L'attrice racconta i suoi prossimi progetti come produttrice, la pausa dalla recitazione dopo vari personaggi impegnativi e l'importanza del senso dell'umorismo.
di Paola Casella
In Bugonia di Yorgos Lanthimos è Michelle Fuller, dirigente d’azienda senza scrupoli, maniaca del fitness e totalmente disinteressata ai suoi sottoposti. Michelle viene rapita da due fanatici di teorie complottiste che la identificano come una pericolosa aliena, e non si può dire altro di questo remake del coreano Save the Green Planet, senza fare spoiler. Emma Stone ne è entusiasta, così come è entusiasta della sua collaborazione plurima con Lanthimos, arrivata al quarto film dopo La favorita (guarda la video recensione), Povere creature! (che le è valso il suo secondo Oscar come miglior attrice dopo quello per La La Land (guarda la video recensione)) e Kinds of Kindness.
I tuoi personaggi nei film di Lanthimos sono sempre estremi. Che cosa ti attira verso questi ruoli?
La voglia di mettermi alla prova, di rischiare. Ho faticato per arrivare ad avere l’opportunità di scegliere di interpretare personaggi impegnativi come questi, e più sono eccentrici, più mi diverto. Anche se non so che cosa questo dica di me (ride).
Nasci come comedienne, e mantieni sempre un certo humour anche nei ruoli più drammatici.
Perché anche come spettatrice non riesco ad accettare che in una storia non ci sia un elemento comico, o di dark humour, come in Bugonia. La vita ha sempre un aspetto ridicolo, persino nei momenti più tragici c’è l’opportunità di scoppiare in una risata, magari senza averne l’intenzione: serve a diradare l’intensità della situazione, a relativizzarla. Il senso dell’umorismo è proprio nel mio DNA, come in quello di Yorgos: per questo tutti i suoi film, anche i più tetri, possono essere visti attraverso quella lente e si può apprezzarne l’aspetto satirico. Non credo che potrei interpretare un personaggio che non abbia un lato comico, e comunque non credo che me o offrirebbero (ride).
Bugonia però offre una visione molto cinica del mondo in cui viviamo. Secondo te di cosa ha bisogno il nostro mondo oggi?
Bugonia è un film sull’incapacità contemporanea di comunicare gli uni con gli altri perché ci arrocchiamo sulle nostre posizioni senza provare a immedesimarci in chi ci sta di fronte. Dunque direi che il mondo oggi ha bisogno di maggiore ascolto reciproco, e di maggiore empatia.
Sì, ma se chi abbiamo davanti ha idee radicalmente opposte alle nostre, che consideriamo inaccettabili?
È vero, se qualcuno mi propone un punto di vista violento o oppressivo è difficile che io gli dia retta o che provi empatia nei suoi confronti. Ma l’empatia dovrebbe essere comunque la base dei nostri comportamenti, e dovremmo ricordare che ognuno di noi viene da esperienze diverse, da un diverso background socioeconomico e culturale, in modo da almeno contestualizzare quel suo atteggiamento che non ci piace. Se riuscissimo ad accettare che non tutti la pensano come noi o credono nelle stesse cose forse riusciremmo a mostrare più cura e più disponibilità nei confronti degli altri.
Bugonia però sembra ritenere che questo non sia possibile.
Perché Bugonia fotografa quanto la nostra società sia attualmente spaccata in tanti pezzi, e ci ricorda che una volta che il coniglio della tolleranza è uscito dal cappello è difficile che possa rientrarci dentro. E che laddove esistono disparità così profonde fra le persone in termini di status economico e sociale è molto più difficile ritrovare un terreno comune.
Infatti i protagonisti di Bugonia soffrono di una profonda solitudine.
Viviamo in un mondo che tende ad isolarci. Michelle e Teddy e Don, i miei rapitori interpretati da Jesse Plemons e Aidan Delbis, la esprimono in modo diverso perché si trovano ai due poli opposti dello spettro socioeconomico, ma sono tutti svincolati da qualunque contatto con il mondo esterno e qualunque senso di comunità. Il che impedisce loro di confrontarsi con gli altri rispetto alle proprie idee sballate, toglie loro lo specchio nel quale potrebbero riflettersi e accorgersi dei propri limiti.
Una curiosità: che pensavi mentre ti rasavano la testa, in una delle scene clou del film?
Siccome il mio personaggio doveva essere svenuto in quella scena, la mia preoccupazione principale era quella di rimanere perfettamente immobile, perché se avessi mosso una qualsiasi parte del mio viso o del mio corpo la scena non si sarebbe potuta comunque ripetere! (ride).
Quest’anno sei apparsa anche in Eddington di Ari Aster. Che progetti hai per il prossimo futuro?
Come attrice mi sto prendendo una pausa, dopo queste due interpretazioni impegnative. Ma ho in pista due progetti come produttrice, un musical diretto da Jesse Eisenberg, che è un mio caro amico e un regista molto promettente, e la commedia di un autore che stimo molto, Michael Diliberti.
Se Lanthimos ti proponesse un quinto film insieme, accetteresti?
Al volo! Yorgos è il mio alter ego, e tutto quello che fa per me è imperdibile.