rongiu
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martedì 7 giugno 2011
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e, meno male, che il somaro c'è.
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L'uomo merita sempre la massima attenzione.
Ciò che vediamo, ascoltiamo, è sempre reale? E se non fosse così? Le persone che ci affiancano nel quotidiano, dopo tanti anni, in cosa si sono trasformate? E se le distorsioni qualche volta possono aiutarci a vivere? Una volta percepito il reale, siamo sempre in grado di affrontarlo? E la magia della vita, che cos’è? Un articolato percorso di pensiero/azione, all’interno di altrettanto articolato gruppo, non più in grado di rielaborare il proprio tempo, i propri costumi. Un uomo dai capelli bianchi, amico di una diciottenne, un senatore della vita, saprà trasmettere, “senza esasperare”, tranquillità emotiva.
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L'uomo merita sempre la massima attenzione.
Ciò che vediamo, ascoltiamo, è sempre reale? E se non fosse così? Le persone che ci affiancano nel quotidiano, dopo tanti anni, in cosa si sono trasformate? E se le distorsioni qualche volta possono aiutarci a vivere? Una volta percepito il reale, siamo sempre in grado di affrontarlo? E la magia della vita, che cos’è? Un articolato percorso di pensiero/azione, all’interno di altrettanto articolato gruppo, non più in grado di rielaborare il proprio tempo, i propri costumi. Un uomo dai capelli bianchi, amico di una diciottenne, un senatore della vita, saprà trasmettere, “senza esasperare”, tranquillità emotiva. Quanti seguiranno con profitto le sue lezioni?
Marcello \Sergio Castellitto/. Migliore attore protagonista. Marcello ha due anime e due corpi. La luce corporea la riserva alla sua collaboratrice; quella eterea gli proviene dalle stelle, è proprio lì che ha la testa, Marcello, nelle stelle ma lui purtroppo non sa né guardarle né “capirle”. E’ un vero peccato, perché Marcello, quello originale, era… Marcello. Pensate, il vero Marcello, anni addietro è riuscito a far innamorare Marina \ Laura Morante /. Migliore attrice protagonista.
Marina è una psicologa. Brava, ma con un problema molto serio. Il tempo. Ma non il suo tempo, ormai andato chissà dove; quello degli altri, quello dei suoi pazienti. Lei ha bisogno di più tempo perché ama “Ascoltare”, vuole “Ascoltare di più”, purtroppo tutti vogliono attenzione e per lei … \ Marcello, ma cosa combini. Ti sei accorto che tua moglie… / di notte indossa il collarino?
Venanzia \ Erika Blanc /. Venanzia è l’indovinatissimo Personaggio del film, quanti vorrebbero essere un pochino come lei? Non tace né soggiace. Le sue esternazioni sono da ascoltare; le sue carezzevoli attenzioni per la figlia sono da ricordare.
Marco Giallini \ Duccio / cardiologo. E’ malato e lo sa. La sua malattia si chiama “femmina”. Contrariamente agli altri, di tempo ne ha tanto, lo conta tra un sorriso ed uno sghignazzo aspettando che finisca.
Barbora Bobulova \ Lory / miglior attrice non protagonista. La “sua eterna ricerca del Piacere” è un “Inno alla Vita”. Lory è la cartina al tornasole della malattia di Duccio. Grande interpretazione, 5 stelle ed una Luna d’oro.
Gianfelice Imparato \ Valentino / E’ ancora in grado di desiderare qualche cosa? E di provare emozioni? Affetti ed Effetti personali sono in continuo contrasto. Il bollettino “Le quotazioni sull’Amore” danno i secondi in netto vantaggio sui primi.
Nina Torresi \ Rosa / vive di luce propria, troppa; inizialmente. Orgogliosa, altèra, presuntuosa? Forse no. Fiera e consapevole dei propri mezzi, certo si. Rosa è riflessiva, non lascia niente al caso, e conosce intimamente i suoi genitori. Questa avveduta cognizione, le permette di assumere il ruolo di “educatrice” genitoriale. Ruolo che svolge splendidamente ed a volte con un po’ di sottile “perfidia”. In campagna, con famiglia ed amici per il weekend, Rosa decide di presentare ai suoi, Armando.
Enzo Jannacci \ Armando /. Armando è molto ma molto più grande di Rosa. Ma quanto? Tanto da poter esser chiamato vecchio. I suoi capelli bianchi dicono tutto. Lui, Armando, non ha la testa separata dal corpo. Lui, Armando, è padrone del suo Tempo. Non è possibile non accorgersi della sua presenza. Di tutto ciò che fa o dice ne resta traccia. Armando dona a tutti i presenti “la consapevolezza del Tempo”, dopodiché decide di…
E, meno male, che il somaro c’è. Meno male, con la sua bellezza, mi ricorda chi somaro è.
E, meno male, che il somaro c’è. Meno male, non è in pensione, può ancora dirmi della mia evoluzione.
E, meno male che il somaro c’è. Non può parlare, ma sa ragliare
ed il suo raglio è come un taglio, un po’ profondo…
ma dai non ti arrabbiare, prova a ragliare, ti accorgerai che dentro te un po’ di somaro, o, o, o,
certamente c’è.
Evviva il somaro. Evviva, evviva.
:-O
Good Click!
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[+] ipocrisie e nevrosi di una generazione
(di vecchiomio)
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olgadik
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martedì 21 dicembre 2010
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con un pizzico di buon gusto in più!
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Una ragazza diciassettenne, Rosa, un padre e una madre sui cinquanta, i loro amici un gruppo di borghesi sfasati e radical-chic, il terzo incomodo: il fidanzato della ragazzina. Che però ha un “vizietto”, quello di essere un settantenne con tanto di criniera bianca e la faccia un po’ legnosa ed attonita di Enzo Jannacci. Infine il gruppetto di coetanei della ragazza, quelli che hanno la bellezza del somaro, cioè quella forza e primitiva naturalezza che è propria di chi è giovane. Su tutti, Marcello (Sergio Castellitto) e Marina (Laura Morante), genitori insicuri e poco autorevoli persino con la cameriera. Il padre si comporta come un amico della figlia, senza mai dialogare in profondo e sorvolando su tutto, preferendo il lavoro (è un architetto modaiolo) e la tecnica dello struzzo.
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Una ragazza diciassettenne, Rosa, un padre e una madre sui cinquanta, i loro amici un gruppo di borghesi sfasati e radical-chic, il terzo incomodo: il fidanzato della ragazzina. Che però ha un “vizietto”, quello di essere un settantenne con tanto di criniera bianca e la faccia un po’ legnosa ed attonita di Enzo Jannacci. Infine il gruppetto di coetanei della ragazza, quelli che hanno la bellezza del somaro, cioè quella forza e primitiva naturalezza che è propria di chi è giovane. Su tutti, Marcello (Sergio Castellitto) e Marina (Laura Morante), genitori insicuri e poco autorevoli persino con la cameriera. Il padre si comporta come un amico della figlia, senza mai dialogare in profondo e sorvolando su tutto, preferendo il lavoro (è un architetto modaiolo) e la tecnica dello struzzo. La madre, psicologa, ostenta anche lei convinta modernità e atteggiamenti privi di pregiudizi e intanto bamboleggia con la figliola. Nel loro clan di adulti sono tutti dello stesso stampo: nessuno capisce niente della propria vita o riesce a darle un senso e spesso i ruoli si rovesciano fino ad arrivare a farsi rifornire di canne dai figli. A loro, già di per sé pittoreschi, si aggiungono la madre di Marina, buona borghese che ha il culto degli animali e guarda con svampita acrimonia agli umani, e due pazienti della psicologa: la giovane in cura va succhiando dal biberon alcolici vari, l’altro paziente maschio ha la fissa del Settimo Sigillo, che riguarda e rivive in ogni occasione. E tutti in un balzano girotondo con ritmi farseschi da cinema muto. Aggiungete un casale in Toscana, aperto a chiunque, fucina ininterrotta di cibi da sgranocchiare in ogni ora, ricettacolo di stravolti week-end per riprendere il lunedì la non-vita nei non-luoghi. Ma questa volta c’è una novità annunciata da Rosa: l’arrivo del nuovo strano fidanzato: ecco il settantenne, saggio, silenzioso testimone dei loro tic e delle loro nevrosi giovanilistiche. Perciò sarà lui a fare da detonatore delle contraddizioni di tutti fino a un lieto fine che strizza maliziosamente l’occhio al pubblico: è pur sempre Natale. Certamente la prima parte del film, opera terza di Castellitto, scritta da Margaret Mazzantini sua moglie, ha un inizio che promette bene. Ritmo giusto e veloce, battute fulminanti e divertenti, citazioni di linguaggio azzeccate, fotografia accurata anche se non originalissima. Ma tutto questo nel secondo tempo diventa teatrale in modo eccessivo, il ritmo della farsa si fa abusato, i dialoghi prolissi e urlati sono poco convincenti, le citazioni pretenziose e caricate. Quello poi che dovrebbe essere il deus ex machina, alias il fidanzato attempato, è la figura più scolorita in tanto colore degli altri, così da girare quasi a vuoto. In tal modo una commedia intelligente si trasforma in qualcosa di sovrabbondante e ripetitivo e non vale citare Nabokov o Checov per riscattarla.-
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matteobaldan
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giovedì 6 gennaio 2011
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il dramma cinema che non ha saputo crescere
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La Bellezza del Somaro di Sergio Castellitto è una commedia generazionale giocata sul rapporto genitori e figli, con i primi che non sanno fare i genitori, in quanto affetti da nevrosi infantile.
Castellitto stanta a trovare una sua voce e la prende così in prestito dal Nanni Moretti prima maniera – Marina, il personaggio interpretato da Laura Morante è tipicamente morettiano – calandola in una commedia leggera, fatta di personaggi-macchietta.
Il film finisce col rivelare il dramma di autore e di un cinema che non hanno osato crescere, schiacciati dal peso di padri e fratelli maggiori.
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a.mac
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martedì 21 dicembre 2010
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commedia (italiana) progressista? no grazie
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Se questa è la premessa di ciò che viene definita: “commedia progressista”, bisogna riconoscere che in quanto a qualità ed originalità la “commedia conservatrice” rimane la regina, almeno in Italia. Il ritmo frastornante che in un paese abituato ai reality potrebbe funzionare, fallisce di fronte a un pubblico capace di discernere la differenza che passa tra linguaggio cinematografico e linguaggio televisivo. Un film di palese matrice autoreferenziale, nevrotico, intenzionato a rappresentare al meglio un ovvio che si allontana dal conformismo anziché rappresentarlo sagacemente. Al di là di tutto non riesco a capire cosa abbia spinto l’autore a scegliere una storia che sberleffa un gruppo isolato di noiosi borghesi benestanti.
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Se questa è la premessa di ciò che viene definita: “commedia progressista”, bisogna riconoscere che in quanto a qualità ed originalità la “commedia conservatrice” rimane la regina, almeno in Italia. Il ritmo frastornante che in un paese abituato ai reality potrebbe funzionare, fallisce di fronte a un pubblico capace di discernere la differenza che passa tra linguaggio cinematografico e linguaggio televisivo. Un film di palese matrice autoreferenziale, nevrotico, intenzionato a rappresentare al meglio un ovvio che si allontana dal conformismo anziché rappresentarlo sagacemente. Al di là di tutto non riesco a capire cosa abbia spinto l’autore a scegliere una storia che sberleffa un gruppo isolato di noiosi borghesi benestanti. Se c’è un significato semantico, vi prego, aiutatemi a capirlo.
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vipera nera
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domenica 26 dicembre 2010
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bozzetto pariolo
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Dire che è un film inzeppato di luoghi comuni riferiti alla borghesia romana con casale in Toscana ed attico con vista mozzafiato, sarebbe maramaldeggiare con chi "tira quattro paghe per il lesso" confezionando un cinepanettone farcito di sensi di colpa che la maggior parte degli italiani non ha. Il film è grossolanamente autorefenziale. La regia di Castellitto appare scolastica e non è sopportabile che da una sceneggiatura "intellettuale" come quelle della Mazzantini spunti persino una torta in faccia, forse per accontentare gli spettatori che l'hanno preferita a De Sica ed a Belèn. Veramente da menzionare la fotografia che sembra sprecata per una pellicola di questo livello.
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everlong
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venerdì 28 gennaio 2011
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scarsa originalità ma con un pizzico di novità
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Credo che da Castellitto sia doveroso aspettarsi qualcosa di più. Ancora una volta siamo di fronte ad una tematica già molto trattata e discussa in molti film italiani relativamente recenti. Ambiguità e confusione di ruoli, conflitti generazionali, una borghesia sempre più incerta della propria posizione e succube del confronto con il passato. Per dovere di cronaca diciamo, innanzitutto, che il film è ben girato. Si lascia spazio ad una cura formale di alcune scene al di sopra della media. Anche la fotografia è piuttosto buona e ben si adatta, a volte supportando, a volte contrastando, il clima di fondo che si respira nel film. La tematica, si potrà dire senza paura di esser smentiti, è piuttosto ridondante, e questo un po' frena il film, in quanto lo spettatore sin dall'inizio capisce che cosa si trova davanti; più o meno intuisce cosa succederà e forse anche come andrà a finire.
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Credo che da Castellitto sia doveroso aspettarsi qualcosa di più. Ancora una volta siamo di fronte ad una tematica già molto trattata e discussa in molti film italiani relativamente recenti. Ambiguità e confusione di ruoli, conflitti generazionali, una borghesia sempre più incerta della propria posizione e succube del confronto con il passato. Per dovere di cronaca diciamo, innanzitutto, che il film è ben girato. Si lascia spazio ad una cura formale di alcune scene al di sopra della media. Anche la fotografia è piuttosto buona e ben si adatta, a volte supportando, a volte contrastando, il clima di fondo che si respira nel film. La tematica, si potrà dire senza paura di esser smentiti, è piuttosto ridondante, e questo un po' frena il film, in quanto lo spettatore sin dall'inizio capisce che cosa si trova davanti; più o meno intuisce cosa succederà e forse anche come andrà a finire. Tuttavia, bisogna dargli atto che, nonostante l'inevitabile mancanza di originalità generale (dovuta anche al fatto che spesso sono proprio le commedie ad affrontare queste tematiche), riesce a imporre un pizzico di novità nella trattazione di questi argomenti, soprattutto per quanto riguarda il "conflitto generazionale": non vi sono più posizioni assolute, chiare, inequivocabili ed evidenti, tali da imporre facili immedesimazioni e scontati "parteggiamenti". Castellitto riesce bene a suggerire questa sorta di confusione e di nebbiosità sociale che avvolge la società italiana, dove le generazioni, sebbene lontane anni luce dal punto di vista economico e politico, in fondo si ritrovano accomunate dalla mancanza di certezze, di ideologie in grado di dare senso alla propria vita, al proprio lavoro, alla propria famiglia e al proprio futuro. Né le vecchie generazioni sessantottine né i giovani sembrano essere in grado di convincerci a stare dalla loro parte: le argomentazioni sono povere e traballanti, le richieste banali e sempre uguali ed è per questo che vengono fuori nella loro scarsa efficacia ma forti nel suggerire questo clima di precarietà generale, precarietà che forse è più umana che economica.
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marxia1789
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giovedì 13 gennaio 2011
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quel somaro di castellitto
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Col titolo "La bellezza del somaro" si vuole rimandare alla bellezza del giovane un po' stolto e, quasi di contrappunto, il film di Sergio Castellitto intende trattare il tema della vecchiaia. Purtroppo, però, questo lo si capisce solamente grazie al discorso finale del protagonista, mentre il film sembra più che altro essere una storia di e per genitori: tre famiglie con figli, accompagnate da ospiti non troppo graditi, si ritrovano in una cascina nella sublime campagna toscana per passare assieme il ponte dei morti; l'elemento che causerà più scompiglio (il fidanzato settantenne di Rosa, la figlia minorenne dei protagonisti) sarà anche quello che riuscirà a portare una spolverata di poesia all'interno dello sgangherato gruppo.
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Col titolo "La bellezza del somaro" si vuole rimandare alla bellezza del giovane un po' stolto e, quasi di contrappunto, il film di Sergio Castellitto intende trattare il tema della vecchiaia. Purtroppo, però, questo lo si capisce solamente grazie al discorso finale del protagonista, mentre il film sembra più che altro essere una storia di e per genitori: tre famiglie con figli, accompagnate da ospiti non troppo graditi, si ritrovano in una cascina nella sublime campagna toscana per passare assieme il ponte dei morti; l'elemento che causerà più scompiglio (il fidanzato settantenne di Rosa, la figlia minorenne dei protagonisti) sarà anche quello che riuscirà a portare una spolverata di poesia all'interno dello sgangherato gruppo. Tutto resterà come prima, ma servirà a far aprire gli occhi a ognuno di loro. Il minestrone di personalità che ci vengono presentate, così varie e fitte, è consolatorio e a tratti frizzante ma, ahinoi, vengono spiegati al pubblico solo i personaggi più "facili" : la psicologa e l'architetto in crisi, la figlia ribelle, la no global insopportabile e i due divorziati che non vogliono crescere. Enzo Jannacci, che fa coppia con la giovane Nina Torresi, sembra quasi surreale, ed è un merito del regista l'essere riuscito a renderlo tale, allontanando dal film ogni possibilità di cadere nel morboso. I due pazienti con problemi psichici in cura dalla Morante riescono a fornire dei siparietti divertenti, ma il mondo dei restanti personaggi più giovani viene a malapena sfiorato, e il considerarli privi di spessore non autorizza gli sceneggiatori a riempir loro la bocca di frasi fatte. Nonostante ciò, la commedia è gradevole e scivola via in fretta, ma è un peccato che gli spunti più interessanti arrivino solamente verso la parte finale, e, soprattutto, resta ancora un mistero il perché non sembri concepibile per il cinema italiano portare sullo schermo una donna sulla quarantina senza farla scoppiare, prima o poi, in una crisi di nervi.
Comunque sia, diverte e rilassa: andatelo a vedere.
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luca scialò
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martedì 16 agosto 2011
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psicanalisi nevrotica dei cinquantenni
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Marcello è un architetto alla soglia dei cinquant'anni, padre e marito poco presente, con tanto di giovane e bella amante; la più classica di tutte: la sua assistente. Sua moglie, Marina, è una psicologa poco soddisfatta della vita coniugale, nonché madre apprensiva e mai preparata agli umori della figlia. Quest'ultima è Rosa, diciassettenne che cambia di tanto in tanto fidanzato ed è, come tutti i suoi coetanei, in continuo conflitto generazionale con i suoi genitori.
Durante un weekend nella loro casa in campagna, in compagnia degli amici di sempre, tutti nevrotici e alle prese anch'essi col difficile rapporto con i figli, Rosa presenta ai suoi il suo nuovo fidanzato: Armando, un settantenne saggio e calmo.
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Marcello è un architetto alla soglia dei cinquant'anni, padre e marito poco presente, con tanto di giovane e bella amante; la più classica di tutte: la sua assistente. Sua moglie, Marina, è una psicologa poco soddisfatta della vita coniugale, nonché madre apprensiva e mai preparata agli umori della figlia. Quest'ultima è Rosa, diciassettenne che cambia di tanto in tanto fidanzato ed è, come tutti i suoi coetanei, in continuo conflitto generazionale con i suoi genitori.
Durante un weekend nella loro casa in campagna, in compagnia degli amici di sempre, tutti nevrotici e alle prese anch'essi col difficile rapporto con i figli, Rosa presenta ai suoi il suo nuovo fidanzato: Armando, un settantenne saggio e calmo. Molto di più di tutti gli altri presenti. Il loro strambo rapporto inquieta ancor di più Marcello e Marina, dalla vita già paranoica e complicata.
Castellitto propone un lungometraggio che cavalca un tema ormai abusato da fiction e film per il grande schermo: la crisi di mezza età e il conflitto intergenerazionale tra genitori e figli. Il buon Sergio, al suo quarto film, psicanalizza in modo nevrotico e duro i suoi coetanei. Quelli che non vogliono invecchiare, che hanno mandato all'aria gli ideali per cui hanno lottato da giovani e che non riescono ad imporsi coi propri figli. Il risultato finale è un film impulsivo, estremizzato, nevrotico appunto. Una tensione che neanche la calma saggia di Jannacci - nei panni di Armando - riesce a placare. O la bravura dello stesso Castellitto e di Laura Morante, quest'ultima nei panni sempre ben portati della moglie che reprime dentro sé molti problemi.
Insomma un'analisi sociologica e una psicanalisi sui genitori quarantenni e cinquantenni di oggi che non aggiunge nulla alla carriera di Sergio Castellitto. Aspettando con fiducia il prossimo lavoro, che siamo sicuri, sarà all'altezza della sua bravura...come attore.
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achab50
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giovedì 5 novembre 2015
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jannacci c'è (ancora) !!!!
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Si, confesso, sono di parte. Anche solo aver avuto il piacere di riveder Jannacci, sia pure provato e pensieroso, che interpreta sè stesso, mi ha ripagato dell'intera serata.
Non voglio fare il serioso, il film non è certo di denuncia. E' un'opera che vuol sbeffeggiare una certa borghesia romana (ma non solo) sedicente radical chic ma che all'atto pratico si rivela retriva, conservatrice, razzista e confusionaria.
Castigat ridendo mores. In questo film ci sono parecchie buone idee, molti attori che recitano magnificamente. Si certo la regia è un po' arruffona, alcuni personaggi sono lì e non si capisce chi sono e perchè, alcune situazioni non sono chiare.
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Si, confesso, sono di parte. Anche solo aver avuto il piacere di riveder Jannacci, sia pure provato e pensieroso, che interpreta sè stesso, mi ha ripagato dell'intera serata.
Non voglio fare il serioso, il film non è certo di denuncia. E' un'opera che vuol sbeffeggiare una certa borghesia romana (ma non solo) sedicente radical chic ma che all'atto pratico si rivela retriva, conservatrice, razzista e confusionaria.
Castigat ridendo mores. In questo film ci sono parecchie buone idee, molti attori che recitano magnificamente. Si certo la regia è un po' arruffona, alcuni personaggi sono lì e non si capisce chi sono e perchè, alcune situazioni non sono chiare. Poco accettabile il lungo finale in cui si vuol sistemare tutto ma proprio tutto non lasciando aperto nulla.
E' comunque divertente, fresco, fa persino meditare, per cui tre stelle sono strameritate.
Perchè ne ho date cinque? Beh, c'è Jannacci, c'era Jannacci ed era commovente. Lunga vita nella nostra memoria al vecchio Enzo!
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carla panariello
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domenica 26 dicembre 2010
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una generazione al centro di una crisi di nervi
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Il film di Castellitto ricalca l'intramontabile genere della commedia all'italiana, puntando il dito su vizi e difetti della moderna borghesia, che ormai non è più sull'orlo, ma al centro di una conclamata ed irreversibile crisi di nervi.
Quelli che vissero il post 68 e passarono attraverso gli anni di piombo, sono allo sbando, alla mercé di figli che, in realtà, sognerebbero una famiglia vecchio stampo, proprio quella che in questi anni si è tentato di evitare.
L'arrivo dell'anziano fidanzato della figlia svelerà tutti i finti equilibri e la particolarità è che quest'uomo non fa nulla perché ciò avvenga, basterà la sua presenza "da nonno" (non a caso in una scena lo si vede leggere un libro ai giovani ospiti della casa, prima di andare a dormire) a sconvolgere chi in realtà non desiderava che essere sconvolto.
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Il film di Castellitto ricalca l'intramontabile genere della commedia all'italiana, puntando il dito su vizi e difetti della moderna borghesia, che ormai non è più sull'orlo, ma al centro di una conclamata ed irreversibile crisi di nervi.
Quelli che vissero il post 68 e passarono attraverso gli anni di piombo, sono allo sbando, alla mercé di figli che, in realtà, sognerebbero una famiglia vecchio stampo, proprio quella che in questi anni si è tentato di evitare.
L'arrivo dell'anziano fidanzato della figlia svelerà tutti i finti equilibri e la particolarità è che quest'uomo non fa nulla perché ciò avvenga, basterà la sua presenza "da nonno" (non a caso in una scena lo si vede leggere un libro ai giovani ospiti della casa, prima di andare a dormire) a sconvolgere chi in realtà non desiderava che essere sconvolto. A me è piaciuto questo film ricco di battute cattive, che però non graffiano più di tanto, critico, ma alla fin fine buonista; un film in cui una porchetta può salvare una coppia in crisi, in cui un fidanzato sbagliato capisce da solo di dove andar via, senza nemmeno essere invitato a farlo e che, addirittura, porterà con sé l'ex amante del protagonista, togliendo di mezzo un'altra presenza scomoda. Mi è piaciuto perché è proprio nella struttura, più che nel contenuto, lo specchio di questa società in cui nessuno riesce (o vuole) essere cattivo fino in fondo; definirei il film di Mazzantini/Castellitto un film della generazione del "ma anche", un film veltroniano: ci si scontra, ma anche ci si perdona; il vecchio fidanzato è al limite della pedofilia, ma anche un uomo galante; i figli sono insopportabili, ma anche piezz'e core. In questi giorni ho sentito molto dire sullo schiaffo liberatorio dato da Castellitto/Marcello alla figlia, personalmente avrei trovato liberatorio uno schiaffo della figlia ai genitori!
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