astromelia
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lunedì 19 giugno 2017
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verso la noia
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mah,è uno di quei film nei quali ti chiedi se succederà qualcosa oppure "dovrà succedere qualcosa" poi arriva la fine ed è come l'inizio,per il resto "beato chi si accontenta"........
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valterchiappa
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domenica 4 giugno 2017
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la poesia è nelle piccole cose?
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La poesia è nelle piccole cose? O forse la poesia è ovunque, nel ciclico ripetersi della vita.
Una settimana di Paterson (Adam Driver) e di Laura (l’iraniana Golshifteh Farahani). Lunedì, martedì, mercoledì… ogni giornata si ripropone simile, ma sempre leggermente diversa: la posizione dei due giovani sposi nel letto, il percorso a piedi verso il lavoro, gli incontri sull’autobus di cui è Paterson conducente, autobus che ruota anch’esso circolare nella cittadina che si chiama come lui, la passeggiata col cane, la birra al solito pub. In essa frammenti di dialoghi, magari solo ascoltati, o scambi occasionali con persone sempre uguali o sempre diverse: il caposervizio della stazione degli autobus, passeggeri che lasciano scie di pensieri nell’aria, una bambina, il solito barista, un turista giapponese.
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La poesia è nelle piccole cose? O forse la poesia è ovunque, nel ciclico ripetersi della vita.
Una settimana di Paterson (Adam Driver) e di Laura (l’iraniana Golshifteh Farahani). Lunedì, martedì, mercoledì… ogni giornata si ripropone simile, ma sempre leggermente diversa: la posizione dei due giovani sposi nel letto, il percorso a piedi verso il lavoro, gli incontri sull’autobus di cui è Paterson conducente, autobus che ruota anch’esso circolare nella cittadina che si chiama come lui, la passeggiata col cane, la birra al solito pub. In essa frammenti di dialoghi, magari solo ascoltati, o scambi occasionali con persone sempre uguali o sempre diverse: il caposervizio della stazione degli autobus, passeggeri che lasciano scie di pensieri nell’aria, una bambina, il solito barista, un turista giapponese. E poi Laura: i suoi pensieri leggeri che si traducono in anelli e volute che riproduce ovunque, dalla decorazione dei cupcakes alle tende di casa.
Tutto si traduce in parole, chiamate poesie, che ronzano incessantemente nella mente di Paterson e si riversano su un quaderno di pagine bianche: versi (scritti in realtà dal poeta Ron Padgett), su una scatola di fiammiferi, un bicchiere di birra, un bambino che stringe la mano della madre.
Ma la poesia di Paterson non è volo, né grandezza: i versi più belli sono quelli scritti da una bambina e il suo quaderno, complice il cane, farà una fine miserrima. Poesia è la vita stessa, il miracolo del quotidiano, uno e molteplice, banale e meraviglioso, racchiuso in uno scrigno piccolo, come piccola è la cittadina di Paterson, come piccola è la vita di Paterson.
Il tutto è coerente con la poetica di Jim Jarmusch, fatta di personaggi incapaci di autonomi percorsi, imprigionati da una vita sempre uguale a se stessa ed intimamente legati ai non luoghi in cui si muovono. Trovare per costoro un senso e una promessa di felicità: questo è quanto Jarmusch vuole teorizzare con “Paterson”.
È la sua ottica. Ma chi non è disposto a salire sulla mongolfiera che Jarmusch cerca di innalzare, vedrà solo la parabola di un povero cristo che vive in provincia con un lavoro alienante, un cane dispettoso, una moglie svitata ed un taccuino di poesie banali.
Ma anche per chi è affascinato dal mondo minimalista del regista americano, la visione di “Paterson” sembra voglia costringere a sposare un teorema. Lo spettatore è quindi invitato, o obbligato, a cercare, come le briciole di Pollicino, i diamanti nascosti lungo la via percorsa dal protagonista, a piedi o col suo autobus. Si è premiati dalla levità del tocco e dalla sincerità del sentimento; il prezzo da pagare è l’impegno richiesto per trovare lo spessore nell’apparente quotidianità delle situazioni e soprattutto la fatica nell’assistere per 113 minuti alle vicende ripetitive di una vita monotona, cercando di capire perché sia così piena di poesia.
Perché è vero che la poesia cambia la vita, sì: ma quella bella.
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liuk!
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venerdì 5 maggio 2017
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pessimo
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Vado totalmente controcorrente, forse non ho colto la poesia o non mi ha colpito. Paterson è una pellicola lenta fino all'esasperazione, dove non accade quasi nulla per due ore, con troppe scene ripetute.
Non ci ho trovato nulla di intellettuale o di minimamente interessante.
Per quanto mi riguarda la stroncatura è veramente pesante.
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francesco2
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domenica 26 marzo 2017
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i buddha dell'occidente
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' un fascino, quello di "Paddington", somerso e (s)fuggente. E tuttavia
innegabile anche a giudizio di chi scrive, pur non considerandolo il
capolavoro cui( ha) urla(to) certa critica.
Solo i digiuni del cinema di Jarmusch possono ignorare come la poetica
dell'assurdo abbia permeato il suo cinema, almeno - e dico almeno- fin
dai tempi di "Taxisti di notte"(1992). Allora, tuttavia, esisteva forse uno
sguardo di compassione verso i suoi protagonisti, misto ad una vena
leggermente surreale. La maturità artistica successiva ( anche "Dead
man" risale ormai al 1996) l'ha spinto a creare figure trasportate e trasporta-nti in una
dimensione apertamente onirica, oppure mistica ma non trascendentale ( penso a "Ghost
Dog" (2000), i cui eroi quotidiani sono "le persone inutili" di una vecchia canzone, dei
Buddha incrollabili dell'Occidente disposti - a volte- ad immolarsi in nome di un 'ideale.
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' un fascino, quello di "Paddington", somerso e (s)fuggente. E tuttavia
innegabile anche a giudizio di chi scrive, pur non considerandolo il
capolavoro cui( ha) urla(to) certa critica.
Solo i digiuni del cinema di Jarmusch possono ignorare come la poetica
dell'assurdo abbia permeato il suo cinema, almeno - e dico almeno- fin
dai tempi di "Taxisti di notte"(1992). Allora, tuttavia, esisteva forse uno
sguardo di compassione verso i suoi protagonisti, misto ad una vena
leggermente surreale. La maturità artistica successiva ( anche "Dead
man" risale ormai al 1996) l'ha spinto a creare figure trasportate e trasporta-nti in una
dimensione apertamente onirica, oppure mistica ma non trascendentale ( penso a "Ghost
Dog" (2000), i cui eroi quotidiani sono "le persone inutili" di una vecchia canzone, dei
Buddha incrollabili dell'Occidente disposti - a volte- ad immolarsi in nome di un 'ideale.
Paterson è,non a caso, un poeta, e oltre ad incarnare il nome della sua città, potrebbe forse
rappresentare un "alter ego" dello stesso Jarmusch: non ambisce a scrivere un'opera
monumentale, o quantomeno la sua è una dimensione di artista legata al "quotidiano",
alle piccole grandi storie che compongono il suo teatro dell'assurdo: quello che ha fatto
lo stesso regista, in film minori come i "Taxisti" citati o l'ancor più discutibile "Coffee
and cigarettes" (2003). Se ci si fa caso, tale assurdo non assume quasi mai una dimensione
eclatante, tranne che una o due volte nel finale. In questo modo, il film perderebbe il suo
valore di "quaderno del quotidiano". Il finale del film potrebbe assumere una doppia lettura,
la fragilità del lavoro o della vita in generale, che improvvisamente potrebbe venire stravolta
da un avvenimentoimprevisto, ma, al contempo, la consapevolezza che ricominciare è
sempre possibile,e che forse alle cose materiali o meno?- non bisogna neanche legarsi
troppo, o comunque farne l'unica ragione della nostra esistenza. Tutti concetti detti, anzi
susurrati, senza nessuna retorica. Ma non sarebbe nello stile di quest'artista........
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robert eroica
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mercoledì 8 marzo 2017
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paterson, new jersey, usa
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Il grande Giuseppe Turroni (un critico che si legge come si ammira un quadro) per parlare dei film amati, era solito associarli ad una voce poetica americana. Uno dei nomi ricorrenti era William Carlos Williams, autore del poema Paterson (e di altri scritti sublimi sul Nuovo Mondo presenti “Nelle vene dell’America) e nume tutelare di questo grande, grandissimo film di un autore, Jim Jarmusch che negli ultimi anni ci aveva rifilato più di una delusione. Come per dire, che nella migliore tradizione del cinema yankee tutto si tiene. Il concorso di Cannes 2016 ha vergognosamente snobbato “Paterson”, la storia di un giovane autista di bus che si chiama come la città in cui vive e lavora, che è sposato con una ragazza deliziosa e creativa.
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Il grande Giuseppe Turroni (un critico che si legge come si ammira un quadro) per parlare dei film amati, era solito associarli ad una voce poetica americana. Uno dei nomi ricorrenti era William Carlos Williams, autore del poema Paterson (e di altri scritti sublimi sul Nuovo Mondo presenti “Nelle vene dell’America) e nume tutelare di questo grande, grandissimo film di un autore, Jim Jarmusch che negli ultimi anni ci aveva rifilato più di una delusione. Come per dire, che nella migliore tradizione del cinema yankee tutto si tiene. Il concorso di Cannes 2016 ha vergognosamente snobbato “Paterson”, la storia di un giovane autista di bus che si chiama come la città in cui vive e lavora, che è sposato con una ragazza deliziosa e creativa. Girando per la città ascolta i dialoghi dei passeggeri e durante le pause compone poesie, la sua grande passione, davanti alla celebre cascata. Le sue giornate sono sostanzialmente simili l’una all’altra, tra una passeggiata col cane Marvin, una bevuta al pub e una dissertazione con l’avventore più prossimo. Si citano Hurricane, Lou Costello, Allen Ginsberg, persino l’anarchico Gaetano Bresci che uccise Umberto I, come per dire che Paterson è una città mondo, percorsa dal tema del doppio, in cui tutte le influenze sono necessarie e nessuna è determinante nell’esistenza di ognuno. E mentre il tempo passa (la quarta dimensione di un componimento del protagonista) le timide ambizioni restano un gioco per vivere meglio la vita. Si pensa spesso anche a Montale guardando “Paterson” (“Il varco è qui ?) come a intravvedere, dietro l’apparenza del quotidiano, la magia che rende ogni momento unico e universale, catapultandoci in un altrove di cui costantemente cerchiamo di ascoltare gli echi. Un film anarchico per come snobba le mode e un film gentile e bellissimo, dove per una volta l’aggettivo ha una sua pregnanza non superflua. Adam Driver è straordinario e magnifica è la fotografia di Elmes, che sembra quella di Lazlo Kovacs in “Cinque pezzi facili” di Bob Rafelson, ma questa è un’altra storia ancora.
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andrea alesci
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martedì 21 febbraio 2017
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la quiete delle cose minute
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Due è il numero che fa funzionare Paterson (uomo). Due il numero dentro Paterson (la cittadina). Due la cifra del film Paterson, dove ci sono un io, un noi e un noi due. Come in greco: il duale. La terza via che Jim Jarmusch inscrive anche nel numero dell’autobus guidato da Paterson (Adam Driver): 23. La linea ventitré, quella del protagonista del film, quella con cui scarrozza i passeggeri per la città e noi spettatori fugacemente dentro le storie di quei passeggeri.
Segni. Segni che appaiono anche all’inizio del film, quando la scritta su un tunnel di mattoni rossi recita: Paterson. Una cittadina che già nella sua nomenclatura tiene a battesimo il figlio Paterson.
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Due è il numero che fa funzionare Paterson (uomo). Due il numero dentro Paterson (la cittadina). Due la cifra del film Paterson, dove ci sono un io, un noi e un noi due. Come in greco: il duale. La terza via che Jim Jarmusch inscrive anche nel numero dell’autobus guidato da Paterson (Adam Driver): 23. La linea ventitré, quella del protagonista del film, quella con cui scarrozza i passeggeri per la città e noi spettatori fugacemente dentro le storie di quei passeggeri.
Segni. Segni che appaiono anche all’inizio del film, quando la scritta su un tunnel di mattoni rossi recita: Paterson. Una cittadina che già nella sua nomenclatura tiene a battesimo il figlio Paterson. Il nome che sta più di tutte le altre parole sulla bocca dei personaggi. Siamo dentro la storia di un autista di autobus nella cittadina che gli ha dato i natali e dove vive con la moglie Laura (Golshifteh Farahani).
Segni in sovrimpressione come fossero scritti al momento: sono versi che parlano di una scatola di fiammiferi, gli Ohio Blue Tip. Li scrive Paterson (dai titoli di coda sappiamo che sono del poeta Ron Padgett) per fermare ciò che gli accade intorno. Li scrive per la moglie Laura e il suo animo da artista in bianconero, che con questi due non-colori decora qualsiasi cosa dentro la loro casa.
La casa come uno dei punti di certezza insieme all’autobus di Paterson e al pub dove la sera Paterson si ferma nel portare a passeggio il loro bulldog. Dentro al pub gestito da Doc (Barry Shabaka-Henley), che ha ricostruito la storia di Paterson attraverso il muro delle celebrità che lì vi sono nate o transitate. La certezza delle cose piccole, la storia della città di Paterson.
Paterson (il personaggio) è sempre quieto, non usa parole di spregio né si altera davanti alle sgradevoli torte salate della moglie, o quando lei decide di comprare una chitarra, né di fronte ai bislacchi ritratti del loro cane Marvin. Non si scompone nemmeno quando scopre che Marvin (la sua ringhiante nemesi) ha fatto a brandelli il taccuino sul quale aveva appuntato tutte le sue poesie.
La routine si ripete incessante, ma senza pesantezza. E lo scopriamo subito, capendo che staremo a osservare i giorni di una settimana di questa coppia, ogni mattina introdotti da una camera a piombo sulla loro tenerezza al risveglio. Gli ambienti sono pochi e non viviamo la città: siamo dentro la casa di Paterson, con lui lungo il tragitto che passa davanti alla vecchia fabbrica, seduti di fronte alla cascata, sull’autobus, nel pub.
Paterson raddoppia nel nome del suo protagonista e della città da cui ha preso il nome. Un doppio che si riflette nei gemelli incontrati lungo i suoi tragitti ordinari, segno di quel sogno di avere due gemelli che la moglie Laura gli racconta in principio. Jim Jarmusch non insinua nulla: mostra. Non vuole costringerci entro un messaggio, non c’è una morale da portarci a casa. E a Paterson la coincidenza del suo nome con quello del la città dà un senso di aderenza alle cose, un senso di appartenenza.
È tutto qui. Tutto sta quieto dentro una vita duale, una vita che dice noi due (Paterson e Laura), felici di amarsi tra poesie, arte, passeggiate, silenzi, routine. Anche quando mancano le parole, anche quando la pagina è bianca e si deve ricominciare. Perché la pagina bianca offre più possibilità. E forse il senso di Paterson sta un po’ nelle parole che una volta pronunciò lo stilista Karl Lagerfeld: “Non ho archivi. A me interessa il fare, non l’avere fatto”. Ecco, la compiutezza del presente.
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kurtz
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lunedì 20 febbraio 2017
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non c'è popolo più...
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Mi verrebbe da liquidarlo con una sola definizione "americano". Americane le poesiole (quella dei fiammiferi fa pensare a uno scherzo). Americana la provincia. Americana la banalità della coppia. Americano il teatrino delle aspirazioni piccolo borghesi. Americana l'assenza totale di ogni riferimento classista. Americano il nome del cane che alla fine dimostra di essere l'unico a "masticarne" di poesia facendo a pezzi l'insulso quadernetto adolescenziale dell'autista. E come diceva Gaber "non c'è popolo più stupido degli americani"
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(di francesco2)
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harlanjames
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mercoledì 15 febbraio 2017
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non riesco a darti torto...
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...e apprezzo il fatto che, con una certa ironia, riesci in effetti a "stroncare" film altrove votati benissimo. Non sono un pensionato, ma nemmeno giovanissimo, quindi faccio fatica anch'io a trattenermi: se un film acclamato non mi entusiasma, soprattutto se penso a un certo cinemo dello scorso secolo (!), non dico che è una schifezza ma di certo non mi trattengo dal criticarlo.
Attendo con impazienza (e lo dico sinceramente) di vedere 'Un cittadino illustre'... da te giudicato bene di recente (se non erro).
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maria f.
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martedì 14 febbraio 2017
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evviva i buoni film!
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Una storia delicata, garbata, che ci riferisce come un’esistenza può essere goduta appieno senza inutili scossoni, come può essere assaporata fino in fondo se si ha il raro dono di ascoltare, osservare, avere la capacità di afferrare l’attimo e bloccare nella mente qualsiasi cosa ti circondi, senza fretta.
La vita intellettuale di Paterson, non nasce – come molti hanno detto - dalla monotonia del suo lavoro ma In lui vive e fluisce il talento di sapere tradurre ogni sensazione in parole semplici, concetti chiari.
La sua creatività non è mai banale.
La mitezza del suo essere e la sua ricchezza spirituale fanno sì che possa entrare in comunione con tutti.
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Una storia delicata, garbata, che ci riferisce come un’esistenza può essere goduta appieno senza inutili scossoni, come può essere assaporata fino in fondo se si ha il raro dono di ascoltare, osservare, avere la capacità di afferrare l’attimo e bloccare nella mente qualsiasi cosa ti circondi, senza fretta.
La vita intellettuale di Paterson, non nasce – come molti hanno detto - dalla monotonia del suo lavoro ma In lui vive e fluisce il talento di sapere tradurre ogni sensazione in parole semplici, concetti chiari.
La sua creatività non è mai banale.
La mitezza del suo essere e la sua ricchezza spirituale fanno sì che possa entrare in comunione con tutti.
Altro suo pregio, è la grande forza d’animo che Paterson dimostra quando dopo aver perso il suo taccuino, che conteneva tutte le sue poesie oltre gli appunti e spunti per le sue creazioni, riesce a ritrovare nuova ispirazione per ricominciare a comporre.
Questo coraggio ridà nuova vita alla sua passione e un nuovo impulso al suo vigore artistico, così com’era accaduto anni prima al ritorno dalla guerra, quando dovette ricominciare la sua vita di cittadino, dopo quella terrificante esperienza da soldato.
La passione per noi tutti potrebbe essere la salvezza se solo ci fermassimo a riflettere, tutti noi abbiamo dei talenti che potremmo sfruttare ed evitare così depressioni o crisi esistenziali.
La musica, la letteratura, la poesia, la semplice osservazione di un quadro o di un suo particolare o qualsiasi altro interesse potrebbero indurci a scoprire una vita interiore e se poi ci abbandonassimo ad accogliere con stupore ogni cosa l’incanto riuscirebbe a infrangere gli argini e la bellezza potrebbe defluire liquida e salvifica su di noi, inondandoci.
Tutto ciò contribuirebbe a cambiare la nostra esistenza, come anche Dostoevskij insegna nel monologo “Il sogno di un uomo ridicolo”.
Film sostanzioso e vitale anche per il suo minimalismo.
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raffiraffi
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giovedì 2 febbraio 2017
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un incantevole spiraglio sull'umano
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L'immoralità del cane Marvin, la creatività bulimica di Laura, gli amici pacifici e abitudinari del bar, la guida gentile dell'autobus, l'ascolto sincero di una poetessa bambina, l'incontro magico con lo sconosciuto giapponese innamorato di poesia: la vita di Paterson a Paterson è quella di una creatura innamorata del tempo umano. Il suo sguardo sul mondo parla, incessantemente in versi, di umanità. La bellezza di sentirsi nel mondo senza pretese, pregiudizi, timori, soltanto il brusio del senso più profondo di respirare, amare, comprendere, cercare. Un poeta che ci ricorda che potremmo vivere anche privi di tecnologia, godere della nostra e dell'altrui esistenza, farci attraversare dalla vita e continuare a desiderare una comunità umana possibile.
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L'immoralità del cane Marvin, la creatività bulimica di Laura, gli amici pacifici e abitudinari del bar, la guida gentile dell'autobus, l'ascolto sincero di una poetessa bambina, l'incontro magico con lo sconosciuto giapponese innamorato di poesia: la vita di Paterson a Paterson è quella di una creatura innamorata del tempo umano. Il suo sguardo sul mondo parla, incessantemente in versi, di umanità. La bellezza di sentirsi nel mondo senza pretese, pregiudizi, timori, soltanto il brusio del senso più profondo di respirare, amare, comprendere, cercare. Un poeta che ci ricorda che potremmo vivere anche privi di tecnologia, godere della nostra e dell'altrui esistenza, farci attraversare dalla vita e continuare a desiderare una comunità umana possibile. La poesia antidoto contro cinismo, aggressività, odio.
Paterson ascolta dentro sè l'incanto dell'universo e con semplicità restituisce tanta bellezza agli altri, a noi, senza chiasso. Jarmush menestrello che riesce a tessere leggerezza, ironia, profondità.
Un incantevole spiraglio su quanto le nostre vite potrebbero essere umane.
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