crispino seidenari
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martedì 28 novembre 2023
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tragicità della vita e purezza dei sentimenti
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Arturo è una creatura contro cui il destino sembra essersi accanito con sfrenato sadismo. Nato dalla violenza di un uomo su una donna, privato fin dall’inizio della madre naturale per la stessa ragione, è affetto da una menomazione che lo rende un eterno bambino. Spesso durante la notte è assalito da violente convulsioni che ne minacciano l’integrità fisica e forse anche la vita. Nonostante l’avanzare degli anni e la crescita del corpo, Arturo conserva l’innocente candore dell’infanzia. Ama giocare con i bambini, correre, ruotare vorticosamente su sé stesso. Adora le pecore con le quali condivide la stessa straordinaria, tenerissima mitezza.
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Arturo è una creatura contro cui il destino sembra essersi accanito con sfrenato sadismo. Nato dalla violenza di un uomo su una donna, privato fin dall’inizio della madre naturale per la stessa ragione, è affetto da una menomazione che lo rende un eterno bambino. Spesso durante la notte è assalito da violente convulsioni che ne minacciano l’integrità fisica e forse anche la vita. Nonostante l’avanzare degli anni e la crescita del corpo, Arturo conserva l’innocente candore dell’infanzia. Ama giocare con i bambini, correre, ruotare vorticosamente su sé stesso. Adora le pecore con le quali condivide la stessa straordinaria, tenerissima mitezza.
Venuto solo al mondo, è allevato in un fatiscente tugurio da due prostitute, Betta e Nuccia, che più tardi diventeranno tre con l’arrivo di Anna. Le tre donne, sfruttate e vessate assieme a molte altre da Polifemo, un protettore abietto e raccapricciante, si prendono cura di Arturo, ciascuna amandolo a modo suo. La loro vita è estremamente dura, hanno accettato la profanazione reiterata della loro intimità in cambio di una misera ricompensa, un’esistenza precaria in una squallida catapecchia. Nei loro occhi non brilla nessuna luce di speranza e come Sisifo, costretto a spingere un pesante macigno su per l’erta di una collina, per vederlo poi precipitare di nuovo a valle e dover ricominciare daccapo l’inutile fatica, ripetono i loro gesti quotidiani con la consapevolezza che non vedranno mai premiata la loro fatica di vivere. Anche per lo spettatore emotivamente più distaccato, risulta difficile immaginare una qualsiasi possibilità di riscatto dallo squallore in cui scorrono le loro giornate.
Arturo teme Polifemo che a tratti, sembra attendere solo il momento opportuno per sbarazzarsi di lui in qualsiasi modo, ma le sue madri adottive lo difendono, rischiandone le conseguenze. L’amore di una donna per un figlio, sia pure adottivo, è un sentimento incoercibile, capace di fiorire e sopravvivere anche nelle condizioni radicali di degrado e abiezione in cui si svolge la vita dei protagonisti. In un mondo in cui spesso la prevaricazione del più forte sul più debole assume le sembianze del successo e del prestigio sociale, l’amore delle tre madri che difendono una vita fragile, indifesa e irredimibile, ci appare un’impresa eroica. Verrebbe da pensare che, come per il Sisifo di Camus, la loro vita sia un’eroica inutilità, ma il loro sacrificio riceverà una piccola ricompensa che, seppur modesta, può bastare a riempire il cuore di una donna: al termine della storia, quando Arturo si accinge ad abbandonare la famiglia in cui è cresciuto, chiamerà ciascuna delle tre donne “mamma”. Arturo comincerà una nuova vita, mentre Bettina, Nuccia e Anna, da quel momento, avranno una ragione in meno per essere nel mondo.
Alla fine della proiezione nasce spontaneo un senso di gratitudine verso la regista che con la sua sensibilità creativa, con la sua visione autentica e originale, critica e consapevole, coglie la bellezza dei sentimenti in una situazione in cui, più che mai, la vita ci appare priva di senso. Come la stessa autrice ha tenuto a precisare riguardo al titolo, il sentimento evocato dalla storia, la misericordia, è profondamente diverso dalla pietà. La pietà è una commiserazione che proviamo dinanzi ad una condizione molto sfortunata alla quale siamo totalmente estranei e che probabilmente non ci riguarderà mai. Guardando il film, invece, sentiamo che una parte di quel dolore ci appartiene perché tutti noi, in momenti diversi, in misura maggiore o minore, sperimentiamo la fatica di vivere. Emma Dante riesce a trasmetterci l’atmosfera di poesia e la dolcezza del mistero che aleggia intorno alla vita, anche la più miserabile, restituendo spessore e dignità alle sofferenze degli emarginati.
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clara stroppiana
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domenica 4 febbraio 2024
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misericordia per arturo
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Un film potente che sa di tragedia antica e di favola nera…da rendere quasi irritante il dibattito che segue la proiezione. Perché alle emozioni serve il silenzio. Perché non si ha voglia di una razionalità prevaricatrice che pretende di sapere e capire e strapparci dal mondo di Arturo, da quella sua isola, che isola non è, agitata da passioni contagiose che si placano nei vortici di una danza derviscia. Poi esplodono e il loro boato è terribile come quello del Monte Cofano che viene giù franando. Un mondo selvatico dove si muovono creature incontrate nei poemi omerici. Polifemo che semina terrore, le greggi, il pastore silenzioso con la maschera della pecora nera sul volto, Penelope che “tesse” ai ferri una coperta che sembra non finire mai.
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Un film potente che sa di tragedia antica e di favola nera…da rendere quasi irritante il dibattito che segue la proiezione. Perché alle emozioni serve il silenzio. Perché non si ha voglia di una razionalità prevaricatrice che pretende di sapere e capire e strapparci dal mondo di Arturo, da quella sua isola, che isola non è, agitata da passioni contagiose che si placano nei vortici di una danza derviscia. Poi esplodono e il loro boato è terribile come quello del Monte Cofano che viene giù franando. Un mondo selvatico dove si muovono creature incontrate nei poemi omerici. Polifemo che semina terrore, le greggi, il pastore silenzioso con la maschera della pecora nera sul volto, Penelope che “tesse” ai ferri una coperta che sembra non finire mai. Una Penelope multiforme che diventa giunonica creatura stesa nuda su un divano come la modella di un quadro di Botero. Altre istantanee, fotogrammi in rapida sequenza, danno un volto alle prostitute che abitano quell’angolo remoto di mondo, o forse angolo di un mondo remoto, estraneo a quello dello spettatore borghese, mondo ignoto e ignorato, tenuto lontano, di là dal mare. Seduta su uno sgabello, appoggiata allo stipite di una porta, intravista dietro una finestra. Sono donne che ci parlano con sguardi di una dolente fierezza per ricordarci che il vociare scomposto, le camminate su tacchi vertiginosi e minigonne fascianti e calze a rete sono parte di un travestimento, abiti da lavoro, vestiti sotto i quali non c’è il niente. Riprese vivaci seguono i bambini, bambine soprattutto in questo film di donne, che vanno alla fontana a prendere l’acqua, sguazzano con i piedi nel fango, giocano tra rifiuti, scherzano e intanto si occupano di Arturo: precoce maternage tra gli scarti del benessere. Un film che procede per contrasti tra violenza e amore, lutto e gioia, discarica sociale, degrado e bellezza primitiva e incontaminata dei luoghi. Un mondo che, all’apparenza disordinato, caotico, si regge su regole proprie. Ognuno ha il suo posto, come nel frigorifero comune dove ad ognuno spetta un ripiano che segna il confine del suo spazio, limite di un precario equilibrio. Così trascorrono i giorni e le notti che la fotografia di Clarissa Cappellani segue con un’ottima gestione della luce.
Elemento di coesione e raccordo, ma anche di attrito e gelosie, creatura centrale del racconto, è il più diverso di tutti tra i diversi: Arturo, il giovane autistico. Ruolo di forte impegno fisico e psicologico che Simone Zambelli affronta con un’interpretazione sorprendente e misurata, senza mai cadere nella trappola del sopra le righe. Il suo arrivo in quello spazio a parte, ci porta gli echi di storie bibliche o mitologiche contagiate dalla ferocia contemporanea. La morte violenta di una madre per mano di un uomo orco, un neonato abbandonato nudo tra le rocce, trovato e salvato da donne che lo allevano con pietà e cuore: la misericordia del titolo. Betta, Nuccia e la giovane Anna saranno le sua famiglia. Rispettivamente le brave Simona Malato, Tiziana Cuticchio e Milena Catalano. Diverse per carattere, temperamento, storia, ognuna a suo modo se ne prenderà cura e lo aiuterà a sopravvivere e a crescere.
La coperta finita e il primo piano di una valigia annunciano che il momento del distacco, doloroso ma necessario, è arrivato. Arturo andrà in un istituto. Mentre si allontana rimane, anche in noi pubblico, il dubbio che stia andando verso un mondo davvero migliore.
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