La terza stella

Paolo D'Agostini

Il flusso verso il nostro cinema di comici nati negli anni 90 in tv è un fenomeno rilevante almeno dall'exploit di Aldo, Giovanni e Giacomo, e si è sostituito a una tradizione che, da Totò e Fabrizi fino alla scuola milanese di Boldi, Teocoli e Abatantuono passando per Pozzetto, Verdone, Troisi, Benigni (per i quali ultimi la tv è stata trampolino importante ma non esclusivo) voleva invece i comici originari del palcoscenico, teatro leggero o satirico, rivista o cabaret.
Ora Ale e Franz, colonne di "Mai dire gol" e di "Zelig", si presentano al pubblico con La terza stella. Un intreccio semplice semplice, dove i due gestiscono l'albergo (a tre stelle) di un'amena cittadina e mentre fervono i preparativi per il grande evento della partita a scacchi viventi vengono travolti dal piano di una banda di malviventi, offre alla coppia lo spunto per mettere in campo una cifra umoristica ben nota ai loro estimatori.
Una cifra un po' astratta e deliberatamente ingenua, affidata alle infinite varianti del classicissimo rapporto tra l'elemento intelligente, che sopporta fino a che i suoi nervi non scoppiano, che quando non ne può più si fa scappare la battuta acida ma troppo intelligente per l'altro (Ale), e quello un po' tonto ma a suo modo originale, incosciente ma di buon cuore, tanto legnoso e stralunato quanto l'altro è scattante, reattivo, sensibile e autolesionista. Il loro garbo è benvenuto, il divertimento non è sempre assicurato. Mina canta quattro canzoni.
Da La Repubblica, 11 marzo 2005


di Paolo D'Agostini, 11 marzo 2005