| Titolo internazionale | Possibility of Paradise |
| Anno | 2024 |
| Genere | Drammatico |
| Produzione | Serbia |
| Durata | 75 minuti |
| Regia di | Mladen Kovacevic |
| Attori | Ling Lai, Ivana Obradovic Sahami, Anna Kadek, Branko Milovanovic, Mcintosh Cooey Shinta Sukmawati. |
| MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 2 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento martedì 3 settembre 2024
Una serie di personaggi sono alla forsennata ricerca della felicità.
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CONSIGLIATO SÌ
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Un'isola senza nome - ma è davvero così? -, dei personaggi in cerca di un futuro - o è il presente? -, la storia che va avanti - o non è mai cambiata? Tutto scivola via per le studentesse che attendono la fine della pioggia. Tutto si sta sistemando per l'ex pubblicitaria in cerca di un terreno per la sua villa. Tutto è in precario equilibrio per chi sta costruendo un resort su quelle terre. Tutto è in rapporto con la natura per chi cattura e riporta nel proprio ambiente gli animali. Tutto cambia per chi ha avuto il cuore spezzato, chi vuole partire ma forse no, chi si sveste dei suo abiti e quindi della sua vita, chi si immerge per andare al fondo del mare e di sé stesso. Tutto scorre, e noi lì davanti a seguire la corrente.
Ogni personaggio cerca il suo posto nel mondo stretto tra lavoro, corpo e anima .
Per Mladen Kovacevic è più importante il come o il cosa? Il verticale o l'orizzontale? Chi guarda o chi viene visto? Il film, sesto lavoro di Kovacevic, realizzato grazie al sostegno di Film Center Serbia e Swedish Film Institute, ci invita sottilmente a chiederci tutto questo. Solo a prima vista supremo atto di inferenza, che ti spinge a sciogliere e ricomporre i nodi narrativi, estetici ed emotivi che gli danno forza, il film di Kovacevic invece ti torna indietro come matassa da ammirare così com'è, senza forma né sostanza ma come possibilità di queste. Le storie sono quelle - Alta e Listya che nelle loro uniformi scolastiche passano il tempo come possono, Mcintosh Cooey e suo figlio Kieran che gironzolano per casa pensando a dove trasferirsi. E poi c'è la Storia - il passato coloniale dell'Indonesia e il suo presente sul filo della democrazia, la touristification di Bali e l'assedio ambientale del riscaldamento globale. Kovacevic ci fa vedere, l'una dopo l'altra, e in mezzo tante altre cose, come il tempo delle storie e della Storia sia diverso, come il tempo sia misura del valore e che non solo alcuni ne hanno di più rispetto agli altri, ma lo impiegano in modo diverso - o meglio, lo possono impiegare in modo diverso. L'autore serbo, già in concorso a Rotterdam, Visions du Réel, Karlovy Vary e CPH:DOX, si era già confrontato con la dialettica del lavoro, del capitalismo globale e del nuovo colonialismo con Merry Christmas, Yiwu, assieme studio, quadro e scavo dell'umanità gravitante attorno al business del Natale come lo noi conosciamo e come i lavoratori cinesi ci permettono che sia. Dopo il ritorno in patria con Another Spring, Kovacevic fa di nuovo rotta verso gli "altri orienti" e mette in fila porzioni di storie e Storia in questa opera usando se non la stessa lente almeno lo stesso angolo della trasferta cinese.
Così il come e il cosa, il verticale e l'orizzontale, chi guarda e chi viene visto trovano tesi e antitesi nelle lunghe sequenze che alternano il costruttore che pensa alle infiltrazioni d'acqua e il capo progetto che gli dice che il luogo è "angker" ("sacro"), i proprietari delle ville allarmati per la presenza di serpenti e Shinta che li cattura per poi liberarli nella natura, fino ad arrivare alla splendida sintesi della figura di Ling Lai, influencer cinese, "wild luxury retreat leader & life coach for female leaders", vittima di scam online e decisa a riprendersi la sua vita grazie ad un nuovo amore, la figlia Julia e lunghe passeggiate in riva al mare. Kovacevic registra il tempo che ognuno possiede e ce lo propone come matassa da seguire in tutte le sue direzioni analizzabili, giustappone il post-coloniale con il de-coloniale, attenziona la differenza di classe che diventa ricerca dell'io interiore. Con una messa in scena naturalistica che solo a volte sfuma nel simbolico e una sola volta corre verso l'astratto - la sequenza prima dei titoli di coda -, il film ci tenta con l'idea che forse il predatore ha una forma diversa e il suo sguardo non è più lo stesso, tutto è diventato così immateriale eppure così avanzato. Però la domanda rimane sempre la stessa: di chi è quel paradiso, e chi ha la possibilità di viverlo? Lì come ovunque.
Un’isola senza nome – ma è davvero così? –, dei personaggi in cerca di un futuro – o è il presente? –, la storia che va avanti – o non è mai cambiata? Tutto scivola via per le studentesse che attendono la fine della pioggia. Tutto scorre, e noi lì davanti a seguire la corrente.
Solo a prima vista supremo atto di inferenza, che ti spinge a sciogliere e ricomporre i nodi narrativi, estetici ed emotivi che gli danno forza, il film di Kovacevic invece ti torna indietro come matassa da ammirare così com’è, senza forma né sostanza ma come possibilità di queste.
Con una messa in scena naturalistica che solo a volte sfuma nel simbolico e una sola volta corre verso l’astratto, il film ci tenta con l’idea che forse il predatore ha una forma diversa e il suo sguardo non è più lo stesso, tutto è diventato così immateriale eppure così avanzato. Però la domanda rimane sempre la stessa: di chi è quel paradiso, e chi ha la possibilità di viverlo? Lì come ovunque.
Sette brevi spezzoni di vita vissuta da persone molto diverse tra loro per provenienza, temperamento e occupazioni si susseguono senza intersecarsi dopo un prologo in cui si palesa subito lo sfondo che fa da 'collante' alle storie stesse: una sperduta e 'paradisiaca' isola indonesiana dove ciascuna delle figure intercettate dal regista sta cercando, lontano dai luoghi d'origine, un nuovo orizzonte [...] Vai alla recensione »