
Anno | 2024 |
Genere | Azione |
Produzione | Corea del Nord |
Durata | 94 minuti |
Regia di | Jong-pil Lee |
Attori | Shin Dong Hyeon, Lee Jehoon, Song Kang, Kyo-hwan Koo, Xa-Bin Hong . |
MYmonetro |
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Ultimo aggiornamento venerdì 14 marzo 2025
Un sergente decide di impedire a tutti i costi ad un soldato di fuggire.
CONSIGLIATO N.D.
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Escape racconta la storia di un soldato nordcoreano in fuga, determinato a oltrepassare il confine per raggiungere la Corea del Sud. Il suo tentativo lo porterà a scontrarsi con una realtà fatta di insidie e soprattutto di scelte morali difficili. Diretto da Lee Jong-pil, Escape è un film che esplora il desiderio di libertà in un contesto di oppressione, con elementi di tensione che arricchiscono la portata complessiva del racconto.
Non è un caso che Escape sia stato candidato ai 45th Blue Dragon Film Awards (l'equivalente sudcoreano dei David di Donatello) in sette categorie, tra cui miglior regia, miglior attore protagonista per Lee Je-hoon, miglior attore non protagonista per Koo Kyo-hwan, miglior montaggio e miglior fotografia.Dopo 19 giorni dall'uscita Escape ha inoltre incassato $13.0 milioni, guadagnando da 1,9 milioni di spettatori in Corea del Sud.
È piuttosto raro che un film sudcoreano decida di concentrarsi esclusivamente sulla realtà nordcoreana, ambientando il 99% della narrazione all'interno di questo stato dittatoriale. Eppure, Lee Jong-pil lo fa con Escape. Il cinema sudcoreano ha tradizionalmente preferito affrontare la "guerra fredda" tra le due Coree da una prospettiva prettamente sudcoreana, sia a livello narrativo che territoriale, evitando di addentrarsi realmente nella quotidianità al di là della muraglia di separazione, quel confine invalicabile che impedisce agli uomini nordcoreani di mettere piede in Corea del Sud, e viceversa. Indubbiamente, Lee Jong-pil non è stato il primo a raccontare la Corea del Nord. Prima di lui, Kim Ki-duk aveva già esplorato il tema con Il prigioniero coreano, un film che offriva uno sguardo critico sul regime nordcoreano attraverso la vicenda dello sfortunato Nam, sviluppando una drammaturgia agghiacciante e profondamente critica nei confronti di entrambi gli stati. Tuttavia, nemmeno Kim Ki-duk si era mai spinto così lontano.
Il film si inserisce nel filone dei thriller politici sudcoreani, un genere che negli ultimi anni ha trovato grande risonanza a livello internazionale e che ha visto anche alcuni interpreti di grandissimo valore. The Spy Gone North e Joint Security Area sono titoli che già hanno dimostrato come il tema della divisione tra le due Coree possa essere raccontato attraverso storie avvincenti e cariche di significato, talvolta rappresentando la politica soltanto attraverso uno sguardo laterale e non del tutto incentrato sulla dinamica di conflitto. Lee Je Hoon ha detto durante un'intervista con i media locali nel centro di Seoul che ha dovuto continuamente spingersi al limite fisico mentre interpretava il personaggio addirittura come se potesse letteralmente svenire e perdere i sensi. Koo, d'altra parte, ha rivelato che non ha sperimentato lo stesso livello di esaurimento fisico durante le riprese delle sue scene. Pur incarnando il ruolo di antagonista, possiede uno spessore interiore molto interessante, che emerge in una contrapposizione caratteriale con il personaggio principale. Se il personaggio di Lee è pieno di un forte desiderio di libertà, Koo è un personaggio più complesso e multidimensionale che ha emozioni molto più intricate. La sua figura si costruisce su una duplice natura: da un lato, la brutalità e la ferocia con cui esercita il controllo, incarnando l'oppressione del regime nordcoreano; dall'altro, una fragilità interiore segnata da paure profonde, rimpianti personali e dall'incapacità di vivere autenticamente. Il coraggio del protagonista rappresenta tutto ciò che all'antagonista manca, rendendolo doppiamente vittima: non solo è oppresso dal sistema, ma è anche privato della possibilità di essere davvero se stesso. Incapace di accettare la propria fragilità, sfoga la sua frustrazione nella violenza contro chi possiede il coraggio che a lui manca. Nel tentativo di negare agli altri ciò che non ha mai potuto avere, finisce per amplificare il dramma emotivo del film, rendendosi non solo carnefice, ma anche vittima della sua stessa esistenza. Questo conflitto va oltre il classico dualismo tra oppressore e oppresso. È lo scontro tra due visioni inconciliabili dell'esistenza: la sottomissione che si traduce in autodistruzione e la volontà di ribellarsi, anche a costo della propria vita. Il contrasto non solo arricchisce la dimensione psicologica dell'antagonista, ma eleva Escape al di là del semplice racconto di fuga, trasformandolo in una riflessione più ampia sulla libertà, sulla repressione e sull'umanità stessa.