elgatoloco
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sabato 9 gennaio 2021
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grande avati
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"Festa di laurea"(Pupi Avati, scritto con il fratello ANtonio, 1985)è un film nel classico stile(eccelso)di Avati, volto al recupero del "tempo perduto"(temps perdu, temps gagné o almeno "riletto".recuperato in parte tramite la rilettura); il più proustiano(a modo suo, però, in mamera creativa--originale)dei directors itlaiani, il grande autore bolognese ci dà uno spaccato di vita, filtrato anche attraverso il cinema amatoriale, di un avvocato"Maniaco"del cinema, che alla fine ripercorre la famosa festa di laurea. Mare della Riviera Adriatica, romagnolo per la precisione("Lido di CLasse", anche se qualche scene pare sia stata realizzata a Fregene), ma siamo nel 1950, dunque senza tutto l'andaraban turistico che imperversa dai Sixties in poi, dal boom.
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"Festa di laurea"(Pupi Avati, scritto con il fratello ANtonio, 1985)è un film nel classico stile(eccelso)di Avati, volto al recupero del "tempo perduto"(temps perdu, temps gagné o almeno "riletto".recuperato in parte tramite la rilettura); il più proustiano(a modo suo, però, in mamera creativa--originale)dei directors itlaiani, il grande autore bolognese ci dà uno spaccato di vita, filtrato anche attraverso il cinema amatoriale, di un avvocato"Maniaco"del cinema, che alla fine ripercorre la famosa festa di laurea. Mare della Riviera Adriatica, romagnolo per la precisione("Lido di CLasse", anche se qualche scene pare sia stata realizzata a Fregene), ma siamo nel 1950, dunque senza tutto l'andaraban turistico che imperversa dai Sixties in poi, dal boom. SIamo ancora nel quasi immediato Secondo Dopoguerra, epoca di carenza, anche se la situazione non è proprio quella di miseria del 1946-'47, da quanto si legge-Piano Marshall che avevo almeno"tappato qualche buco". Un piccolo imprenditore dellaa pasta, con il figlio, accetta di organizzare la festa di laurea della figlia del suo grande amore, che, diceci anni prima, l'aveva baciato mentre gli annunciava l'entrata in guerra... Festa disastrosa, nata male(la figlia in realtà aveva falsificato il libretto universitario, dandosi voti per gli esami), non aveva conseguito alcuna laurea, ma la voglia di emergere della classe non più"working"era ferma, il conflitto di classe ancora fortissimo(Ma con la volontà dei"parvenus"di farsi valere, di non essere più chiamati"compagni", mentre il proletariato era in una condizione terribilmente minoritraria, proprio anche per come veniva trattato e per come doevva trattare invece i borghesi), i rapporti tra ragazzi e ragazze erano antidiluviani e"medievali"(anche se in realtà nel Medioevo la sessaulità non era poi così repressa, cintura di castità a parte). Il protagonista, chiamato per"amore"(o meglio lui accetta per amore di prestarsi al gioco,, tanto da non volere poi alcun comprenso, neppure come rimborso delle spese da lluo stesso sostenute, invero abbastanza ingenti)a oragnaizzare la(invero finta, ma non tutti/e lo sanno)festa d laurea, è uno straordinario Carlo Delle Piane, uno delgi interpreti più sensibili dle cinema italiano, Aurore Clément il suo amore d'antan, i giovani sono Lidia Broccalino e Nik Novecento, in un film che mostra sempre la bravuta estrema di Avati, anche nel collocare le musiche(un'orchestrina suona per la festa, brani "slow"e jazz, quando sappiamo che il jazz è sempre stata la passione segreta-un tempo, ormai non più...dato che ne ha parlato molto, in varie interviste-di Pupi, già musicista poi "surclassato"da Lucio Dalla, decisamente più bravo come musicista, più giovane di qualche anno, per cui Avati ha nutrito un'antipatia quasi"patologica"come ha avuto modo di raccontare varie volte egli stesso... Un film del dolce rimpianto, che ha momenti anche "bui"ma che nella riscoperta, proprio anche filmica , di quanto si è visto.vistuto, torva una suaa cifra in qualche modo tipica, archetipica, quintessenziale, dato che il cinema è anche e soprattuttto questo.: recupero del vistp.sentito-esperito, ciò che Cocreau, che aveva diretto dei film esprimeva un po'trsitemente dicendo"il cinema è la morte al lavoro": El Gato
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great steven
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giovedì 24 dicembre 2015
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candido pasticciere organizza un sontuoso evento.
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FESTA DI LAUREA (IT, 1984) diretto da PUPI AVATI. Interpretato da CARLO DELLE PIANE, AURORE CLEMENT, CESARE BARBETTI, NIK NOVECENTO, ADRIANA INNOCENTI, LUISA MORANDINI, LIDIA BROCCOLINO, DARIO PARISINI, FIORENZA TESSARI, NINO PRESTER, DAVIDE CELLI
Vanni Porelli è un ingenuo e irascibile pasticciere separato dalla moglie da cui ha avuto un figlio ottuso di nome Nicola. Vive ancora nel ricordo dell’unico, vero amore (non corrisposto, fra l’altro) della sua esistenza, sancito da un unico contatto fisico (un bacio sulle labbra) con la donna che non ha mai smesso di adorare dal 10 giugno 1940 fino a dieci anni più tardi, quando lei improvvisamente ricompare e gli affida l’incarico di addobbare a festa un vecchio rudere marcescente e in rovina in occasione della laurea di sua figlia Sandra.
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FESTA DI LAUREA (IT, 1984) diretto da PUPI AVATI. Interpretato da CARLO DELLE PIANE, AURORE CLEMENT, CESARE BARBETTI, NIK NOVECENTO, ADRIANA INNOCENTI, LUISA MORANDINI, LIDIA BROCCOLINO, DARIO PARISINI, FIORENZA TESSARI, NINO PRESTER, DAVIDE CELLI
Vanni Porelli è un ingenuo e irascibile pasticciere separato dalla moglie da cui ha avuto un figlio ottuso di nome Nicola. Vive ancora nel ricordo dell’unico, vero amore (non corrisposto, fra l’altro) della sua esistenza, sancito da un unico contatto fisico (un bacio sulle labbra) con la donna che non ha mai smesso di adorare dal 10 giugno 1940 fino a dieci anni più tardi, quando lei improvvisamente ricompare e gli affida l’incarico di addobbare a festa un vecchio rudere marcescente e in rovina in occasione della laurea di sua figlia Sandra. Vanni non è molto bendisposto né tantomeno propenso ad una missione del genere, ma si rassegna e si rimbocca le maniche e, insieme ad una scalcinata squadra di tecnici, cuochi, camerieri, carpentieri e altri inservienti, riesce a trasformare un edificio apparentemente inadeguato in una splendida residenza adattissima per ospitare una festa di laurea. Ma, nonostante le riverniciature, le modernizzazioni architettoniche e tutti gli altri sforzi profusi per il lieto evento, la cerimonia non andrà come previsto, anche perché in realtà Sandra non si è mai laureata dal momento che non ha portato a termine gli studi, benché asserisse il contrario. Sua madre resterà profondamente delusa e anche tutti gli altri invitati in lista non passeranno momenti migliori. Lo stesso Vanni, accendendo le luci come già aveva fatto il decennio precedente per celebrare la laurea del suo eterno amore non contraccambiato, trarrà le sue amare conclusioni e capirà che tutta quella fatica non è stata comunque sprecata, in quanto egli ha lavorato e sgobbato in onore della sua bella musa ispiratrice. Tant’è vero che, malgrado tutti gli intrighi, le complicazioni, i malintesi e i problemi a cui è andato incontro, il pasticciere non perde comunque il candore melanconico e puro che da sempre lo contraddistingue. Questo film mezzano, per quanto riguarda la carriera di P. Avati (1938) da un punto di vista squisitamente cronologico, non si può dire riuscito al 100%, tuttavia ha al centro un protagonista che porta seco una notizia cattiva e una buona. Partendo dalla cattiva, il personaggio incarnato dall’infallibile fisicità grottesca ed esilarante di un C. Delle Piane particolarmente in forma, sembra più che altro una brutta copia del carattere che lo stesso attore interpreterà due anni più tardi in un altro film del regista, Regalo di Natale, datato 1986. La notizia buona consiste invece nel fatto sorprendente che Vanni Porelli, uomo dall’animo semplice e fondamentalmente buono, assomiglia molto da vicino al principe MyŠkin de L’idiota di Dostoëvskij, col quale ha per l’appunto in comune la solerzia nel portare a compimento un dovere e anche la fiducia incondizionata nei sentimenti altrui quando crede che le sue attenzioni e la sua premura saranno lautamente ricompensate. I contributi tecnici si ritagliano la loro fetta di merito mettendo in campo un’attenta scenografia che riproduce con fedeltà e meticolosità la Rimini del secondo dopoguerra, entrando nell’atmosfera degli anni 1950 col sapore paradossalmente agreste della spiaggia romagnola e il sentore nostalgico della vita campestre di una popolazione ormai quasi del tutto inurbata; altra lode va inoltre ad un montaggio decisamente tranquillo e posato, che non corre mai troppo, ad una colonna sonora che si accoppia perfettamente con esso proprio per la somiglianza nella tranquillità e, in ultima analisi, anche ad una sceneggiatura che fa della sobrietà un punto di forza per privilegiare i rarissimi, ma determinanti, momenti di divertimento, nonché per fare leva sulla drammaticità intrinseca della vicenda che nega la lieta fine al film giacché non vuole infondere false speranze né alimentare miti (come quello del primo amore, o preferibilmente dell’amore perduto per sempre) che vengono prontamente e immediatamente smontati. Pupi, che co-produce la pellicola col fratello Antonio, dirige il traffico con la consueta maestria di pastore di anime cinematografiche che conosce i difetti e i pregi delle creature che escono dalla sua immaginazione, con l’unico torto di concentrare troppa emotività nel protagonista, a discapito di altre figure importanti la cui tragicità programmatica avrebbe meritato un maggiore approfondimento, come ad esempio il figlio un po’ scemotto, la studentessa mentitrice e poco seria e anche il padre di quest’ultima, uomo benestante e afflitto da tormenti interiori che cerca di placare con lo spudorato tradimento coniugale.
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giorgio76
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lunedì 24 marzo 2014
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quando l’italia sapeva sognare*
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*Aggiornamento mia recensione 2008 ("Un Avati mai così... avatiano)-
Testo pubblicato il 23/11/2013 sul sito di informazione www.informarezzo.com
“Spiega a tuo padre cosa vuol dire un miracolo come questo in una famiglia: LAUREARSI. Non DIPLOMARSI, LAUREARSI”. Siamo nell’Italia del 1950: la guerra è finita da poco, gli americani se ne stanno andando, a poco a poco sta emergendo il cafonal del miracolo economico, la borghesia (non più intimidita dalla “reazione antifascista”) sta riemergendo, e si sta riaffermando come arbitra di relazioni sociali e delle buone maniere.
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*Aggiornamento mia recensione 2008 ("Un Avati mai così... avatiano)-
Testo pubblicato il 23/11/2013 sul sito di informazione www.informarezzo.com
“Spiega a tuo padre cosa vuol dire un miracolo come questo in una famiglia: LAUREARSI. Non DIPLOMARSI, LAUREARSI”. Siamo nell’Italia del 1950: la guerra è finita da poco, gli americani se ne stanno andando, a poco a poco sta emergendo il cafonal del miracolo economico, la borghesia (non più intimidita dalla “reazione antifascista”) sta riemergendo, e si sta riaffermando come arbitra di relazioni sociali e delle buone maniere. C’è una villa, abbandonata e diroccata, vicino al mare sulla costa emiliana adriatica (tra Volano e Comacchio), allora molto povera, eppure fascinosa e selvaggia: una villa da riportare ai fasti di un tempo, dopo che i bombardamenti, la guerra e il caos successivo l’avevano resa “terra di nessuno”. C’è una Signora, Gaia (la fascinosa Aurore Clèment), di buonissima famiglia bolognese, che ha un ricordo indelebile della festa di laurea e delle luci che, a sorpresa, amici e ammiratori fecero accendere per lei nella landa di boschi e campagna attorno alla villa (forse le uniche vere luci della sua vita). E’ c’è Vanni (Carlo delle Piane), il butterato ex-domestico di Gaia, già tra i principali animatori della festa di laurea della padrona, che viene ingaggiato da Gaia per organizzare la festa di laurea della figlia: proprio nella villa al mare come la madre.
Gaia e Vanni, i protagonisti, pure diversissimi per estrazione sociale, sono uniti da un comune destino, sono dei vinti. Lui è uno Zio Vanja in salsa emiliana (di qui, forse l’assonanza del nome, Vanni): coltiva per anni una dedizione nella padrona di cui per errore (e un po’ per vanità) si riteneva oggetto di attenzioni particolari (per un bacio scoccato il 10 giugno 1940, da lui equivocato come gesto di amore e non di esaltazione per l’intervento in guerra dell’Italia) e si avventura in un’impresa faticosa, che non gli rende nulla, e che lo copre solo di ridicolo (organizzare una festa di laurea per una ragazza che poi si scopre aver falsificato gli esami). Gaia, pure dietro la maschera burbanzosa e pimpante della buona borghesia, è in realtà un personaggio triste e in declino, che vive di ricordi e glorie passate come Amanda nello Zoo di Vetro di Tennesse Wiliams. Forse lei lo sa che la figlia non avrebbe potuto laurearsi, eppure lascia che Vanni organizzi la festa. Ma c’è un patto segreto che unisce i due e lui lo sa: la festa è un (segreto) regalo d’amore per lei; il regalo di un vecchio e instancabile ammiratore, regalo che lei ha sollecitato, in una vana, quanto illusoria pretesa di fermare il tempo.
Nella parabola di Vanni e Gaia, dei due vinti, il film Festa di Laurea di Pupi Avati (non il miglior film di Pupi Avati), nella caratteristica sensazione di sospensione tra realtà e sogno (la laurea spacciata per vera, il ricordo del bacio scambiato da lui per amore ….), restituisce lo “spirito di un epoca”, dell’Italia del “miracolo economico”: c’è il cafonal ridicolo della sua piccola borghesia, che vive di riti, di demeriti spacciati e celebrati per meriti (la festa per la laurea che non c’è!), ma c’è la tenace volontà di sogno (e di illusione) dei piccoli, come Vanni, oppressi dalla vita quotidiana e dai loro problemi, ma che continuano a sognare, aldilà delle illusioni che patiscono.
Sospensione tra sogno e realtà, che è la cifra in Avati di una coscienza critica dei suoi anni. Una coscienza che oggi manca al cinema e alle fiction italiane, costruite all’insegna dell’ipocrita “come si stava meglio allora”, frase che Avati tenacemente rifugge. Il “sognatore” di Avati non è lo spettatore superficiale di oggi che ama “auto-mistificarsi” sui “bei tempi” andati, ma è il personaggio che come Vanni-Vanja sa pagare caro sulla sua pelle il prezzo delle proprie illusioni.
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giorgio
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venerdì 14 marzo 2008
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un avati mai così ... avatiano!
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Premetto che ho impiegato quasi vent'anni a giudicare con distacco questo film. Ho dovuto, in particolare, vincere un "pregiudizio positivo" che mi ha condizionato non poco: io ho molto amato il film perchè amavo (e amo ancora) il "piccolo mondo di provincia" di Avati: è il mondo della mia infanzia, di mia mamma, di mio papà, dei racconti delle feste e dei divertimenti dei "mitici anni '50" che ho non poco idealizzato. Oggi mi sento in grado di esprimere un giudizio più distaccato, un pò per gli anni, un pò per la più approfondita conoscenza del regista.
Oggi, io giudico "festa di laurea", da un lato, come la chiusura ideale di quella saga del "come eravamo" iniziata con "Jazz Band" (1978), continuata con "Cinema!!!" (e che ha per oggetto la rievocazione degli anni '50); dall'altro, come il film che consacra una "maniera avatiana".
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Premetto che ho impiegato quasi vent'anni a giudicare con distacco questo film. Ho dovuto, in particolare, vincere un "pregiudizio positivo" che mi ha condizionato non poco: io ho molto amato il film perchè amavo (e amo ancora) il "piccolo mondo di provincia" di Avati: è il mondo della mia infanzia, di mia mamma, di mio papà, dei racconti delle feste e dei divertimenti dei "mitici anni '50" che ho non poco idealizzato. Oggi mi sento in grado di esprimere un giudizio più distaccato, un pò per gli anni, un pò per la più approfondita conoscenza del regista.
Oggi, io giudico "festa di laurea", da un lato, come la chiusura ideale di quella saga del "come eravamo" iniziata con "Jazz Band" (1978), continuata con "Cinema!!!" (e che ha per oggetto la rievocazione degli anni '50); dall'altro, come il film che consacra una "maniera avatiana". Di questi film, "festa di laurea", secondo me, eredita il carattere "televisivo": Vanni-Delle Piane non è altro che lo specchio del pubblico, della sua goffaggine, delle sue paure, delle sue romanticherie di ragazzi... ma poco più. Forse qui prevale la volontà di Avati di non tradire il grosso pubblico pubblico che lo ha seguito numeroso in "jazza band": per questo, sembra fare di tutto per costruire una sorta di "maniera avatiana", di uno stile "minimalista", "provinciale", una cifra che concorre tuttora ad identificarlo e che avvolge l'arte di Avati in una cappa di opacità ed incomprensione critica.
Parlavo di "maniera avatiana"; parlavo di "derivazione televisiva" di questa maniera.
Ebbene, la riprova l'ho avuta, guardando recentemente la miniserie rai "raccontami", che sembra ripristinare proprio un genere del tutto affine al "come eravamo" inaufurato da Avati. Questa miniserie, secondo me, conteneva una vera e propria citazione di Pupi Avati e di "festa di laurea", proprio nella sigla e nella sequenza di chiusura, che incorniciavano un momento di felicità famigliare all'interno di un film Super-8 artigianale. Come non andare alla memoria della sequenza finale del "filmino" sulla festa della (finta) laurea?
Con tutti i limiti stilistici e ... poetici, "festa di laurea" ha forse un merito: quello di confermato la fecondità forse dell'unico soggetto che nella nostra asfittica tv forse non conoscerà usura: il "come eravamo" (vedi "happy days"...).
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raptus
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lunedì 5 giugno 2006
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un "capolavorino"
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Che bellezza! Quando hai la grazia di poter vedere un film così, inizi a non preoccuparti più per le numerose piaghe che affliggono il cinema italiano. L'unico problema é: quanti lo conoscono? Quante persone hanno visto i piccoli capolavori di Pupi Avati? Regista (caso raro nel nostro Paese) mai schierato politicamente, per il quale il mistero dell'innamoramento rimane una costante quasi in tutti i film. Amore in tutte le salse: dal giovane inibito al vecchio disinibito e viceversa, dall'amore impossibile a quello tradito. Un amore che ha radici profonde nella ricerca della bellezza con la "b" maiuscola. Certo, anche Pupi Avati ha realizzato lungometraggi piuttosto mediocri come "I cavalieri che facero l'impresa".
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Che bellezza! Quando hai la grazia di poter vedere un film così, inizi a non preoccuparti più per le numerose piaghe che affliggono il cinema italiano. L'unico problema é: quanti lo conoscono? Quante persone hanno visto i piccoli capolavori di Pupi Avati? Regista (caso raro nel nostro Paese) mai schierato politicamente, per il quale il mistero dell'innamoramento rimane una costante quasi in tutti i film. Amore in tutte le salse: dal giovane inibito al vecchio disinibito e viceversa, dall'amore impossibile a quello tradito. Un amore che ha radici profonde nella ricerca della bellezza con la "b" maiuscola. Certo, anche Pupi Avati ha realizzato lungometraggi piuttosto mediocri come "I cavalieri che facero l'impresa". Ciononstante rimane, con Gianni Amelio e il giovane Sorrentino, uno dei migliori artisti del cinema nostrano. Nel caso di "Festa di laurea", come lo stesso Pupi ha dichiarato, l'intento è quello di rappresentare l'illusione, non soltanto in chiave romantica, di una vita normale per l'Italia del dopoguerra, quella "voglia di ricominciare", di ricostruire, che ha attraversato il nostro popolo negli anni immediatamente successivi al conflitto, fino al boom economico degli anni '60. E' solo per amore a qualcuno o qualcosa che si può ricostruire dalle macerie dei propri (o dei generali) errori. Spiccano, oltre al meraviglioso Carlo delle Piane, eccellenti personaggi comprimari. Primo fra tutti il compianto Nick Novecento, scomparso, purtroppo, in giovane età.
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