tina galante
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lunedì 22 gennaio 2007
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bobby, l’america che vorrei
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Bobby è un film da non perdere. Il regista Estevez ci offre uno straordinario spaccato del passato in grado di farci ripensare il presente. La figura di Bobby appare come un sogno infranto, intersecandosi nella quotidianità di 11 vite, casualmente incrociate nell’Hotel Ambassador. Il film, difatti, ricostruisce in maniera romanzata le quattro ore precedenti all’assassinio di Bob Kennedy. C’è l’America di quegli anni, con i suoi drammi piccoli e grandi, con i suoi sogni, con le sue atmosfere irripetibili: la contestazione giovanile, le cariche della polizia, i viaggi con l’acido, la paura di essere spediti al fronte della sporca guerra, i tradimenti, la frivolezza, la voglia di fare carriera, e su tutto scorrono le immagini di repertorio di Bobby che parla alla sua gente, in lingua originale, con sottotitoli in italiano.
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Bobby è un film da non perdere. Il regista Estevez ci offre uno straordinario spaccato del passato in grado di farci ripensare il presente. La figura di Bobby appare come un sogno infranto, intersecandosi nella quotidianità di 11 vite, casualmente incrociate nell’Hotel Ambassador. Il film, difatti, ricostruisce in maniera romanzata le quattro ore precedenti all’assassinio di Bob Kennedy. C’è l’America di quegli anni, con i suoi drammi piccoli e grandi, con i suoi sogni, con le sue atmosfere irripetibili: la contestazione giovanile, le cariche della polizia, i viaggi con l’acido, la paura di essere spediti al fronte della sporca guerra, i tradimenti, la frivolezza, la voglia di fare carriera, e su tutto scorrono le immagini di repertorio di Bobby che parla alla sua gente, in lingua originale, con sottotitoli in italiano. Un montaggio di rara eccellenza rende tutto omogeneo ed è difficile non lasciarsi trascinare nel vortice delle emozioni. Difficile non pensare ad oggi, alla politica estera degli States quando Bobby riferendosi al Vietnam si scopre a dire: "Hanno creato un deserto e lo chiamano pace". Difficile non pensare che ci sia la mano di un regista occulto, dietro gli omicidi di quegli anni, quando un protagonista di colore afferma senza dubbio e con un velo di amarezza: “Ora che non c’è più Martin Luther King ci rimane solo Bobby”. Bob Kennedy dopo l’assassinio del fratello si avvicinò molto al movimento per i diritti civili di King e si schierò, senza se e senza ma, per il ritiro immediato dei marines dal Vietnam. Riguardo alla guerra, il regista ha scelto la forza immediata delle immagini, proponendo un intercalare sapiente, con scene di marines rientrati in patria, avvolti in lugubri teli di plastica nera. Con l’omicidio di Bobby cala definitivamente il sipario sulla speranza di quell’America che desiderava un mondo più giusto e pacifico. Il film si chiude con il discorso di Bobby in cui esalta la compassione e l’amore, e una serie di foto di repertorio che lo immortalano nei momenti salienti della sua vita. E’ un addio disincantato e rassegnato verso un mondo che avrebbe potuto essere e non è stato. Un addio per quell’America che la mia generazione non ha mai conosciuto, e che sembra così lontana da quella di oggi, impegnata in una guerra snervante verso nemici di varia natura e spesso inesistenti, e dimentica di quei diritti civili messi definitivamente al bando con i Patriot Act. Un addio alle parole di buoni propositi pronunciate da Bob prima che gli sparassero alla testa: «Nonostante quello che succede negli Stati Uniti da tre anni a questa parte - e mi riferisco alle divisioni, alle violenze, e al disincanto per la nostra società in generale, che si tratti di bianchi contro neri, di poveri contro ricchi - sono convinto che possiamo lavorare tutti insieme. Siamo un grande paese, un paese altruista e compassionevole».
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(di lully)
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antonello villani
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venerdì 2 febbraio 2007
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film corale e di altmaniana memoria
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Triste destino quello dei Kennedy. Dopo i tragici avvenimenti di Dallas –era il 1963 quando fu assassinato il 35esimo Presidente degli Stati Uniti- cinque anni più tardi Robert, chiamato affettuosamente Bobby, trovò la morte alla vigilia delle elezioni presidenziali. Qualcuno parlò di complotti, qualcun altro di mitomani: era il 4 Giugno del 1968, durante un incontro elettorale all’Ambassador Hotel di Los Angeles. A quasi quarant’anni dalla scomparsa Emilio Estevez, figlio dell’attore Martin Sheen e fratello del più noto Charlie, ripercorre le ore precedenti l’attentato intrecciando le vite di alcuni personaggi che affollano i corridoi dell’albergo, mentre le immagini di repertorio riportano alla memoria i conflitti sociali, la guerra del Vietnam, le manifestazioni pacifiste, la morte di Martin Luther King.
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Triste destino quello dei Kennedy. Dopo i tragici avvenimenti di Dallas –era il 1963 quando fu assassinato il 35esimo Presidente degli Stati Uniti- cinque anni più tardi Robert, chiamato affettuosamente Bobby, trovò la morte alla vigilia delle elezioni presidenziali. Qualcuno parlò di complotti, qualcun altro di mitomani: era il 4 Giugno del 1968, durante un incontro elettorale all’Ambassador Hotel di Los Angeles. A quasi quarant’anni dalla scomparsa Emilio Estevez, figlio dell’attore Martin Sheen e fratello del più noto Charlie, ripercorre le ore precedenti l’attentato intrecciando le vite di alcuni personaggi che affollano i corridoi dell’albergo, mentre le immagini di repertorio riportano alla memoria i conflitti sociali, la guerra del Vietnam, le manifestazioni pacifiste, la morte di Martin Luther King. Film corale e di altmaniana memoria, “Bobby” è condotto con mano sicura da un regista che ha raggiunto la piena maturità artistica, una sorpresa per quanti ritenevano il piccolo Sheen il meno talentoso della famiglia. La hall dell’albergo dove Robert Kennedy tenne il suo ultimo discorso si carica di umanità, sfilano personaggi più o meno comuni che quel giorno ebbero la sventura di assistere ad una pagina nera della storia americana. Per l’occasione Estevez sceglie l’unità di tempo e di luogo dirigendo in maniera straordinaria un cast stellare –Martin Sheen, Anthony Hopkins, Sharon Stone, Demi Moore, Henry Belafonte, Ashton Kutcher, Christian Slater, impossibile elencarli tutti- che si racconta tra miserie e piccoli drammi quotidiani: cameriere e centraliniste, lavapiatti e direttori di sala, supporter e giornalisti, dive alcolizzate e sciampiste, pacifisti e promesse spose, la vita passa per l’Ambassador Hotel. Impresa ardua quella di mettere insieme tanti protagonisti ma il regista, che si ritaglia anche un piccolo ruolo nel film, trova i tempi giusti anche quando la situazione sembra sfuggire di mano, gioca sapientemente con le immagini che mostrano l’America di quegli anni, mentre la telecamera gira furtiva tra le stanze dell’albergo. Dalla diva ubriacona con il marito sottomesso alla promessa sposa che vuole salvare un giovane dalla guerra, dal direttore fedifrago che se la spassa con la centralinista al broker che soffre di depressione, gli ospiti dell’Ambassador mettono in luce vizi privati e pubbliche virtù preparandosi al grande evento: il discorso di Robert Kennedy alla vigilia delle primarie. Estevez si lascia andare ad un finale asciutto con le pallottole che irrompono nella sala senza troppi preamboli, poi il fuggi fuggi generale e la disperazione della folla che cerca di mettersi in salvo. L’ultimo saluto a Bobby è una lezione di cinema, spunta persino qualche lacrima quando si odono le parole del senatore: pace, fratellanza, uguaglianza tra ricchi e poveri, violenza che genera altra violenza, inquinamento e sviluppo sostenibile, il suo messaggio di speranza è arrivato intatto sino ai giorni nostri. Un film toccante, nostalgico e, soprattutto, necessario.
Antonello Villani
(Salerno)
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peter parker
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domenica 21 gennaio 2007
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una favola senza lieto fine
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La storia delle ultime ore di Robert Kennedy vista attraverso un microcosmo alla altman infatti è Interessante notare come poche ore prima dell'omicidio ogni storia subisce una battuta d'arresto o una svolta.Un film corale(kennedy in realtà rivive solo attraverso filmati di repertorio) con un cast eccellente per raccontare attraverso destini diversi , le speranze dei presenti che si infransero con quei colpi di pistola nelle cucine dell'Ambassador a LOS angeles il 5 giugno 1968 .Una fvola senza lieto fine
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(di peterparker)
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renato corriero
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sabato 27 gennaio 2007
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i sogni infranti !!!
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Tre stelle perchè giudico la prima parte del film un po' noiosa e fuori dal tema ma apprezzo invece moltissimo l'aver voluto ricordare e far conoscere alle nuove generazioni Robert kennedy l'uomo che insieme al fratello John ha saputo mettere l'America ed il modo democratico sulla strada della speranza. Dopo la morte del presidente Kennedy, un capo di stato che piaceva molto ai giovani dell'epoca, l'America era caduta in un baratro nonostante il suo successore Johnson avesse portato avanti il progetto di legge sui diritti civili ed alcune riforme sociali; tuttavia la guerra del Vietnam aveva scoraggiato molto i giovani americani ed anche quelli del resto del mondo che vedevano negli USA un paese imperialista ed aggressore! L'ascesa alla presidenza di Robert Kennedy e supponendo che fosse stato veramente in grado di realizzare il suo programma avrebbe invece riportato l'America all'iniziale "amrican dream" il sogno americano.
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Tre stelle perchè giudico la prima parte del film un po' noiosa e fuori dal tema ma apprezzo invece moltissimo l'aver voluto ricordare e far conoscere alle nuove generazioni Robert kennedy l'uomo che insieme al fratello John ha saputo mettere l'America ed il modo democratico sulla strada della speranza. Dopo la morte del presidente Kennedy, un capo di stato che piaceva molto ai giovani dell'epoca, l'America era caduta in un baratro nonostante il suo successore Johnson avesse portato avanti il progetto di legge sui diritti civili ed alcune riforme sociali; tuttavia la guerra del Vietnam aveva scoraggiato molto i giovani americani ed anche quelli del resto del mondo che vedevano negli USA un paese imperialista ed aggressore! L'ascesa alla presidenza di Robert Kennedy e supponendo che fosse stato veramente in grado di realizzare il suo programma avrebbe invece riportato l'America all'iniziale "amrican dream" il sogno americano. Giustizia sociale, fine della discriminazione razziale e della guerra nel Vietnam, benessere, il tutto nella piena libertà e nel pieno rispetteo dei diritti dell'uomo senza dover ricorrere a rivoluzioni, spargimenti di sangue, o a così chiamate "dittature del proletariato"! Tutto ciò è abbastanza utopico, d'accordo, ma almeno c'erano molte persone che potevano sperare, sognare!! Ma ecco che alcuni colpi di pistola sparati da una singola persona, hanno infranto il sogno di milioni di Americani e non...(Come solo dopo alcuni mesi un gruppo di carri armati ha posto fine, almeno fino al 1989, ai sogni di maggiore libertà nella Cecoslovacchia di Dubceck). La cosa triste è che politici capaci di infondere le speranze di John e Robert Kennedy non ce ne sono più stati, sembra veramente un sogno infranto definitavamente nel 1968! Sappiamo che con i "se" non si può fare la storia, supporre cosa avrebbe realmente potuto fare Bob Kennedy se fosse diventato presidente e come sarebbe stata la storia del mondo; ma almeno ci era stata data la possibilità di sognare e di sperare in un mondo migliore senza che fossero necessarie rivoluzioni violente (e quindi spargimenti di sangue e sofferenze) o così detti "mali necessari" o dittature! Il discorso finale di Bob Kennedy dovrebbe essere ciclostilato e stampato in modo che tutte le nuove generazioni possano conoscerlo bene e capire che è ancora attuale! Chissà che non sorga un nuovo "Kennedy" che riesca a suscitare nuovi sogni e speranze! Se questo è il messaggio che il film vuole dare, complimenti al regista e ... Coraggio America!!!
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elisabetta
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martedì 30 gennaio 2007
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un sogno in mille pezzi
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Emilio Estevez è riuscito con Bobby a farci ricordare i sogni e le speranze che erano comuni nell'America degli anni '60 e avvolgerci in una trama avvincente e che riesce a farti capire come Bobby Kennedy fosse un bagliore di luce nel buio per i protagonisti: quando il sogno di poter far tornare l'America dal fondo toccato con la guerra del Vietnam vien infranto si capisce quante persone sperassero che si sarebbero trovati con un paese in cui non si sarebbero dovuti vergognare per i propri pensieri e aspetti. Va lodata inoltre l'ammirevole recitazione dei 22 protagonisti, tra cui spiccano nomi come Anthony Hopkins e Helen Hunt, Demi Moore e Sharon Stone, Lindsay Lohan e Elija Woohd. Bobby non è solo un film corale, è un modo per mostrare come il terrorismo non sia riuscito a far cancellare dalla memoria un grande uomo come Robert Kennedy.
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(di jessica la pompinara)
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(di anonimo768834)
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paride86
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lunedì 1 novembre 2010
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bello
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A dispetto del titolo, Robert Kennedy e il suo attentato è solo il filo che lega i personaggi e le storie che "Bobby" racconta. Storie di dolore, ideali, perdono, ma soprattutto una grande riflessione sulla violenza e le sue conseguenze.
Nonostante i risvolti drammatici, è un film che porta con sé un messaggio positivo e ottimista.
Ottimi tutti gli attori.
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molly
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domenica 28 gennaio 2007
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i kennedy
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Non riuscivo a fare a meno di pensare al coraggio di quell'uomo...suo fratello era stato assassinato, pochi mesi prima il suo amico King, eppure Bobby, pur di non rinunciare a stringere le mani o a sorridere ai suoi sostenitori si è esposto, con coraggio ad una pubblica esecuzione. Chiunque sia stato davvero Bobby, quel coraggio, nessuno lo può contestare.
Carissimi, volevo scrivere una recensione ma sono talmente in accordo con Renato Corriero e Tina Galante che non mi sento di aggiungere nulla a commento se non la mia personale esperienza sui Kennedy. Mia madre era una di quelle persone che sperava, e che con la morte dei Kennedy(e di M.L.King) ha visto queste speranze infrangersi, non c'è bisogno di essere americani per credere al messaggio di Bobby, tutto il mondo, guardava ai Kennedy con speranza.
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Non riuscivo a fare a meno di pensare al coraggio di quell'uomo...suo fratello era stato assassinato, pochi mesi prima il suo amico King, eppure Bobby, pur di non rinunciare a stringere le mani o a sorridere ai suoi sostenitori si è esposto, con coraggio ad una pubblica esecuzione. Chiunque sia stato davvero Bobby, quel coraggio, nessuno lo può contestare.
Carissimi, volevo scrivere una recensione ma sono talmente in accordo con Renato Corriero e Tina Galante che non mi sento di aggiungere nulla a commento se non la mia personale esperienza sui Kennedy. Mia madre era una di quelle persone che sperava, e che con la morte dei Kennedy(e di M.L.King) ha visto queste speranze infrangersi, non c'è bisogno di essere americani per credere al messaggio di Bobby, tutto il mondo, guardava ai Kennedy con speranza. Mia madre aveva comprato libri, biografie, si era documentata su di loro, li stimava davvero tantissimo e dopo la loro morte, fose idealizzandoli(ma perché non farlo quando il messaggio è di pace e amore) ha continuato a trasmettere quella speranza anche ai suoi figli. Allora l'unica arma che abbiamo noi, vittime di quel'assassinio che ha infranto le nostre speranze, è mantenere vivo il messaggio di quelle persone che immolando la loro vita sono diventati i martiri per la pace, possiamo noi, resistere a questa delusione(non avendo più, in effetti, come dice Renato, politici che ci ispirino una tale fiducia e speranza) insegnando a quelli che verranno a continuare a credere nella pace, nell'uguaglianza, in un mondo che possa essere migliore senza ricorrere alla violenza. Il discorso di R.Kennedy che sentiamo alla fine del film mentre scorrono le tragiche immagini di quella sera, dovrebbero farlo studiare sui banchi di scuola. Purtroppo invece, anche in questi commenti che la gente ha lasciato qui sotto, c'è noncuranza, menefreghismo e tanta ignoranza e desolazione. Voglio pensare che siano ragazzini più giovani di me, e che un giorno abbiano il coraggio di pensare, magari davanti ai loro figli o ai loro nipoti, che il mondo che ogni singolo si lascia dietro avrebbe potuto essere con un pensiero positivo in più, migliore.
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ciro
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giovedì 15 marzo 2007
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bobby: l'altra faccia dell'america
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Emilio Estevez sceglie la via della coralità e dell’intreccio per descrivere l’America in ginocchio della fine degli anni ’60, distrutta nell’anima dalla guerra in Vietnam, i conflitti razziali e l’assassinio di Martin Luther King.
E lo fa guardando al maestro di questo tipo di cinema, Robert Altman, laddove tutte le vicende si svolgono in un unico spazio fisico e nell’arco di un breve lasso temporale, come avveniva in Radio America o, meglio ancora, Un Matrimonio. Quattro ora di vita raccontate in due ore scarse di cinema, all’interno delle quali si muovono venti personaggi protagonisti di tante piccole storie, alcune emozionanti in maniera sincera, altre che, in verità, sembrano amalgamarsi un po’ meno bene all’insieme.
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Emilio Estevez sceglie la via della coralità e dell’intreccio per descrivere l’America in ginocchio della fine degli anni ’60, distrutta nell’anima dalla guerra in Vietnam, i conflitti razziali e l’assassinio di Martin Luther King.
E lo fa guardando al maestro di questo tipo di cinema, Robert Altman, laddove tutte le vicende si svolgono in un unico spazio fisico e nell’arco di un breve lasso temporale, come avveniva in Radio America o, meglio ancora, Un Matrimonio. Quattro ora di vita raccontate in due ore scarse di cinema, all’interno delle quali si muovono venti personaggi protagonisti di tante piccole storie, alcune emozionanti in maniera sincera, altre che, in verità, sembrano amalgamarsi un po’ meno bene all’insieme. Se l’intenzione di Estevez era quella di fare un film politico “indiretto”, che parlasse cioè di politica attraverso la lente metaforica delle storie di coloro che vi gravitano intorno, allora il risultato non sempre viene raggiunto. Le scelta di mostrare piccole vicende aveva l’obiettivo di rendere in maniera simbolica l’idea di ciò che l’America si aspettava dall’elezione di Bob Kennedy, sembrerebbe di capire alla luce della struttura narrativa adoperata, e questo spiega forse perché le sequenze più sentite, e belle, siano quelle che si svolgono all’interno della cucina dell’Hotel: c’è il direttore delle cucine autoritario e un po’ razzista, il cuoco di colore (uno straordinario Lawrence Fishsburne), che ha ormai rinunciato alla violenza per ottenere l’emancipazione – “Ai bianchi piace sentirsi i grandi emancipatori, vogliono essere loro a concederla. Lasciali fare” dice saggiamente ad un arrabbiato lavapiatti messicano – e poi ci sono loro, i messicani, i “nuovi negri” come afferma uno di loro, divisi tra chi si disinteressa alla vita politica e chi, invece, è pieno di ottimismo e guarda con fiducia al futuro e all’America. Un microcosmo, insomma, che è perfetta metafora della società americana multirazziale, divisa e disillusa dell’epoca.
Molte altre sequenze colpiscono e in alcuni casi divertono, ma spesso purtroppo non si capisce come esse debbano in qualche modo essere collegate alla dichiarata politicità del film. Non manca neppure il momento, d’obbligo in questo genere di film, in cui si compie una rapida carrellata su tutti i personaggi e tutte le storie del film: se l’altro allievo di Altman, Paul Thomas Anderson, aveva avuto in Magnolia la geniale intuizione di ricorrere ad una canzone cantata in contemporanea ma in luoghi diversi da tutti i protagonisti, Emilio Estevez non riesce qui a raggiungere gli stessi livelli di poesia, e la sequenza appare onestamente un po’ fredda e forzata. Certo è che la bravura nel tenere sotto controllo la materia è da elogiare, così come da elogiare sono gli attori, tutti, che danno l’impressione di aver preso parte al progetto in maniera sentita.
Ed è così che si arriva al finale, alla sparatoria che avviene guarda caso proprio nelle cucine microcosmo dell’America e a Bob Kennedy che muore guarda caso proprio tra le braccia del giovane cuoco messicano ottimista e fiducioso, che tra urla e disperazione, lacrime e feriti portati via, continua a guardarsi a lungo le mani sporche del sangue di Bobby. Un ultimo sguardo e la sua fiducia, la sua sua speranza, il suo ottimismo, volano via.
La rabbia per quello che non è stato continua a fuori dalla sala. Ed è meglio non pensare a chi la rappresenta oggi l’America.
Poveri John e Bob, non era certo questo che sognavano...
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ultimoboyscout
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sabato 15 gennaio 2011
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da vedere.
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Un film corale se così si può dire, con un cast ricchissimo, una storia fluida, una costruzione intelligente con immagini di repertorio miste a quelle cinematografiche, un aregia sapiente. Ingiustamente trascurato e sottovalutato, se ne parla sempre troppo poco perchè affatto commerciale. Eppure merita tantissimo. Complimenti per l'ottimo lavoro.
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blogger
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lunedì 22 gennaio 2007
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pregando i poeti
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Bobby, il film di Estevez, nel quale viene rievocato l’ultimo giorno di vita di Robert Kennedy, candidato democratico alla Casa Bianca, colpito a morte nelle cucine dell’hotel Ambassador da un giovane palestinese, esprime una concezione della politica idealistica e forse ingenua ai nostri occhi disincantati, ma il suo anacronismo, intriso di retorica e “belle parole”, ci commuove lasciandoci la nostalgia di un mondo in cui sentir parlare di cambiare in meglio i destini di tutti non faceva scuotere la testa anzi infiammava gli animi. Fuorviante considerare la pellicola un subdolo pamphlet contro l’impopolare, stando almeno ai recenti sondaggi, George Bush: se avesse voluto limitarsi a criticare l’attuale Presidente, Estevez avrebbe seguito la prassi in voga del documentario agiografico, trovando con facilità occasioni di confronto sfavorevoli all’attuale amministrazione.
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Bobby, il film di Estevez, nel quale viene rievocato l’ultimo giorno di vita di Robert Kennedy, candidato democratico alla Casa Bianca, colpito a morte nelle cucine dell’hotel Ambassador da un giovane palestinese, esprime una concezione della politica idealistica e forse ingenua ai nostri occhi disincantati, ma il suo anacronismo, intriso di retorica e “belle parole”, ci commuove lasciandoci la nostalgia di un mondo in cui sentir parlare di cambiare in meglio i destini di tutti non faceva scuotere la testa anzi infiammava gli animi. Fuorviante considerare la pellicola un subdolo pamphlet contro l’impopolare, stando almeno ai recenti sondaggi, George Bush: se avesse voluto limitarsi a criticare l’attuale Presidente, Estevez avrebbe seguito la prassi in voga del documentario agiografico, trovando con facilità occasioni di confronto sfavorevoli all’attuale amministrazione. In realtà il lungometraggio spiega molto sommariamente chi fosse Bobby a chi non conosce la storia americana del ‘900: egli è sì presenza viva fra le pareti dell’hotel ma non in carne ed ossa, bensì simbolicamente attraverso la voce diffusa nell’intimità delle stanze dai documenti filmati. Non una persona/personaggio dunque, piuttosto una bandiera, un’utopia, spezzata dalla violenza irragionevole. Guardare al passato non cambia la realtà, tuttavia la spiega. Difficile non vedere nella drammatica sequenza dell’attentato una premonizione dell’11 settembre: sangue, lacrime, attonito silenzio, caos ingovernabile… e siamo all’ora e al qui. L’omicida è un volto che affiora dall’ombra dell’anonimato, e si intuisce cosa secondo Estevez alimenti quest’ombra: l’uomo abbandonato a se stesso smarrisce ragione e speranza. Allora ha senso ricostruire idealmente il momento storico di massima simbiosi fra politica e aspirazioni esistenziali, in cui a Est e a Ovest si guardava a un domani di pace, di democrazia e di uguaglianza per l’umanità. “L’idealismo pragmatico” dell’aspirante Candidato non era un manifesto, o, come si usa dire oggi mutuando il termine dal commercio, un contratto: definiva un clima e un humus fecondo di passioni e valori condivisi. Così la struttura polifonica alla Altman di Bobby si concreta in un album di ritratti che rimandano alle più vitali creazioni della cultura e dell’immaginario statunitensi: la diva alcolista sul viale del tramonto, il portiere in pensione, reminiscenza del classico Grand Hotel con Greta Garbo, gli adolescenti in fuga dalla realtà alla ricerca dell’esperienza mistica con l’LSD, la sposa del Laureato trasformata in liceale sottratto all’altare della Patria e al Vietnam dalla compagna di liceo innamorata, Re Artù reincarnatosi nella generosità di uno sguattero messicano. Era del resto l’età d’oro in cui la gente soffriva pregando i poeti!
http://slilluzicando.splinder.com
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