Quando morì nel 1971, all'età di 77 anni, Harold Lloyd lasciò ai suoi eredi più di 5 milioni di dollari e una residenza lussuosa a Beverly Hill circondata da un vasto parco. Una villa hollywoodiana di 44 stanze costruita nello stile di una dimora principesca italiana del Rinascimento, di cui possiamo farci un'idea dalle fotografie pubblicate da Wolfram Tichy nel suo bel libro su Lloyd uscito in Germania nel 1979. D'altronde, come scrive lo stesso Tichy, egli era «l'incarnazione del sogno di far carriera di ogni americano, dal ragazzo che vende giornali al milionario». Nato nel Nebraska il 20 aprile 1893, figlio di un fotografo mancato, aveva fatto la gavetta a Hollywood come molti suoi coetanei, per affermarsi, soprattutto nel corso degli Anni ‘20, uno degli attori comici più noti e applauditi in tutto il mondo, a fianco di Charlie Chaplin e Buster Keaton. Di qui l'ascesa sociale ed economica, unita a una concezione della vita molto borghese e benpensante. Da quando abbandonò il cinema nel 1947, passò gli ultimi 25 anni circondato dagli affetti familiari, occupandosi dell'amministrazione oculata dei suoi beni. Non per nulla gli fu dato un Oscar speciale come «maestro della comicità e buon cittadino». I suoi film, non tanto i moltissimi cortometraggi prodotti da Hal Roach prima del 1917, in cui creò il personaggio di Lonesome Luke, quanto i seguenti, di corto, medio e lungometraggio, sino alla fine degli Anni ‘20 e oltre, riflettono molto bene questa filosofia di vita. Il suo nuovo personaggio, un ragazzone atletico, ingenuo ma non stupido, onesto e sincero, con un paio di grossi occhiali cerchiati e un volto attonito, che si trova ad affrontare situazioni conflittuali o estreme con saggezza elementare e grande buon senso, può essere veramente identificato come l'emblema dell'americano medio. Non ci sono conflitti seri nei suoi film, non ci sono elementi di critica sociale, se non come riflesso del suo vivere calmo e ordinato. C'è sempre, come sottofondo dell'azione, una visione ottimistica e solare dell'esistenza, e soprattutto quella forza interiore che lo spinge a vedere nell'altro un possibile amico, e nelle difficoltà un semplice ostacolo da superare. Basti pensare ai suoi film più belli: «Preferisco l'ascensore» (1923), «Accidenti... che tranquillità» (1923), «Tutte e nessuna» (1924), «Viva lo sport» (1925), tappe importanti di una carriera costellata di successi, sebbene non sempre all'altezza dei suoi concorrenti Chaplin e Keaton, che rimangono, a dire il vero, i soli grandi autori del cinema comico americano dell'epoca d'oro. Ma poiché Chaplin e Keaton sono molto noti e i loro film (soprattutto quelli di Chaplin) visti e rivisti, è finalmente giunta l'ora per vedere anche quelli di Harold Lloyd e fare qualche confronto. Ce ne offre l'occasione il Museo Nazionale del Cinema, che oggi, alla presenza della nipote Suzanne Lloyd, inaugura una retrospettiva dell'attore molto ricca e articolata. Ci sono alcuni corti e mediometraggi del 1919-21, scelti nello sterminato repertorio della sua filmografia, ma ci sono ovviamente tutti i suoi lungometraggi muti (eccetto «Dr. Jack» del 1922) e il sonoro «Follie del cinema» (1932). Un panorama certamente incompleto, ma sufficiente a far conoscere un attore che solo di recente è stato riscoperto, dopo un ventennio di sostanziale oblio.
Da La Stampa, 21 Marzo 2005