Agora |
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Un film di Alejandro Amenábar.
Con Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac, Ashraf Barhom.
continua»
Avventura,
durata 128 min.
- Spagna 2009.
- Mikado Film
uscita venerdì 23 aprile 2010.
MYMONETRO
Agora
valutazione media:
3,30
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Fatto storico dell'Egitto che entra nel Medioevo.di Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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martedì 3 novembre 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
AGORà (ESP, 2009) diretto da ALEJANDRO AMENABAR. Interpretato da RACHEL WEISZ, MAX MINGHELLA, OSCAR ISAAC, ASHRAF BARHOM, MICHAEL LONSDALE, RUPERT EVANS, HOMAYOUN ERSHADI, SAMMY SAMIR, RICHARD DURDEN, OMAR MOSTAFA
Alessandria d’Egitto, 391 dopo Cristo. La città egiziana, nell’impero nordafricano ormai decaduto, conserva ancora il suo antico splendore, rappresentato non soltanto dall’immensa biblioteca (la più grande al mondo dell’epoca) ma anche dal fervore della ricerca scientifica. Fra gli insegnanti del posto spicca, per acume e intelligenza, la bella e giovane Ipazia, figlia del geometra e filosofo Teone, che tiene lezioni ad una classe composta interamente di schiavi. Fra questi vi sono Oreste, musicofilo che cerca di attirare la sua attenzione, e Davo, ammaliato dalla sua bellezza e dalla sua cultura. Ma il problema più urgente che attanaglia Alessandria è la presenza di molteplici religioni su uno stesso territorio: convivono, in modo non troppo pacifico, pagani, cristiani ed ebrei. Guidati dal vescovo Cirillo e avvalendosi del braccio armato dei fanatici monaci parabalani, i cristiani, appoggiati anche dalla compiacenza di Roma, finiscono per prevalere e mettono a ferro e fuoco la metropoli costruendo un’autentica insurrezione, estremamente violenta, che invade le strade e distrugge irreversibilmente i preziosi manoscritti della biblioteca, nei quali è conservato l’intero sapere antico. I ribelli cristiani annullano così ogni altra forma di culto e regolano i conti con quello che oggidì verrebbe definito il "pensiero laico" di Ipazia. Il merito essenziale di questo kolossal (finalmente) di stampo del tutto europeo risiede soprattutto nell’aver dimostrato la pericolosità etica e sociale di ogni forma di fondamentalismo, testimoniando anche come questo esempio di spudorato fanatismo abbia radici talmente antiche da non poter essere considerato un fenomeno recente. Vincitore di sette premi Goya (gli Oscar spagnoli) su tredici candidature, Agorà ottiene i suoi meriti mettendo in scena un peplum che, contrariamente a quanto suggeriscono le apparenze, rifugge dalla via semplice di fare del mero moralismo ricorrendo ad uno degli episodi più efferati del tempo storico mondiale ormai affacciatosi all’Alto Medioevo. La pellicola di A. Amenábar fa luce sulla diatriba ancestrale fra verità della scienza e bisogno di sapere veritiero, ricerca della sincerità e necessità di instaurare un credo religioso efficace, amore per la patria e per lo studio e desiderio irrefrenabile e incontenibile di profondere la propria fede in un’entità superiore capace di ascoltare preghiere sempre più insistenti. Dall’altra parte, i suoi torti stanno nella rappresentazione di una violenza troppo schematizzata e programmatica, in cui non si vede altro che un Maciste gonfiato ed esaltato (nel quale l’orda cristiana, quasi fosse un esercito barbaro, si rispecchia con limpida sfacciataggine) insorto per abbattere le colonne di gommapiuma, espediente-ricordo della Cinecittà di un tempo. L’operato inconfutabilmente errato e biasimevole dei cristiani finisce per essere giustificato dalla voglia di imporre un culto religioso che tuttavia non si articola su basi solide, perché alla radice c’è una sceneggiatura che, pur valorizzando le motivazioni di ambedue gli schieramenti, non dà una spiegazione plausibile dei moventi che hanno portato i "cattivi" (i cristiani, appunto, il che suona abbastanza raro e insolito in un’opera cinematografica) a comportarsi come farebbero oggigiorno i terroristi di Al-Qaeda o del Califfato, innalzandosi quasi a criminali ante litteram delle due organizzazioni appena citate. Un altro demerito è l’eccessiva semplificazione delle lezioni di astronomia e le dissertazioni filosofiche sul tempo che passa: roba che sa troppo di libro di scuola abusato e che sembra stata inserita all’ultimo momento per riempire un vuoto, il quale è stato banalmente colmato con un sermone degno dei peggiori oratori. Segna invece un punto a favore l’interpretazione della Weisz, misurata e attenta alle dovizie di un personaggio così sfaccettato e arricchito, in grado di interagire abilmente con tutte le figure con cui entra in relazioni, sia positive che negative, che stabiliscono le sue decisioni in frangenti situazionali carichi della massima emergenza. Peccato che muoia nuda, e la cosa non accentua certo la sua bellezza fisica o il suo talento artistico. Accanto a lei, M. Lonsdale le fa da padre che frusta lo schiavo dichiaratosi cristiano (e dunque disobbediente agli ordini imperanti) e si fa poi bastonare da lui quando esplode la rivolta, mentre O. Isaac (che confermerà qualche anno più tardi la sua bravura recitativa in ottimi film come il Robin Hood di Ridley Scott e il coeniano A proposito di Davis) interpreta con sagacia e autoironia l’allievo Oreste che poi diventa prefetto e rimane sempre al fianco della sua amata insegnante, condividendone il pensiero coerente e la purezza nell’agire.
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