Tutte le scoperte sono inedite e, in quanto tali, anche (emozionalmente) irripetibili.
Se vale questa tesi, confrontare Lo Hobbit alla precedente trilogia del Signore degli Anelli varrebbe come a chiedersi se Cristoforo Colombo, abbia provato o meno le stesse identiche emozioni all'avvistamento della Terra Ferma nel suo secondo viaggio verso le Americhe.
Navigando nel mare della settima arte, molti di noi hanno conosciuto, circa un decennio fa, il più grande Mondo Epico dell'era moderna ed oggi, con Lo Hobbit, possono farvi ritorno pur certi di non poter più rivivere l'emozioni proprie di una Rivelazione. Del resto, l' Epos de Lo Hobbit ha un meccanismo diverso, meno poema e più racconto , e tuttavia il regista-Demiurgo neozelandese mostra di aver compreso che nonostante il carattere quasi fiabesco, la storia di Bilbo Baggins è solo una lente di ingrandimento su un corpus mitologico così vasto da non poter essere sempre visibile in un solo romanzo. Ed ecco che, sicuramente incoraggiato anche da spinte commerciali, egli lo dilata, introduce elementi narrativi inediti spesso originali, ma sempre perfettamente plausibili con l'universo Tolkieniano. Non solo. Nella prima parte del film, Jackson realizza il vero senso del suo lavoro: indugia sullo "status domestico" in cui Bilbo viene disturbato, non solo per giocare di contrasto con la parte più avventurosa del film , ma soprattutto per chiarire che se la partenza è importante quanto l'arrivo, lo è ancor di più lo stato che la precede. Riflettiamo un attimo. La dimora per Bilbo coincide con le proprie sicurezze e la propria esistenza talvolta espressa sotto forma di una ritualità lenta, abitudinaria, forse noiosa ma rasserenante. Ma è proprio grazie a questa condizione irrinunciabile che Egli comprende fino in fondo il desiderio dei Nani di riappropriarsi della loro Casa e decide di accompagnarli anche a costo della propria vita. Non è la possibilità di diventar ricco che lo chiama all'avventura. Gia lo è. E l'amore per le "proprie cose", per la contea, per la calda, confortevole e luminosa caverna, che gli permette di compatire la sorte del popolo nanico con una generosità altissima , quasi religiosa.
Il film non è che il racconto meraviglioso di questa catarsi al contrario ed anche la presenza dell' inquietante Azog (preso in prestito dagli annali scritti da Tolkien) viene asservita con qualche rischiosa licenza a questo percorso interiore, offrendo al "lato Tuc" di Bilbo l'occasione ardita per emergere da quella lotta interiore non tanto diversa dal dualismo che lacera la creatura Gollum.
Appare probabile che anche Jackson abbia faticato interiormente tra le sue molteplici anime visionarie, e sarebbe da sciocchi non pensare che alcuni passaggi risultino perlomeno discutibili o, forse, un tantino sbilanciati, ma alla fine di questa prima tappa gli dobbiamo riconoscere il tentativo (riuscito) di aver salvato il topos Tolkieniano. I paesaggi (meravigliosi) cambiano, la contea si allontana alle spalle ed è molto probabile che , chi vorrà accompagnare lo scass...hobbit fino alla fine di questa storia, dopo non sarà più lo stesso.
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