La fine del gioco

Un film di Gianni Amelio. Con Ugo Gregoretti Drammatico, b/n durata 60 min. - Italia 1970.
   
   
   

Le esercitazioni televisive del giovane Amelio Valutazione 3 stelle su cinque

di gianleo67


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mercoledì 2 ottobre 2013

Sulle incerte prospettive di un cinema verità votato al sociale, Gianni Amelio esordisce con questa opera prima per la RAI che sperimenta una sorta di ricostruzione cinematografica 'dal vero' di un reportage giornalistico sul disagio e la difficile esperienza di vita di un dodicenne, orfano di padre, recluso in un istituto correzionale e sui suoi complicati rapporti familiari. Distinto nei due momenti dell'intervista 'ufficiale' all'interno del riformatorio e delle esternazioni 'spontanee' al giornalista (un giovane Ugo Gregoretti) che lo accompagna in treno verso la casa materna, è un apprezzabile ma non del tutto riuscito tentativo di teorizzare e misurare l'obiettività del mezzo cinematografico entro la  dimensione di un resoconto credibile di una difficile realtà sociale non già attraverso un approccio diretto con il giovane protagonista ma seguendo il percorso inverso di una elaborazione romanzata di questa ricostruzione, una ricognizione artificiosa di momenti 'dal vero' (la selezione del candidato ideale, la pretesa del giornalista di un comportamento naturale da parte dell'intervistato, gli slanci insinceri di una simulata diffidenza, l'uso capzioso del dialetto o quello altrettanto improbabile di un italiano corretto) che segna da un lato il fallimento di quasiasi elaborazione verosimile di una realtà che non sia la realtà stessa (utopia che si era già eclissata alla fine degli anni '60) e dall'altro tradisce la lezione pasoliniana sugli effetti di distorsione e manipolazione del mezzo televisivo, laddove lo stesso regista Friulano si era cimentato in una documentazione esemplare e priva di filtri sulla controversa realtà del disagio giovanile e sullo spaccato sociale di un'Italia a due velocità attraverso memorabili interviste televisive confluite in una preziosa indagine sociologica (Comizi D'amore - 1963). A parte questi limiti formali, l'autore calabrese rivela già una spiccata sensibilità per un tema difficile come il valore pedagogico di una istituzione pubblica quale il riformatorio (la RAI di allora sembra essere assai più moderna e libera di quella attuale) e per un mondo dell'infanzia colto in una condizione dolente di solitudine e di emarginazione sociale. Da rispolverare.

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