Attenti al buffone

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Un film di Alberto Bevilacqua. Con Nino Manfredi, Mario Scaccia, Eli Wallach, Enzo Cannavale, Mariangela Melato.
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Drammatico, durata 110 min. - Italia 1975. MYMONETRO Attenti al buffone * * 1/2 - - valutazione media: 2,60 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Con un involucro sontuoso, ma vacuo all'interno. Valutazione 2 stelle su cinque

di Great Steven


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giovedì 5 febbraio 2015

ATTENTI AL BUFFONE (IT, 1975) diretto da ALBERTO BEVILACQUA. Interpretato da NINO MANFREDI, MARIANGELA MELATO, ELI WALLACH, FRANCISCO RABAL, ENZO CANNAVALE, MARIO SCACCIA
Un quieto violinista, dopo una giornata di lavoro, rientra a casa e la trova tutta a soqquadro, e scopre che sua moglie non c’è più. Viene a sapere che è stata rapita ed è segregata da un ex gerarca fascista che vuole farne la sua concubina. Questo bieco e malvagio individuo vive in una villa che possiede pure un museo militare ed è circondata da un meraviglioso pieno di statue, e inoltre ha alle sue dipendenze un maggiordomo che segretamente lo sbeffeggia e un gruppo di prostitute a cui è affidato il compito poco serio di divertire le sue giornate. Al musicista pioveranno offerte (non solo in denaro) da tutte le parti affinché rinunci alla consorte, ma egli saprà sfoderare l’arma imbattibile dell’ironia con cui disgregherà il crudele avversario fino a distruggerlo. E si riprenderà la donna che gli appartiene di diritto. Ancora una volta, dunque, Davide ha sconfitto Golia. Bevilacqua ha realizzato ottime opere nella veste di scrittore che sicuramente gli è più congeniale: come regista, infatti, non s’è mai distinto particolarmente, e questo filmetto di nicchia è un esempio di come il cinema non abbia mai costituito per lui un veicolo espressivo adeguato e caratteristico. Di per sé, la storia ha anche una sua originalità intrinseca e accattivante (da ricordare il David di Donatello 1976 che la sceneggiatura di questo film ha vinto), ma l’andamento monotono e piatto della vicenda non riesce a riscattarla, anzi, la fa sprofondare in un bassofondo di bizzarria e caricatura involontaria che finisce solo per coprirla di ridicolo. La sontuosità della scenografia e la precisione della fotografia non bastano per abbellire una pellicola che tenta in tutte le maniere di emergere come discorso apologetico sull’importanza della famiglia, sul bisogno di sbarazzarsi di antiche convenzioni socio-politiche e sull’utilizzo dei più sottili sistemi psicologici allo scopo di sconfiggere gli avversari, ma c’è pure una messinscena che rovina il tutto dando troppo spazio alle ripetizioni e privilegiando un decadentismo filmico che imprime un ritmo e una camminata eccessivamente vuoti e inutilmente sfarzosi. Per dirla con una similitudine, Attenti al buffone assomiglia ad una sorta di calice dell’ultima cena decoratissimo e faraonico all’esterno ma riempito di un vino pessimo e rancido. Ha addosso un simulacro che lo ricopre e gli conferisce un’apparente fattura pregiata, ma se lo si guarda più a fondo si individua una vacuità irritante e insignificante. Nemmeno le interpretazioni aiutano ad alzare la media, sebbene tutti gli attori (o quasi) siano in parte, e abbiano ciascuno un ruolo che si addice alle proprie corde recitative: Manfredi è più controllato del solito, fa meno battute divertenti ma è comunque a suo agio nel ruolo di un atipico protagonista che riscopre dentro di sé un’incredibile potenzialità mentale che gli servirà per annientare, anche psicologicamente, il suo indesiderato rivale; se Manfredi suona uno zufolo, ad esso si contrappone il trombone di Wallach, che nella parte del cattivo si è sempre cimentato con successo, benché questo fascistone lussurioso e grossolano sia riuscito solo  in parte; la Melato, contrariamente a come siamo abituati a vederla, appare scolorita e svilita, e di certo una parte così sottotono non valorizza la sua consueta parlantina micidiale e la sua innata energia; in conclusione, Scaccia colorisce un po’ troppo il suo personaggio di eccentrico aiutante del protagonista, esagerando con i salamelecchi e l’esasperata meccanizzazione dei dialoghi satirici e sarcastici, mentre Cannavale se la cava recitando la parte dell’assistente del carattere principale con piglio arguto e velata serenità.

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