ely81
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...capolavoro
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è stato il film più atteso dell'anno, e anche forse il più criticato dell'anno. La maggior parte dei critici e del pubblico formula la frase retorica "ci aspettavamo di più, in particolare da un maestro del cinema come Scorsese!!" Ma cosa dite? In questo film si respira il suo stile, la sua lucidità narrativa e il suo spessore psicologico, già presente nei suoi precedenti capolavori. Sì, ammetto che il film sarebbe stato diverso in versione originale, senza quei tagli che hanno diminuito la sua durata di un ora, ma è di un nervosismo scorsesiano fino al midollo, che lo rende grandioso e uno dei più bei film storici di questi ultimi anni...sei grande Marty!!!
[+] scorsese è finito!!
(di lianò)
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[+] potentissimo
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(di alessandro)
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tony montana
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martedì 19 ottobre 2010
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sottovalutato capolavoro d’inizio millennio
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La città di New York fa continuamente da sfondo della filmografia di Scorsese: L’età dell’innocenza, Taxi Driver, New York New York, Toro Scatenato ecc... Ma questa volta, l’acclamato regista di Casinò, The departed e Cape Fear lascia perdere il thriller e il film di gangster ( che sa dirigere benissimo ) per dedicarsi ad un autentico kolossal storico. Infatti, Gangs of New York racconta un pezzo di storia ed è anche una riflessione sull’origine dell’America – gli accenni al capolavoro di Griffith sono accentuati in diversi punti -, sulle battaglie civili che si combattevano che forgiavano un paese di talco che sarebbe divenuto di ferro.
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La città di New York fa continuamente da sfondo della filmografia di Scorsese: L’età dell’innocenza, Taxi Driver, New York New York, Toro Scatenato ecc... Ma questa volta, l’acclamato regista di Casinò, The departed e Cape Fear lascia perdere il thriller e il film di gangster ( che sa dirigere benissimo ) per dedicarsi ad un autentico kolossal storico. Infatti, Gangs of New York racconta un pezzo di storia ed è anche una riflessione sull’origine dell’America – gli accenni al capolavoro di Griffith sono accentuati in diversi punti -, sulle battaglie civili che si combattevano che forgiavano un paese di talco che sarebbe divenuto di ferro. La sceneggiatura – scritta da Jay Cocks (Strange Days), Steven Zaillan (Schindler’s List e Civil Action) e Kenneth Lonergan (Conta su di me) – ben costruisce i caratteri dei due protagonisti principali, lasciando però più di qualche vuoto su tutti gli altri. Praticamente nulla si viene a sapere dello sviluppo che hanno avuto i personaggi nei sedici anni che Amsterdam ha passato in collegio: nulla viene mostrato, nulla viene accennato; quella è la nuova situazione e così la dobbiamo accettare. Il cast è pieno di grossi nomi, ma nessuno porta nemmeno le scarpe a Daniel Day-Lewis che regge da solo tutto il film ( come faceva Robert De Niro quando lavorava ancora con il regista italiano ). Nonostante il film racconti la storia della vendetta di Amsterdam ( DiCaprio ), il vero protagonista della pellicola è Day Lewis visto che la maggior parte del film è a lui dedicata. Soltanto per la scena del monologo dove Daniel è avvolto dalla bandiera americana, meriterebbe il premio Oscar ( a cui giustamente era nominato ). Buono DiCaprio, ma non eccezionale, ma ricordiamoci che è stato il suo esordio con Scorsese a lanciarlo verso le migliori interpretazioni della sua carriera ( Blood Diamond, Aviator e The departed ). La Diaz è mediocre, il suo personaggio fa quasi pena. Buono anche Gleeson nei panni mercenario-barbiere-politico, nonostante la fine scema che fa. Eccezionali come al solito le musiche di Howard Shore e il montaggio di Thelma Schoonmaker. Candidato a 10 premi Oscar fra cui miglior film, regia ( Scorsese ) e attore protagonista ( Day-Lewis ), ma per le scene di violenza ( che sfociano nello splatter all’inizio della pellicola ), se le gioca tutte. Capolavoro un po’ troppo sottovalutato ma che verrà rivalutato col tempo come si è fatto con Arancia Meccanica o Blade Runner.
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nike22
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martedì 8 dicembre 2015
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violento,cruento,epico..semplicemente scorzese
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Siamo nell'800 nel quartiere "five points" di New York, la gang dei "Nativi" capitanati da Bill,meglio noto come il Macellaio, sconfigge "i conigli morti" uccidendo Padre Vallon e lasciando orfanello il figlio Amsterdam. Ben sedici anni dopo Amsterdam torna, dopo anni di esilio in Irlanda,bramoso di vendetta in una New york corrotta e abbruttita dalla gestione tirannica di Bill.
Una scenografia da oscar e delle interpretazioni eccellenti(Daniel Day-Lewis su tutti) fanno di questo film un autentico capolavoro, se poi aggiungiamo uno Scorzese, che non si risparmia tutto il suo estro nell'intrecciare il drammatico e il violento ad una cornice storica come la Guerra di Secessione .. beh il piatto è servito.
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Siamo nell'800 nel quartiere "five points" di New York, la gang dei "Nativi" capitanati da Bill,meglio noto come il Macellaio, sconfigge "i conigli morti" uccidendo Padre Vallon e lasciando orfanello il figlio Amsterdam. Ben sedici anni dopo Amsterdam torna, dopo anni di esilio in Irlanda,bramoso di vendetta in una New york corrotta e abbruttita dalla gestione tirannica di Bill.
Una scenografia da oscar e delle interpretazioni eccellenti(Daniel Day-Lewis su tutti) fanno di questo film un autentico capolavoro, se poi aggiungiamo uno Scorzese, che non si risparmia tutto il suo estro nell'intrecciare il drammatico e il violento ad una cornice storica come la Guerra di Secessione .. beh il piatto è servito. Il film non annoia mai è un calderone ricco di tanti ingredienti che rivela lo stato d'animo di Scorsese, il suo rapporto di odi et amo con la "Grande Mela" è complesso e sfaccettato.
"Gangs of New York" non piacerà agli americani, perché ricorderà loro un passato scomodo, e perché non è un film che possiede il ritmo giusto per coinvolgere un pubblico a volte superficiale come quello a stelle e strisce, ma è indubbio che sia un grande film. Sicuramente non è equilibrato in tutte le sua fasi, non sempre le soluzioni narrative sembrano perfettamente omogenee con il racconto, ma sono degli aspetti sui quali, focalizzando l'attenzione sul prodotto finale, si può chiudere un occhio. Un'opera sofferta, attesa, ma che alla fine ripagherà chi avrà il coraggio di vederla senza pregiudizi.
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lorìss
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venerdì 2 febbraio 2007
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una voce fuori dal coro....
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Basterebbe la sola performance del bieco e affascinante "Bill il macellaio" per farne un capolavoro;le figure del gigantesco Monk e del piccolo irascibile e rinnegato irlandese sono da manuale,la ricostruzione dei "Five Points" è favolosa(lo avete letto il libro omonimo di Herbert Asbury?)e la rappresentazione sopra le righe della corrotta lobby "Tammany Hall" è a dir poco sorprendente. Scorsese, pur con un protagonista in perenne penombra (la figura di Di Caprio dipende totalmente da D.D. Lewis), è ancora una volta duro, puro e inflessibilmente scorretto con l'etica perbenista e ipocrita millantata a quell'epoca. Un capolavoro da vedere, godere, apprezzare e perchè no, rivedere. Come successe a suo tempo per "C'era una volta in america", gli anni a venire lo rivaluteranno.
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Basterebbe la sola performance del bieco e affascinante "Bill il macellaio" per farne un capolavoro;le figure del gigantesco Monk e del piccolo irascibile e rinnegato irlandese sono da manuale,la ricostruzione dei "Five Points" è favolosa(lo avete letto il libro omonimo di Herbert Asbury?)e la rappresentazione sopra le righe della corrotta lobby "Tammany Hall" è a dir poco sorprendente. Scorsese, pur con un protagonista in perenne penombra (la figura di Di Caprio dipende totalmente da D.D. Lewis), è ancora una volta duro, puro e inflessibilmente scorretto con l'etica perbenista e ipocrita millantata a quell'epoca. Un capolavoro da vedere, godere, apprezzare e perchè no, rivedere. Come successe a suo tempo per "C'era una volta in america", gli anni a venire lo rivaluteranno.
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aristoteles
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domenica 15 novembre 2015
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five points
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Veramente un bel film questo di Scorsese,non fosse altro per la splendida rappresentazione dei quartieri e costumi da favola.
A tratti davvero cruento,sopratutto attraverso il personaggio di Billy il Macellaio che non lesina letteralmente a tagliare la testa a chi si frappone tra lui e l'agognato potere del "Re dei quartieri"
Un uomo di rara bestialità e crudeltà che incute timore anche allo spettatore più coraggioso.
Il buon DiCaprio, in cerca di vendetta personale,"lotta col cuore" ma non riesce a entrare nei nostri cuori.
Stesso discorso per Cameron Diaz che reputo(gusti personali ovviamente)una delle attrici più sopravvalutate di sempre.
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Veramente un bel film questo di Scorsese,non fosse altro per la splendida rappresentazione dei quartieri e costumi da favola.
A tratti davvero cruento,sopratutto attraverso il personaggio di Billy il Macellaio che non lesina letteralmente a tagliare la testa a chi si frappone tra lui e l'agognato potere del "Re dei quartieri"
Un uomo di rara bestialità e crudeltà che incute timore anche allo spettatore più coraggioso.
Il buon DiCaprio, in cerca di vendetta personale,"lotta col cuore" ma non riesce a entrare nei nostri cuori.
Stesso discorso per Cameron Diaz che reputo(gusti personali ovviamente)una delle attrici più sopravvalutate di sempre.
Così si rimane affascinati da una fotografia semplicemente eccezionale e fantastica ma non si va oltre,non si raggiunge il capolavoro.
Anche perchè il duello tra i protagonisti,non è favorito da quasi tre ore di visione e a un certo punto "stanca".
Comunque da vedere.
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ashtray_bliss
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lunedì 1 ottobre 2012
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le mani che costruirono l'america.
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Gangs of New York, e' un film che offrirebbe svariati spunti per raccontare, piu' o meno fedelmente, una storia che e' radicata nella realta dei fatti. Ovvero la nascita di NY quando la citta' era solo in balia delle gang e delle rivalita' tra loro. Ovviamente da questo ne consegue che come NY, l'intera America e' stata costruita e fondata da immigrati diversi i quali si univano tra loro e contemporaneamente si inimicavano e combattevano contro le gang altrui.
Scorsese aveva dunque, tutte le carte in mano per costruire un film storico e realistico sulla nascita dell'America per mano delle diverse gang dominanti (nelle diverse citta, e specialmente a NY, citta' Americana per eccelenza, nonche' porto dove sbarcava il maggior numero di immigrati).
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Gangs of New York, e' un film che offrirebbe svariati spunti per raccontare, piu' o meno fedelmente, una storia che e' radicata nella realta dei fatti. Ovvero la nascita di NY quando la citta' era solo in balia delle gang e delle rivalita' tra loro. Ovviamente da questo ne consegue che come NY, l'intera America e' stata costruita e fondata da immigrati diversi i quali si univano tra loro e contemporaneamente si inimicavano e combattevano contro le gang altrui.
Scorsese aveva dunque, tutte le carte in mano per costruire un film storico e realistico sulla nascita dell'America per mano delle diverse gang dominanti (nelle diverse citta, e specialmente a NY, citta' Americana per eccelenza, nonche' porto dove sbarcava il maggior numero di immigrati). Sfortunatamente pero', nonostante i buoni propositi e le buone intenzioni, Scorsese fallisce -quasi- in pieno nel tentativo. Primo, perche' la trama del film risulta abbastanza complicata e poco chiara allo spettatore: eccetto il fatto che ci sono troppe gang rivali tra loro, che con la prima occasione si scontrano. Molte delle scene proposte sono sconesse dalla trama principale (il protagonista che vuole farsi vendetta da solo) e spesso lo spettatore si chiede perche' e come avvengono certi fatti. Lo script era probabilmento troppo ricco di elementi che non sono stati sceneggiati nel modo migliore e finiscono per confondere lo spettatore. Secondo, la lunghezza del film doveva e poteva essere decisamente accorciata dato che a tratti la pellicola in questione appare troppo "politica" dunque pesante da seguire attentamente e senza annoiarsi. Terzo, molte delle scene girate sono state eseguite davvero male, risultanondo finte (a tratti kitsch) sin dalla prima inquadratura e si fatica a credere che dietro la macchina da presa ci sia un regista esperto del calibro di Martin Scorsese. Quarto punto dolente della pellicola sono le recitazioni ben poco spontanee o credibili di Leonardo di Caprio e di Cameron Diaz. DiCaprio ha sempre il broncio cattivo per tutta la durata del film, non si lascia andare pienamente nel ruolo di Amsterdam, ragazzo assetato di vendetta per la morte del padre, e quindi non convince mai pienamente. La Diaz, sembra semplicemente un pesce fuor d'acqua. Assolutamente una delle interpretazioni peggiori, inconsistenti e non-memorabili nel suo CV. Daniel Day Lewis e' probabilmente l'unico elemento memorabile -dal punto di vista recitativo-di questo film. Intrepretazione immensa, da vero Attore (con la A maiuscola) di qualita' nel ruolo del ''Macellaio".
Nulla da dibattere sulla scelta della scenografia : impeccabile e molto realistica nonche' fedele alle ambientazioni dell' America alla fine del 19o secolo. Bella anche la scelta della colonna sonora e memorabile la canzone scritta e interpretata dagli U2 alla fine del film (nei titoli di coda) : "The Hands That Built America".
Tutto sommato pero' si tratta di un film lungo, a tratti molto peso da seguire che risulta alla fin fine noioso. Le recitazioni dei due su tre protagonisti principali del film, non aiutano ulteriormente a coinvolgere in pieno gli spettatori. Molto mediocre anche la regia, nonostante porti la firma di un grande autore, che presenta molti ''buchi neri'' propinando scene mal sceneggiate e inverosimili.
Poteva essere un film storico, davvero memorabile, sia per l'argomento trattato sia perche' avrebbe comunque portato la firma di un regista importante. Eppure, il risultato finale e' di un film troppo lungo, peso, confusionario e a tratti troppo inverosimile (per esempio gli scontri tra le gangs).
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germon
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lunedì 11 febbraio 2013
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nascere dall'ignoranza
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Gerardo Monizza
La nascita di un capitale è – spesso – il frutto di una serie di concatenazioni violente, anche non corrette, talvolta al limite della legge. Così sosteneva il vecchio Marx e Martin Scorsese sembra dargli ragione, documentando. In “Gangs of New York” il capitale è quello morale della “capitale” del mondo contemporaneo che si affonda, sino a sprofondare, nella violenza assurta a legge, nel fango e nel sangue.
Siamo a New York nella metà dell’Ottocento (stupendamente ricostruita a Cinecittà da Dante Ferretti) con sobborghi di casupole e falansteri angoscianti.
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Gerardo Monizza
La nascita di un capitale è – spesso – il frutto di una serie di concatenazioni violente, anche non corrette, talvolta al limite della legge. Così sosteneva il vecchio Marx e Martin Scorsese sembra dargli ragione, documentando. In “Gangs of New York” il capitale è quello morale della “capitale” del mondo contemporaneo che si affonda, sino a sprofondare, nella violenza assurta a legge, nel fango e nel sangue.
Siamo a New York nella metà dell’Ottocento (stupendamente ricostruita a Cinecittà da Dante Ferretti) con sobborghi di casupole e falansteri angoscianti. L’umanità che popola la periferia della futura metropoli è multietnica, multireligiosa e abbastanza stracciata da lasciar intendere che la convivenza tra razze, popoli, nazionalità non sarà né tollerante né facile. Le lotte tra bande (le “gangs”) avvengono al di fuori di qualsiasi legalità. I pubblici amministratori osservano senza intervenire e il macello continuo è la “corte di giustizia” popolare efficiente ed efficace. Troppo presto per parlare di “mafia”, ma il risultato è lo stesso, anzi peggio. Il codice non è d’onore, ma di sangue.
Tratto da un romanzo di Herbert Ashbury pubblicato nel 1929, il film di Scorsese non è un atto d’amore, né s’impone di seguire una verità storica documentata; se alcuni personaggi (come “il macellaio” magistralmente e crudamente interpretato da Daniel Day Lewis) sono realmente esistiti e la sostanza delle vicende corrisponde alla storia, Scorsese non narra, ma definisce, segnando lo spazio umano dentro cui nascerà la New York dei nostri giorni.
È un film violento e brutale, anche esagerato, a tratti, incredibile. Impossibile accettare che una città sia nata dalla violenza e dalla paura, dall’intolleranza e dall’ignoranza. Eppure, proprio questo è il tema: l’ignoranza che genera l’intolleranza.
Nel film c’è tutto: il rito sanguinolento trasformato in spettacolo circense, la contrapposizione ideologica sanata con le sfide di massa, le convezioni che restano valide solo dentro le comunità specifiche, la definizione dei “ruoli” che resteranno inalterati (il prete, l’arcivescovo, il sindaco, i politicanti, il popolino, i partiti già corrotti tutti presi a rappresentare una loro – ignobile - parte). Lo schema – dice Scorsese – è quello e tale resterà. I rituali della compravendita, del commercio, del traffico (inteso come movimento d’affari, raggiro e speculazione, ma anche come mobilità caotica e soffocante) sembrano insistere con la stessa violenza sulla terra battuta della città che sta nascendo (i Five Points che più o meno corrispondono all’attuale Wall Street) e sui grandi viali imborghesiti della New York attuale.
Il simbolo del rasoio (attrezzo che passa dal padre capopopolo irlandese (Liam Neeson) al figlio Amsterdam (Leonardo DiCaprio) e su cui il sangue resta impresso), sotterrato vicino ai morti delle risse, è l’ascia di guerra pronta ad essere nuovamente impugnata. Infine: l’immagine della città sullo sfondo, scorre dalle casupole miserande ai grattacieli superbi, ma non è cambiato niente. Il rasoio – unica eredità morale - è ancora lì. Sempre pronto.
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claudiofedele93
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martedì 16 settembre 2014
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vera genesi americana
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Con l’aprirsi del nuovo millennio, con l’entrata in scena degli anni che passeranno alla storia come la decade dai doppi zeri, Martin Scorsese decide (non a caso) di tornare a parlare di New York, la propria città natale, la metropoli che come si suol dire “non dorme mai” e dove, l’11 Settembre del 2001, un attacco terroristico cambiò, proprio nella Grande Mela, le fondamenta della storia recente degli Stati Uniti d’America.
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Con l’aprirsi del nuovo millennio, con l’entrata in scena degli anni che passeranno alla storia come la decade dai doppi zeri, Martin Scorsese decide (non a caso) di tornare a parlare di New York, la propria città natale, la metropoli che come si suol dire “non dorme mai” e dove, l’11 Settembre del 2001, un attacco terroristico cambiò, proprio nella Grande Mela, le fondamenta della storia recente degli Stati Uniti d’America.
Scorsese, tuttavia, al contrario di tanti altri registi, con Gangs of New York preferisce narrare non tanto la situazione odierna, se non attraverso metafora, ma ammiccando al passato di quest’ultima, cerca di mettere in luce quelle che furono le origini di una delle più grandi colonie Olandesi sul suolo“Americano”. Si apre, dunque, una storia ambientata nella seconda metà del 1800 dove il regista gioca essenzialmente con due universi appartenenti alla stessa medaglia, amalgamati l’un l’altro, tanto distanti quanto uniti dagli eventi storici e dalla guerra di secessione.
Il mondo che emerge da questa pellicola è di fatto un grande minestrone di razze, dialetti, lingue (?!), usi, costumi e tradizioni, costretti a convivere tutti su quella che è la terra denominata “Nuova York”, abitata dai “nativi”, tra i quali emergono coloro che fanno parte della banda di Bill “Il Macellaio”. I Five Points, punto focale dell’intero lungometraggio, sono, per certi aspetti, il micro cosmo nel quale la storia si concentra interamente, ma se da una parte le vicende tra Amsterdam Vallon e William Cutting si evolvono in una sola “piccola” zona della metropoli, dall’altra Scorsese rammenta sempre allo spettatore che nello stesso preciso momento alle guerre intestine tra Gang si devono sommare anche le rivolte Newyorkesi di coloro che si rifiutano di prendere parte alla leva per la guerra di Lincoln ed è essenzialmente questo aspetto a fornire immediatamente un particolare interessante della pellicola, che raffigura la guerra di secessione da parte degli stati nordisti non come un atto patriottico e umano, ma quasi come una sottomissione,una costrizione da parte del governo a partecipare ad un conflitto verso il quale molte persone (rammentiamo che si parla sempre di poveri e non nobili) non nutrono il minimo interesse, poiché troppo occupate a sopravvivere e sbarcare il lunario in una “terra estremamente selvaggia”.
Questo è per certi aspetti una sfumatura inedita, che il regista italo-americano riesce a inserire con la giusta naturalezza e coerenza nel uso lavoro, stroncando in tal modo quella visione manichea (e retorica) che troppe volte la storia regala a coloro che leggono gli eventi passati; a scanso di equivoci, però, Gangs of New York non vuol muovere una critica contro Lincoln o gli ideali di cui quest’ultimo si faceva portavoce e promulgava, ma si prende comunque il disturbo di mostrare tutte quelle situazioni e quei momenti scomodi di una guerra che gli Americani del Nord non sentirono veramente propria e che, a quanto pare, più e più volte risposero ad essa o con la violenza o con il razzismo attraverso le parole ed i fatti.
New York è dunque una città malata, un insieme di uomini e donne tutti di origine diversa e tutti costretti a vivere nel terrore, che nella zona dei Five Points non ha l’aspetto del nobile con annessi i suoi modi melliflui, ma i crudi e spietati gesti e movenze di Bill Cutting, colui che raffigura il marcio di un mondo ancorato troppo alle sue tradizione, (che poi prenderà posto, in un secondo momento, tra le file dei Repubblicani al momento dell’elezione di un nuovo sceriffo) e insensibile ad una qualsiasi forma di dialogo con persone che non si identificano come “veri americani”.
L’animo poliedrico e misto della Grande Mela lo si vede anche grazie a quel campionario di personaggi messi in scena dal regista, ove ognuno appare ben differente l’uno dall’altro, spinti all’unisono dalla primordiale necessità di sopravvivenza, ma costantemente animati da una rabbia cieca e da un sordo egoismo.
Ci sono infatti, come era lecito e giusto aspettarsi, le persone come Amsterdam, coloro che cercano vendetta per un torto subito in passato; ci sono le borseggiatrici e i politici ruffiani che cercano un aggancio con i capi della malavita o con coloro che instillano la paura nella gente per procurasi voti; ci sono le bande sempre rivali tra loro e poi ci sono gli Irlandesi, coloro che vengono costantemente presi di mira dai nativi e che, arrivati al porto, si lasciano prendere a botte o vengono persino lapidati. Una pagina, questa, che getta un’onta indelebile sull’immigrazione e sul concetto di città aperta che più volte l’America, con lo slogan de “il paese della libertà”, rivendica e del quale si vanta.
Immaginate, a questo punto, come sarebbe vivere in una città del genere, dove la povertà ed il caos hanno sempre più potere e dove i ricchi signori invece vivono nel lusso sfrenato, permettendosi, di tanto in tanto, di fare una visita nei bassi fondi per capire meglio le condizioni di vita dei poveri quasi fossero ad uno zoo di animali. Tutto questo, per quanto ormai appartenne al passato, dovrebbe far suonare qualche campanello nella nostra testa e apparire incredibilmente attuale.
Per quel che riguarda il punto di vista tecnico la pellicola è come sempre impeccabile, anche se stavolta la mano di Scorsese decide di affiancare al Kolossal una messa in scena carica di citazioni, sopratutto verso il cinema italiano, dove i numerosi omaggi a Leone saltano all’occhio nell’immediato. Il montaggio, come per i tanti altri lavori realizzati in passato, è efficace come può essere solo quello della collaboratrice storica del regista di Toro Scatenato, Thelma Schoonmaker, incapace di appesantire la pellicola o caricarla di un eccessivo dinamismo.
L’ottimo lavoro per quanto riguarda alla messa in scena è stato fatto anche da Ferrettiper quel che riguarda le scenografie, i set e le ambientazioni in generale, tutte quante ricostruite a Cinecittà, scelta presa dal regista stesso di voler girare gran parte del film in Italia. Ottima anche la colonna sonora, curata da Howard Shore, che vanta un gran numero di ballate, canzoni da pub o da taverna dell’epoca davvero suggestive e coerenti con la messa in scena.
Parliamo infine degli attori, i quali, come per molti altri film del regista, si sono lasciati coinvolgere anche per piccole e brevi parti. Il Cast vanta nomi di alto livello come ad esempio, Stephen Graham, Gary Lewis, John C. Reilly, Liam Neeson o Brendan Gleeson, occupati in ruoli secondari che tuttavia ricoprono con maestria e rispetto.
Ancora una volta si assiste ad una collaborazione tra Scorsese e DiCaprio, il quale riesce sempre a stupide per il talento e per la poliedricità, non donando (magari con il senno di poi) la sua miglior prova, ma rimanendo sempre eccellentemente legato nel corpo e nello spirito al personaggio di Amsterdam Vallon. Il vero “peccato”, o rammarico, è che DiCaprio, per quanto sia pieno di potenziale, sembra quasi sparire quando in scena vi è Daniel Day-Lewis che nelle vesti di William (Bill) Cutting detto“Il Macellaio” regala a noi tutti un’interpretazione (accompagnata da un ottimo doppiaggio a cura di Pannofino) eccezionali e da antologia, capace di far mettere in ombra qualsiasi cosa ogni qual volta che questi appare sulla scena e viene inquadrato dalla telecamera. Lezione di recitazione e grande prova da attore per un uomo che ormai, con 3 Oscar nelle sue tasche, pur rimanendo poco popolare si dimostra essere uno dei miglior attori su piazza in assoluto.
Gangs of New York è per molti critici l’anello debole della filmografia di Scorsese e forse, per certi aspetti, il film risulta davvero imperfetto e mostra qualche lacuna, ma nel complesso questo rimane un lavoro ottimo, per certe sfumature di significato eccezionale, curato sotto ogni minimo dettaglio e diretto (ed interpretato) in maniera eccelsa. Martin Scorsese decide di parlare della sua New York dopo l’11 Settembremostrando al mondo le sue origini e il luogo da cui (solo in parte) proviene e dove è cresciuto, mettendo in luce le tante ombre della città e le conseguenze nefaste della guerra. Una pellicola, questa, che di certo avrebbe meritato molti riconoscimenti, scansata agli Oscar quell’anno dal musical Chicago, ma che al contrario di quest’ultimo, riesce ancora a conquistare, rimanere tremendamente attuale e smentire coloro che la etichettano come una delle pellicole minori del regista. Scorsese sa che l’America non è nata sotto la bandiera della pace, non è nata sotto buoni propositi, ma è stata creata con il sangue, con le lotte e la violenza, ennesima manifestazione della vera natura umana e nel mettere a nudo l’anima vera del popolo che “l’ha adottato”, il regista italo-americano è riuscito a confezionare un film imperdibile, privo di retorica e con un finale coinvolgente, eccezionale, emozionante e (banalmente) magnifico seguito dalle note della canzone degli U2 : The Hands That Built America.
Perché se da un lato la storia ci insegna a ricordare i grandi eventi del nostro passato con una coscienza accademica, essa stessa il più delle volte, ci porta a dimenticare le “semplici” storie degli uomini e delle donne che l’hanno “costruita”, rendendoci (quasi) insensibili e “per quelli che vissero e morirono nei giorni della Furia, fu come se tutto quanto avevano conosciuto fosse stato spazzato via e qualsiasi cosa sia stata fatta per costruire la città, per il tempo a venire, sarebbe stato come se nessuno di loro fosse mai esistito.”
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siper
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giovedì 28 ottobre 2010
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manca qualcosa...
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Nel fantastico scenario della New York di meta ‘800, ancora alla ricerca di un equilibrio tra le varie etnie che la popolavano e i continui sbarchi di europei in cerca di fortuna, prende vita “Gangs of New York”. Il film di Scorsese si presenta alla grande potendosi avvalere di un Cast Stellare: da Leonardo Di Caprio a Cameron Diaz da Daniel Day-Lewis a Liam Neeson . La trama ha come tema predominante il processo integrativo degli immigrati irlandesi nella “Grande Mela” costretti a confrontarsi con gli abitanti autoctoni. Attraverso le intricate fibre di quest’agitazione sociale basata essenzialmente sulla violenza, Scorsese costruisce tassello per tassello la storia di Amsterdam Vallon ( Leonardo Di Caprio)il quale entra nella gang rivale guidata da Bill “il macellaio” Poole col solo fine di ucciderlo per vendicare la morte del padre (Liam Neeson) della quale “il macellaio” è responsabile .
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Nel fantastico scenario della New York di meta ‘800, ancora alla ricerca di un equilibrio tra le varie etnie che la popolavano e i continui sbarchi di europei in cerca di fortuna, prende vita “Gangs of New York”. Il film di Scorsese si presenta alla grande potendosi avvalere di un Cast Stellare: da Leonardo Di Caprio a Cameron Diaz da Daniel Day-Lewis a Liam Neeson . La trama ha come tema predominante il processo integrativo degli immigrati irlandesi nella “Grande Mela” costretti a confrontarsi con gli abitanti autoctoni. Attraverso le intricate fibre di quest’agitazione sociale basata essenzialmente sulla violenza, Scorsese costruisce tassello per tassello la storia di Amsterdam Vallon ( Leonardo Di Caprio)il quale entra nella gang rivale guidata da Bill “il macellaio” Poole col solo fine di ucciderlo per vendicare la morte del padre (Liam Neeson) della quale “il macellaio” è responsabile . La trama si dipana lentamente attraverso scontri tra gang rivali, scene crude e sangue come se piovesse. Ma “gangs of New York” non è tutto qua. Annunciato come un capolavoro, il film non riesce probabilmente a meritarsi quest’appellativo. La mano di Scorsese c’è e si vede, la pulizia delle sequenze sceniche è palese, la trama viene espressa in maniera minuziosa(forse anche troppo), il soggetto è interessante,originale e non troppo sfruttato (colpevolmente) nella storia della cinematografia moderna. Insomma il film è tecnicamente ben fatto, ma non va oltre questo. Durante la visione si ha sempre la sensazione che stia per accadere qualcosa di sconvolgente, la chiave di volta della trama ma questo non accade di fatto mai. E’ proprio questo il grande limite del lavoro di Scorsese, non c’è un vero e proprio cambio di ritmo, la sceneggiatura rimane sempre un po’ piatta e 168’(decisamente troppi) di visione lo sottolineano ampiamente. Il finale non aiuta in tal senso, lo si può infatti prevedere dopo pochi minuti dall’inizio del film. Anche i grandi nomi del cast non sono poi stati sfruttati al meglio, ad esempio non si può relegare Neeson ad un ruolo così marginale e Cameron Diaz dà L’impressione di non essere portata per ruoli che abbiano un minimo di drammaticità. L’unico che conferma, o addirittura supera, le aspettative è proprio Di Caprio, sempre più una garanzia per ruoli del genere. L’impressione, in definitiva, è che il caro Martin abbia utilizzato materiali pregiatissimi per costruire una porta senza però fornirci della chiave per aprirla.
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antonio canzoniere
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venerdì 22 agosto 2014
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tra visconti e cimino, un capolavoro mancato
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Nella seconda metà dell'800, tra irlandesi in cerca di riscatto e un posto al sole nella East Coast e "Nativi" che sembrano sporchi e lerci diavoli miltoniani, il quartiere newyorchese dei Five Points è sconvolto dalla lotta che il giovane Amsterdam, orfano di Priest Vallon, capo dei "figli di Erin", chiamati Dead Rabbits sul campo di battaglia, ingaggia contro Bill il Macellaio, "Nativo", violento come un Re Lear raccontato alla maniera di Scarface, per sete di vendetta e libertà. Altisonante come un romanzo d'appendice, è il film dove, a regnare incontrastati, sembrano essere Ferretti e la Lo Schiavo, co-autori e protagonisti off che hanno ricreato gli spazi afosi, teatrali della vicenda.
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Nella seconda metà dell'800, tra irlandesi in cerca di riscatto e un posto al sole nella East Coast e "Nativi" che sembrano sporchi e lerci diavoli miltoniani, il quartiere newyorchese dei Five Points è sconvolto dalla lotta che il giovane Amsterdam, orfano di Priest Vallon, capo dei "figli di Erin", chiamati Dead Rabbits sul campo di battaglia, ingaggia contro Bill il Macellaio, "Nativo", violento come un Re Lear raccontato alla maniera di Scarface, per sete di vendetta e libertà. Altisonante come un romanzo d'appendice, è il film dove, a regnare incontrastati, sembrano essere Ferretti e la Lo Schiavo, co-autori e protagonisti off che hanno ricreato gli spazi afosi, teatrali della vicenda. In questo film non c'è uno stile forte nè un rigore armonico che consenta un reale trasporto: in un'altalena costante di belle trovate e immagini imperfette, il risultato è quello di un film medio che è trascinato per inerzia dalla componente storica, politica e tematica. Come Vaghe stelle dell'Orsa di Visconti e I cancelli del cielo di Cimino, Gangs of New York si scontra con la bassezza dei personaggi perchè lontano da un'approccio archeologico e mitologico necessario alla narrazione che soltanto Leone era stato in grado di cogliere col suo C'era una volta in America, film ricercato e citato in scelte estetiche e tematiche inutili e discutibili. Il tono epico non giova anche se si apprezza a frammenti. Fotogramma dopo fotogramma, non si può pensare altro che a quanto sarebbe stato bello se solo fosse stato un musical!
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