio che incontra per la prima volta la donna della sua vita, la bella e dolce Miriam. E’ un colpo di fulmine, Miriam sarà il suo grande amore e finirà col diventare la terza e ultima moglie, oltre che il punto di riferimento e la pietra angolare della sua vita. Ma la sua esistenza viene traumatizzata anche da un episodio drammatico, la morte del suo grande amico d’infanzia Boogie, affascinante scrittore di talento tossicodipendente, della cui scomparsa sarà da molti ritenuto responsabile Barney. Proprio le accuse di omicidio e di immoralità, rese pubbliche dalla biografia non autorizzata scritta dal livoroso detective O’Hearne che aveva indagato all’epoca della scomparsa di Boogie, convincono Barney a scrivere la sua versione della fatti, a raccontare la sua vita sconsiderata e insolente. Si scopre così il bellissimo rapporto di Barney con l’amato padre Izzy (il grande Dustin Hoffman, come sempre), un ex poliziotto donnaiolo e maldestro come il figlio, con cui dà vita a dialoghi spassosi e battute fulminanti. Dal matrimonio con Miriam nasceranno due figli amati e adorati quanto la madre. Ma tra le contraddizioni di Barney c’è anche l’autolesionismo, una pulsione malinconica e distruttiva che lo porterà a rovinare l’immensa felicità che la vita gli ha riservato e a rompere il rapporto di fiducia e fedeltà con Miriam.
Se la prima parte del film ha il tono e i tempi della commedia, divertente e a tratti grottesca, con la vecchiaia di Barney e la scoperta del morbo di Alzheimer l’ironia diventa amara, la tristezza e i vuoti di memoria invadono i ricordi e la confessione diventa triste e commovente. Splendido è il finale del film, quando Barney stanco ed assente guarda l’orizzonte del lago, malgrado la malattia gli abbia azzerato i ricordi, vedendo in azione l’aereo Canadair sull’acqua, ha un ultimo sussulto di memoria e, forse, ricorda finalmente la verità che ha cercato per tutta la vita, quella che avrebbe dato un senso compiuto alla sua versione.
Certamente il film non sfigura di fronte alla indiscutibile bellezza del libro (anche se, a mio avviso, ne è ben lontano). Il merito deve essere riconosciuto senza dubbio a Paul Giamatti, che dà vita a un Barney strepitoso, capace di calarsi nelle varie metamorfosi fisiche e psicologiche con grande bravura. Proprio l’attore americano, nella presentazione del film a Venezia è riuscito a ben sintetizzare il motivo del fascino del personaggio di Barney “... non c’è alcuna lezione da imparare dalla vita di Barney Panofsky. Non è un racconto moralista e di certo non pretende di insegnare a vivere, perchè quello che ti vuole fare capire è che non ci sono regole per vivere la vita. E’ piuttosto un libro che ti fa riflettere sulla gioia e sulla compassione per le nostre esistenze. Per questo motivo si prova empatia con Barney, nonostante sia un adorabile bastardo, un romantico frustrato e un ossessivo compulsivo”.
E se proprio vogliamo trovare una regola per vivere, ce la indica il creatore di Barney, Mordecai Richler: “ci vogliono settantadue muscoli per fare il broncio ma solo dodici per sorridere. E allora provaci per una volta!”.
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xerox
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martedì 23 giugno 2015
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non me ne voglia giamatti....
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... nel film che doveva essere la sua consacrazione, e attore che mi piace un bel po'(a proposito, ma a parte me, c'è qualcun altro che lo trova MOLTO somigliante a Franz di Ale e Franz?), ma i minuti illuminanti del film sono per me quelli in cui c'è lo STREPITOSO Dustin Hoffman. Appena appare, lo schermo è suo, non ce n'è per nessuno.
Penso che potrebbe fare anche lo spot del Ciappi e sarebbe sempre... inarrivabile. Nella vecchiaia è diventato un mostro come Pacino, De Niro, Freeman... Per me il film, sicuramente buono come svolgimento, è decisamente troppo lungo. Trovo insopportabile il continuo ricorso al bicchiere e alla bottiglia, mi mette un'ansia insopportabile. E grazie a Giamatti per la scena in cui se ne esce in boxer e panzotta per impalmare la meravigliosa Rosamund Pike.
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... nel film che doveva essere la sua consacrazione, e attore che mi piace un bel po'(a proposito, ma a parte me, c'è qualcun altro che lo trova MOLTO somigliante a Franz di Ale e Franz?), ma i minuti illuminanti del film sono per me quelli in cui c'è lo STREPITOSO Dustin Hoffman. Appena appare, lo schermo è suo, non ce n'è per nessuno.
Penso che potrebbe fare anche lo spot del Ciappi e sarebbe sempre... inarrivabile. Nella vecchiaia è diventato un mostro come Pacino, De Niro, Freeman... Per me il film, sicuramente buono come svolgimento, è decisamente troppo lungo. Trovo insopportabile il continuo ricorso al bicchiere e alla bottiglia, mi mette un'ansia insopportabile. E grazie a Giamatti per la scena in cui se ne esce in boxer e panzotta per impalmare la meravigliosa Rosamund Pike. Paul, hai dato speranza a milioni di maschi un pò chiattulelli come me! Ce la possiamo fare!!!
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gabry
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martedì 5 marzo 2013
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bellissimo
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io non ho letto il libro, e ne sono contenta!! perchè ieri sera alla televisione ho visto questo bellissimo film che mi ha dato e lasciato delle emozioni stupende
mi è rimasto dentro la delicatezza, la tenerezza di questo amore unico e grande, sinceramente non sapevo niente nè del libro nè del film e forse anche per questo sono riuscita ad apprezzarlo in pieno
penso che ogni film andrebbe visto così, senza conoscere nulla, neppure la trama....perchè solo così potrà darti intense emozioni
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ultimoboyscout
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mercoledì 29 agosto 2012
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(gia)matti da legare!
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E' il viaggio a ritroso di Barney Panofsky, che superati i sessant'anni ripercorre la sua vita fra amori, entusiasmi e illusioni ormai perse per chiarire definitivamente le cause della morte dell'amico Boogie che molti credono sia stato ucciso da lui. Deve essere stato un lavoro durissimo e complicatissimo riadattare il romanzo cult (ben 500 pagine!) di Mordecai Richler: il risultato è più che soddisfacente nonostante qualche inevitabile pecca. La regia non ha particolari guizzi o meriti ma assieme ad una sceneggiatura onesta e lineare smussa gli angoli della perfidio indirizzando la storia sui binari della commedia, fino a farla sbandare (per fortuna solo) nel finale, decisamente patetico.
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E' il viaggio a ritroso di Barney Panofsky, che superati i sessant'anni ripercorre la sua vita fra amori, entusiasmi e illusioni ormai perse per chiarire definitivamente le cause della morte dell'amico Boogie che molti credono sia stato ucciso da lui. Deve essere stato un lavoro durissimo e complicatissimo riadattare il romanzo cult (ben 500 pagine!) di Mordecai Richler: il risultato è più che soddisfacente nonostante qualche inevitabile pecca. La regia non ha particolari guizzi o meriti ma assieme ad una sceneggiatura onesta e lineare smussa gli angoli della perfidio indirizzando la storia sui binari della commedia, fino a farla sbandare (per fortuna solo) nel finale, decisamente patetico. La qualità generale è mantenuta altissima da Dustin Hoffman, inarrestabile e vitale come non mai e da un grandioso Giamatti che raggiunge i suoi migliori livelli come ai tempi di "Sideways". Per entrambi prove da Oscar! Nonostante si vada oltre le due ore, la pellicola non è mai noiosa, ci si diverte a ripercorrere la vita, spesso fuori misura e fuori registro di Barney, affollata di mogli e figli in cui la versione cinematografica è soft rispetto a quella scritta ma ha un equilibrio pazzesco che rende il film godibile e scorrevole, fluido nei suoi dialoghi. Un film anche commovente che stupisce e diverte, infonde la giusta dose di malinconia e risulta molto ben interpretato. Nonostante venga messa la museruola al buon Barney per renderlo meno eversivo, eccentrico e sfacciato rispetto all'originale.
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alessandro guatti
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venerdì 22 giugno 2012
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un adattamento non riuscito
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Qualcuno sostiene che non bisognerebbe parlare di un film confrontandolo con il romanzo da cui è tratto. In parte sono d'accordo, perché ritengo che essi rappresentino due opere d’arte distinte. Eppure bisogna farlo, perché il rapporto con la fonte è uno dei tratti caratteristici di un adattamento. Non si può realizzare un film traendolo da un libro e poi aspettarsi e che il pubblico non confronti le due opere. Siamo tutti consapevoli del fatto che misurarsi con una trasposizione non sia cosa semplice. Tentare di portare sullo schermo un romanzo, di trasformare un’opera letteraria in un’opera cinematografica, è un’impresa ardua, che spesso fallisce.
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Qualcuno sostiene che non bisognerebbe parlare di un film confrontandolo con il romanzo da cui è tratto. In parte sono d'accordo, perché ritengo che essi rappresentino due opere d’arte distinte. Eppure bisogna farlo, perché il rapporto con la fonte è uno dei tratti caratteristici di un adattamento. Non si può realizzare un film traendolo da un libro e poi aspettarsi e che il pubblico non confronti le due opere. Siamo tutti consapevoli del fatto che misurarsi con una trasposizione non sia cosa semplice. Tentare di portare sullo schermo un romanzo, di trasformare un’opera letteraria in un’opera cinematografica, è un’impresa ardua, che spesso fallisce. La complessità della tessitura di un racconto non sempre riesce ad essere tradotta o trasposta in un medium altro rispetto alla letteratura. D’accordo, nel passaggio non dobbiamo necessariamente ambire ad una fedele trasposizione. Anzi: quando si decide di tradurre un romanzo in un film bisogna cercare di realizzarne una rielaborazione che aggiunga qualcosa all’opera di partenza. Non fraintendetemi: non sto dicendo che sia necessario stravolgere l’impianto narrativo o inventare ambienti e personaggi. L’aggiunta può essere data anche dalla semplice offerta della visualizzazione di ambienti, storie e soprattutto atmosfere che il romanzo di partenza aveva scatenato nella nostra mente e nella nostra fantasia. Vedere lì, sullo schermo davanti ai proprio occhi, ciò che prima era soltanto una proiezione immaginifica delle parole scritte rappresenta già per lo spettatore una gratificazione cinematografica. Ma questa versione della Versione di Barney è un’operazione (chiaramente commerciale) che ha come effetto un togliere anziché un aggiungere. Qual è infatti il valore aggiunto di questo film? Tanto per cominciare, non è chiaro a cosa dovrebbe riferirsi il titolo. Se nel romanzo è Barney stesso a narrare la sua vita per raccontare la sua versione (dei fatti), diversa da quella che il mondo è stato indotto a credere, in questo film non c’è alcuna versione! C’è unicamente la storia raccontata. Concordo sul fatto che la voce fuori campo offra una via d’uscita troppo facile alle difficoltà della narrazione letteraria e quindi non disprezzo la scelta di un racconto esposto attraverso una narrazione oggettiva a focalizzazione zero anziché una in prima persona come quella del romanzo. Ma che si sia perso per strada il fatto che Barney inizi a raccontare la sua vita per offrire la sua versione dei fatti in merito all’omicidio dell’amico, mi pare davvero troppo. Oltretutto in questo modo si è persa anche la dialettica con gli altri personaggi a proposito della fiducia in Barney (sarà colpevole o no?), nonchè l'introduzione di un secondo narratore che prosegua la storia e sveli il mistero (praticamente assente nel film) quando Barney muore. La struttura narrativa è completamente alterata per riportarla ad un’ordinaria narrazione cronologica, perdendo così la complessità della narrazione a ritroso e soprattutto la dualità tra il presente dell’atto della narrazione e il passato dell’oggetto della narrazione. La storia è talmente appiattita che non solo non dà spazio sufficiente ad alcuno dei temi salienti del libro (la malattia, la memoria, l’amicizia, l’amore), ma non rende quasi nemmeno comprensibile quali siano i temi di cui l’opera ci stia parlando. La morte dell’amico è rappresentata come uno dei tanti eventi della vita di Barney (e invece nel romanzo è avvertito profondamente e perseguita Barney per tutta la vita, arrivando ad essere per via indiretta - ma neanche più di tanto - proprio il motivo per cui egli senta il bisogno di offrire la sua versione). L’innamoramento e l’amore eterno per Miriam sono descritti nel romanzo con una tale poesia e un tale impeto vitale che nel film sembrano davvero “ridotti”, imprigionati in una lunghezza prestabilita. Le particolarità del carattere del protagonista (pur se ottimamente interpretato da Paul Giamatti) sembrano passate sotto una pialla che le abbia talmente uniformate a quelle di un qualsiasi protagonista di una qualsiasi storia da renderlo irriconoscibile. L’identità ebraica della famiglia Panofsky sarebbe praticamente ignorata, se non fosse per qualche “Mazel Tov” e il dialogo con la prima moglie all’aeroporto, oppure per il personaggio del padre (un Dustin Hoffman in gran forma) che avrebbe meritato più spazio. Alla luce di tutte queste riflessioni, non voglio dire che quello di Richard J. Lewis sia un brutto film, perché non è così: gli interpreti sono bravi e la regia è buona, ma la sceneggiatura risente moltissimo del confronto con il romanzo e ne esce purtroppo perdente. Il film è bello, ma francamente lo ritengo inutile.
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alexmolle
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venerdì 16 marzo 2012
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non male...
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Il film non è male, forse un po' tirato per le lunghe in alcuni punti.
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colibrì
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domenica 8 gennaio 2012
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una specie di bignami del libro...
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Conclusa la lettura de La versione di Barney, mi sono buttata sul film. Classico esempio di trasposizione cannata, a mio modesto parere... Intanto non si capisce il titolo: se nel libro io interpreto che "la versione" si riferisca all'ipotetico omicidio di Boogie, nel film non c'è nemmeno un accenno al processo e comunque la scomparsa di Boogie resta un puntino piccolo piccolo, al massimo il "deus ex machina" per giustificare il sacrosanto divorzio dalla seconda signora Panofsky.
Poi non esistono praticamente i flashback, che nel libro fanno percorrere tre epoche storiche. Nel film poco o niente e solo una scena sulla gioventù strapazzata, giusto per presentare Clara che avrebbe meritato molto di più.
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Conclusa la lettura de La versione di Barney, mi sono buttata sul film. Classico esempio di trasposizione cannata, a mio modesto parere... Intanto non si capisce il titolo: se nel libro io interpreto che "la versione" si riferisca all'ipotetico omicidio di Boogie, nel film non c'è nemmeno un accenno al processo e comunque la scomparsa di Boogie resta un puntino piccolo piccolo, al massimo il "deus ex machina" per giustificare il sacrosanto divorzio dalla seconda signora Panofsky.
Poi non esistono praticamente i flashback, che nel libro fanno percorrere tre epoche storiche. Nel film poco o niente e solo una scena sulla gioventù strapazzata, giusto per presentare Clara che avrebbe meritato molto di più.
Poi i figli di Barney sono tre e sono adulti e anche la loro storia è interessante a sè. Nel film sono due giovani anonimi, uno rancoroso e l'altra tenerina come la madre.
Avvocato ebreo zero, eppure era anche forte.
Terry Mc Iver, amico-nemico inesistente, eppure "la versione" potrebbe riferirsi anche a lui: l'autobiografia di Panofsky nasce proprio dall'esigenza di smontare i racconti di Terry, compresa la sua versione del presunto omicidio.
Miriam è splendida e dolcissima, e si capisce che la famiglia è felice come è felice nel libro. Ma è una patatina lessa, sempre con la solita espressione da donna perfetta, quella che chiunque vorrebbe avere a fianco. Di quanto Barney si sia macerato per lei dopo la separazione, nulla.
Azzeccatissima invece la Seconda signora Panofsky, proprio come me l'aspettavo! Uno spasso di snobismo!
Infine il caro Dustin Hoffman. Splendido. Ma troppo tenero e saggio rispetto al libro dove Izzy è un beone, maniaco, sporcaccione, simpaticissimo ex sbirro, che imbarazza costantemente il figlio. Troppo signorile, quando se la cava con i suoceri di Barney alla cena e, se non ho ascoltato male, nemmeno un rutto! Comunque degnissimamente rappresentato il rapporto tra padre e figlio.
L'alzheimer, che nel film si trova in un finale precipitoso e drammatico, nel libro "convive" con flashback, ricordi e rapporti confusi.
In generale, se dal libro avevo comunque ricavato il messaggio che vale la pena di vivere, anche negli eccessi, non fosse altro che per amicizia e amore, dal film sono uscita con la bocca impastata di tristezza e vecchiaia.
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target87
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giovedì 1 dicembre 2011
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sincero
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molto bello ed emozionante...l'ostinazione di un uomo con mille difetti e vizi nel cercare e rincorrere la donna della sua vita...vero,sincero e anche umoristico anche grazie a uno splendido dustin hoffman...da un film malinconico e introspettivo non vedo come ci si possa aspettare che "decolli" come qualcuno fa presente...ci sono dei valori sani come la protezione di un figlio verso il proprio padre che diventa più un consigliere che un giudice. è un film che ricorderò.
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