
Anno | 2024 |
Genere | Documentario |
Produzione | Colombia |
Durata | 87 minuti |
Regia di | Monica Taboada Tapia |
Attori | Georgina Epiayu . |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 5 settembre 2024
Georgina, una donna transgender, decide di tornare a casa e incontrare i suoi fratelli. In Italia al Box Office Alma del Desierto ha incassato 289 .
CONSIGLIATO N.D.
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Georgina Epieyú Ipuana è Rosarito Urrariyú che prima era Jorge Epieyú. O meglio, Georgina è stata costretta a diventare Rosarito dopo aver abbandonato il suo essere Jorge. Il genere, l'etnia, la cittadinanza: questi i tre livelli della lotta di Georgina, la più vecchia donna transgender della Colombia, appartenente al popolo Wayuu e da quarantacinque anni in cerca di un documento che rispecchi la sua identità di genere e che le permetta, semplicemente, di votare. Sono in tanti ad opporsi al suo riconoscimento, dalla famiglia con i fratelli Jesus e Antonio a parte della comunità wayuu fino allo stato colombiano, ma Georgina continua a camminare, richiedere, amare.
Prodotto dalla Guerrero Films della stessa regista, il doc continua nella sua esplorazione personale di un'altra Colombia.
Sembra un viaggio senza mappa, quello di Georgina. Dal suo villaggio a quello dei fratelli, dall'ufficio per il rilascio della carta d'identità a quello per la tessera elettorale, da Uribia a Bogotà. Ne vede di cose, Georgina, fiumi avvelenati, proteste che bloccano la ferrovia, miniere a cielo aperto, militari in pattuglia. E incontra ancora più persone, Georgina, "mestizo" che non parlano il wayuu, funzionari che non capiscono perché ha le impronte digitali di uomo e invece è una donna, familiari che non vogliono riconoscerla e che a loro volta non vengono riconosciuti dal sistema. Sembra senza meta, Georgina, ma invece va dritta per la sua strada. Sono due le pietre miliari che danno il tempo e il peso del percorso di Georgina, e sono letteralmente i "miliarum" romani che segnavano la distanza tra due luoghi - in questo caso dell'anima: la tomba della madre Aira e la casa dove stava per venire bruciata viva. La prima affonda nella realtà, è fatta in pietra o simile e sta nel mezzo del deserto; la seconda arde solo nei ricordi, è edificata con l'odio e ha fatto fiorire un giardino.
Sì, perché Georgina, nata Jorge, dopo la morte dei genitori è stata osteggiata in ogni modo dai due fratelli che l'hanno bandita dalla famiglia, e una notte alcuni abitanti del villaggio dove si era rifugiata tentarono di ucciderla con le fiamme per evitare il dileggio della loro comunità. Alma del desierto, già dal titolo, riconosce in Georgina un modo possibile per guardare e sezionare quel pezzo di mondo. Il doc di Mónica Taboada-Tapia in realtà ha iniziato il suo percorso tempo fa, inizialmente con il corto Two-Spirit del 2021 (mostrato all'IDFA di Amsterdam), prima testimonianza della storia di Georgina, e ancora più indietro con la ricerca da parte della regista delle origini ancestrali della famiglia materna, radici che affondando in quei luoghi e quelle genti. La penisola de La Guajira, estrema punta settentrionale del continente sudamericano, è infatti un imbuto dove si sono mosse - e continuano a farlo - tante cose: divisa a metà tra Colombia e Venezuela, questa lingua di terra è allo stesso tempo arida patria tradizionale degli oltre 400.000 wayuu che la abitano e prospero spazio economico per l'estrazione mineraria come per la produzione di energia eolica. Il passato povero, marginale, del popolo wayuu, è ora diventato il presente ricco, predatorio, della grande industria del capitalismo globale. Così Georgina non è solo l'anima che dà vita a quel deserto, ma anche e soprattutto il fantasma che si aggira per i corsi d'acqua inquinati, i villaggi militarizzati e gli uffici disumanizzati. La lotta per il riconoscimento della propria identità si innesta e si consolida sul conflitto ambientale e la legittimazione del popolo wayuu, perché mancando solo uno di questi aspetti l'individuo e la sua comunità non sono completi - leggasi, liberi. Taboada-Tapia si lascia completamente andare in questo peregrinare senza mappa ma con una direzione, utilizza un registro naturalistico per poi squadernarlo, tiene a bada le derive da realismo magico con la monolitica imperscrutabilità della burocrazia, asciuga a più riprese il flusso del racconto con inserti retorici necessari - le sequenze con il fratello Antonio a cui non viene riconosciuta la proprietà delle terre, il racconto delle "sorelle" wayuu della notte dell'aggressione. Alma del desierto è così un viaggio che non può concludersi fino all'ultimo diritto, all'ultima lotta, con Georgina che si chiede prima del nero, "Ce ne sono altre come me?".
Georgina Epieyú Ipuana è Rosarito Urrariyú che prima era Jorge Epieyú. Il genere, l’etnia, la cittadinanza: questi i tre livelli della lotta di Georgina, la più vecchia donna transgender della Colombia, appartenente al popolo Wayuu e da quarantacinque anni in cerca di un documento che rispecchi la sua identità di genere e che le permetta, semplicemente, di votare. Sono in tanti ad opporsi al suo riconoscimento, dalla famiglia con i fratelli Jesus e Antonio a parte della comunità wayuu fino allo stato colombiano, ma Georgina continua a camminare, richiedere, amare.
Un peregrinare senza mappa ma con una direzione che utilizza un registro naturalistico per poi squadernarlo, tiene a bada le derive da realismo magico con la monolitica imperscrutabilità della burocrazia, asciuga a più riprese il flusso del racconto con inserti retorici necessari. Alma del desierto è così un viaggio che non può concludersi fino all’ultimo diritto, all’ultima lotta, con Georgina che si chiede prima del nero, “Ce ne sono altre come me?”.