francescaromanacerri
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domenica 7 maggio 2017
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siamo uomini o numeri?
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Il film è un attacco al cuore del Sistema Capitalistico magistrale, disegna con lucidità , realismo, con sentimento che mai sconfine nel sentimentalismo la ricerca di un diritto primario che a causa di un sistema cieco, sordo e aziendalista è rimandato , complicato fino ai paradossi burocratici per cui l'uomo anziamo che ha diritto ad una sistema di indennità per malattia deve dimostrare di cercare lavoro. Intanto si sviluppa un amicizia tra l'anziano e una giovane donna che finirà a prostituirsi per la povertà e che non riesce come lui a mantenere la testa dritta; un primo cedimento ella lo ha quando ruba gli assorbenti al supermercato. Anche lei figura umanissima.
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Il film è un attacco al cuore del Sistema Capitalistico magistrale, disegna con lucidità , realismo, con sentimento che mai sconfine nel sentimentalismo la ricerca di un diritto primario che a causa di un sistema cieco, sordo e aziendalista è rimandato , complicato fino ai paradossi burocratici per cui l'uomo anziamo che ha diritto ad una sistema di indennità per malattia deve dimostrare di cercare lavoro. Intanto si sviluppa un amicizia tra l'anziano e una giovane donna che finirà a prostituirsi per la povertà e che non riesce come lui a mantenere la testa dritta; un primo cedimento ella lo ha quando ruba gli assorbenti al supermercato. Anche lei figura umanissima.
La Potenza del film c'è tutta diretta dal grande regista marxista che intreccia perfettamente tre piani: quello psicologico, quello sociale e quello filosofico. Laddove la filosofia potente del film è quella che alla fin dellla fiera siamo Uomini e come tali andremmo trattati e invece in questo sistema siamo dei Numeri in un data base, perchè il sistema Capitalistico non è compatibile con la dignità umana di nessuno , neanche di chi galleggia in quel sistema.
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fabiofeli
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giovedì 27 ottobre 2016
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"sono un cittadino, niente di più, niente di meno"
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Daniel Blake (Dave Johns) è un carpentiere sessantenne di sessanta anni che vive a Newcaste; ha appena subito un infarto cardiaco ed il medico gli proibisce il rientro al lavoro; è in attesa del riconoscimento della invalidità, ma si trova nella situazione kafkiana di dover chiedere un impiego tramite una specie di “agenzia per il lavoro” pena la perdita dei sussidi. Ogni azione “sbagliata”, ogni dichiarazione errata nei questionari da compilare on-line fruttano a Daniel la riduzione o addirittura la sospensione degli aiuti economici.
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Daniel Blake (Dave Johns) è un carpentiere sessantenne di sessanta anni che vive a Newcaste; ha appena subito un infarto cardiaco ed il medico gli proibisce il rientro al lavoro; è in attesa del riconoscimento della invalidità, ma si trova nella situazione kafkiana di dover chiedere un impiego tramite una specie di “agenzia per il lavoro” pena la perdita dei sussidi. Ogni azione “sbagliata”, ogni dichiarazione errata nei questionari da compilare on-line fruttano a Daniel la riduzione o addirittura la sospensione degli aiuti economici. Eppure nella falegnameria è ancora un asso, ma è completamente incapace di manovrare un “mouse”, il topo che fa correre la freccetta sullo schermo del computer. Nella “agenzia per il lavoro” fraternizza con una giovane londinese con due figli piccoli (Hayley Squires), sanzionata a sua volta per un ritardo – un autobus perso – all’appuntamento con gli impiegati. Daniel esegue piccole riparazioni nell’appartamento assegnato alla giovane privo di riscaldamento; si ingegna inventando un rudimentale scaldino con vasi di coccio e ceri e regalando ai bambini un poetico pendaglio con pesci di legno per sognare di stare sotto il mare. Ma non sembra esserci una giusta via di uscita per i diseredati nella Inghilterra di oggi …
Doveva essere indignato e furioso Ken Loach per tornare dietro la cinepresa che aveva appeso al chiodo. Ed è un bene, perché il regista regala ancora una storia asciutta, premiata a Cannes 2016, solo una delle tante che raccontano una incolpevole povertà nel deserto del benessere neoliberista. Tutto il mondo è paese e peggiora allo stesso modo con la crescente distruzione dei diritti e i tagli sempre più all’osso del welfare. L’umiliante scena della banca del cibo, una iniziativa caritatevole che può diventare uno schiaffo in faccia, è un capolavoro che commuove senza ricerca di effetti. Daniel si descrive così: “Non sono un ladro, non sono un accattone, non sono un evasore fiscale; sono un cittadino, niente di più, niente di meno”. Una storia tosta nella quale piovono pietre, recitata con il giusto rigore da attori non professionisti, diretti con mano felice da Loach, che speriamo continui a raccontarci storie come questa. Se i prossimi film saranno all’altezza non dovremo mancarli.
Valutazione ****
FabioFeli
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kleber
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domenica 13 novembre 2016
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e in italia? tutto bene?
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Questo film, visto in Italia, ci fa seriamente interrogare sul "fino a quando" può reggere il sistema sociale italiano, esposto ad ogni abuso, per di più esteso agli immigranti irregolari, con tutele e garanzie impensabili in Gran Bretagna, Paese dal quale importiamo modelli sociali, economici e culturali, senza parlare del vecchio impero USA e del nuovo impero Cina. Questo film è più incisivo di tanti "Report" o "Piazzapulite" nostrani. E quando crollerà lo Stato sociale italiano, non avremo nemmeno quella cornice di rigore protestante, ipocrita ma con una sua cruda coerenza. Da un punto di vista del cinema "sociale", impossibile non confrontare "Daniel Blake" con l'irreale e Placido "7minuti", ove il "sociale" è poco più che una scenografia per una pièce squisitamente teatrale.
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marcobrenni
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martedì 9 luglio 2019
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questo non è un mondo per i perdenti
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Ken Loach è un maestro del cinema sociale che ricorda il grande cinema neorealista italiano dell'immediato dopoguerra. Anche in questo grandissimo film (!) egli non si smentisce, né per stile, sensibilità umana e sociale, nonché per l'assoluta attualità del tema. È un "J'accuse" non gridato e per questo ancora più pregnante contro questa società postmoderna iperliberista, informatizzata sino all'insensibilità totale, ma pure contro la burocrazia statale sovente cieca, persino tanto idiota da annientare la diginità umana solo con la cinica, anonima noncuranza formalistico-burocratica: mutatis mutandi, ricorda addirittura la "Banalità del Male" della Arendt.
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Ken Loach è un maestro del cinema sociale che ricorda il grande cinema neorealista italiano dell'immediato dopoguerra. Anche in questo grandissimo film (!) egli non si smentisce, né per stile, sensibilità umana e sociale, nonché per l'assoluta attualità del tema. È un "J'accuse" non gridato e per questo ancora più pregnante contro questa società postmoderna iperliberista, informatizzata sino all'insensibilità totale, ma pure contro la burocrazia statale sovente cieca, persino tanto idiota da annientare la diginità umana solo con la cinica, anonima noncuranza formalistico-burocratica: mutatis mutandi, ricorda addirittura la "Banalità del Male" della Arendt. Non sto a riassumere la storia ormai nota: Qui interessa solo la disumanizzazione progressiva della società, acuita da politici rampanti di ultradestra come Margareth Thatcher che, dopo la caduta del muro di Berlino e realtive ideologie socialiste, complice pure Reagan negli USA, profittò subito della nuova era storica. In effetti, per togliere finalmente ogni potere ai fastidiosi sindacati operai, finì per deindustrilaizzare e privatizzare l'intera Inghilterra. A trarrne grande profitto fu solo il mondo della finanza e delle multinazionali, attratte dalla conveniente sede fiscale di Londra e relativa piazza finaziaria mondiale: una metropoli ormai solo del terziario, da tempo ormai ex centro industriale, oggi diventata l'unico centro di ricchezza del paese grazie alla finanza scatenata e alla speculazione immobiliare. Attorno al splendente "sole" londinese, ormai ruota il resto satellitare britannico, sempre più povero e periferico man mano che cresce la relativa distanza. È proprio questo il mondo del povero operaio Daniel Blake, colpevole solo di aver avuto un infarto che lo ha espulso dal mondo del lavoro: evento tragico che l'ha ridotto in miseria per mancanza delinquenziale di assistenza pubblica! Ovvio che non si tratta solo dell'Inghilterra di Ken Loach, ma pure di molti altri paesi d'Europa soprattutto mediterranea, fra cui Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e altri ancora. In fondo al buco, restano solo le mense dei poveri come unica fonte di sostentamento: anche se suppliscono alla fame, ammazzano tuttavia la dignità di coloro che per una vita intera hanno lavorato onestamente pagando pure tutti i contributi richiesti, ma ricevendo nulla in cambio. Una vergogna sociale (!) ma c'è di più: col crescente divario ricchi/poveri che oggi si allarga a dismisura, unito alla precarietà del mondo del lavoro sempre più robotizzato, il futuro prossimo colpiràpure il ceto medio.
Da troppo tempo Ken Loach denuncia tutto ciò, ma il mondo politico rcontinua a restare indifferente: fino a quando?
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flyanto
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lunedì 24 ottobre 2016
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l'odissea di un uomo per far valere i suoi diritti
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Esce proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche "Io, Daniel Blake", l'ultima opera cinematografica di Ken Loach, il regista sociale britannico per eccellenza. Discusso film vincitore della Palma d'Oro all'ultimo Festival del Cinema di Cannes, esso presenta un ennesimo caso di emarginazione sociale riguardante un individuo comune. Daniel Blake è infatti un operaio di circa sessant'anni, vedovo, che, in seguito ad un infarto ora è costretto ad astenersi per un certo periodo dal lavoro in quanto ancora soggetto a rischio.
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Esce proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche "Io, Daniel Blake", l'ultima opera cinematografica di Ken Loach, il regista sociale britannico per eccellenza. Discusso film vincitore della Palma d'Oro all'ultimo Festival del Cinema di Cannes, esso presenta un ennesimo caso di emarginazione sociale riguardante un individuo comune. Daniel Blake è infatti un operaio di circa sessant'anni, vedovo, che, in seguito ad un infarto ora è costretto ad astenersi per un certo periodo dal lavoro in quanto ancora soggetto a rischio. Così egli vive sostenuto da un sussidio di disoccupazione a cui dovrebbe essere aggiunto anche quello di indennità sanitaria ma, per le leggi britanniche ed una serie di cavilli legali, sembrerebbe quest'ultimo, nonostante i referti medici in suo supporto, non spettargli e pertanto il protagonista si trova costretto a fare ricorso. Nell'interminabile tempistica burocratica che sposta Daniel Blake da un ufficio all'altro e da una pratica all'altra, egli conosce una giovane donna single, madre di due bambini, appena trasferitasi nella città di Newcastle in quanto sfrattata dalla propria casa di Londra. Con lei condivide così alcune delle proprie giornate stabilendo un affettuoso rapporto, come tra un genitore ed una figlia, ed aiutandola in alcuni lavoretti domestici e di riparazioni varie, nonchè l'accudimento dei bambini, poichè la donna è in cerca di un'occupazione stabile e vive in condizioni economiche assai precarie. Finalmente, dopo lungo tempo, arriva la tanto agognata convocazione per il ricorso (nel frattempo al protagonista è stato tolto anche l'assegno di disoccupazione per altri cavilli legali), ma il destino gli sarà purtroppo fatale....
Una storia cruda e quanto mai realistica che ha come esemplare l'operaio sessantenne di Newcastle Daniel Blake ma che si può benissimo e, purtroppo, estendere a numerose altre persone che si trovano in tali condizioni. Quello che presenta e soprattutto denuncia Ken Loach, come, del resto, in molte sue opere precedenti, è il sistema sociale e legislativo del proprio paese che non tutela affatto i suoi cittadini ed, in particolar modo, quelli del ceto basso, composto di onesti e volenterosi lavoratori. Questi, quando per una serie di avvenimenti sfortunati e non così rari nell'esistenza umana, si trovano costretti a lasciare il proprio lavoro, hanno difficoltà a reinserirvisi, rischiando il più delle volte, nonostante la propria buona volontà, a cadere in uno stato di indigenza quanto mai degradante per la propria persona e dignità umana, nonchè poco giusto moralmente parlando. Ken Loach espone tale problematica secondo il suo consueto stile e, cioè, in una maniera eccellente, rigorosa, asciutta, ben inquadrata tempisticamente parlando ed ovviamente assai cruda. La sua sensibilità psicologica arriva a scavare nel profondo e raggiunge il cuore del problema ed il tono e l'atmosfera in generale sono sempre aderenti alla dura realtà priva di speranza e di un qualche riscatto o riconoscimento.
Perfettamente interpretato da attori britannici a noi poco conosciuti, il personaggio Daniel Blake risulta uno tra i migliori e più completi descritti sinora da Loach e pertanto si potrebbe anche azzardare che con quest'ultima toccante pellicola il regista potrebbe anche sospendere la propria attività, in quanto essa si conferma senza alcun ombra di dubbio come una vera opera d'arte. Meritatissima, pertanto, la consegna della Palma d'oro.
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[+] ma la trama
(di kimkiduk)
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riccardo tavani
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sabato 26 novembre 2016
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la bomboletta di daniel contri il muro dello stato
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Serena l’arte e tremenda la vita: in questo contrasto si può riassumere la forza di I, Daniel Blake, il film che strappa la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2016.
La serenità è nella forma che l’autore conferisce alla sua opera. Alle inquadrature, alla sequenza delle scene, al montaggio, ai dialoghi. Tutto scorre sullo schermo di luce pulita, con toni drammatici, cromatici e acustici discreti, ma proprio questo fa salire meglio – poco alla volta e da dentro l’immagine stessa – la tremenda crudeltà amministrativa dell’assistenza sociale capitalistica, qui nella sua versione più formale, ossia più squisitamente british. Una scelta stilistica, quella di Loach, che gli consente una tale internità alla realtà da sfumare davvero i confini tra questa e il cinema, come mera riproduzione fotografica esterna.
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Serena l’arte e tremenda la vita: in questo contrasto si può riassumere la forza di I, Daniel Blake, il film che strappa la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2016.
La serenità è nella forma che l’autore conferisce alla sua opera. Alle inquadrature, alla sequenza delle scene, al montaggio, ai dialoghi. Tutto scorre sullo schermo di luce pulita, con toni drammatici, cromatici e acustici discreti, ma proprio questo fa salire meglio – poco alla volta e da dentro l’immagine stessa – la tremenda crudeltà amministrativa dell’assistenza sociale capitalistica, qui nella sua versione più formale, ossia più squisitamente british. Una scelta stilistica, quella di Loach, che gli consente una tale internità alla realtà da sfumare davvero i confini tra questa e il cinema, come mera riproduzione fotografica esterna.
Sereni, luminosi, puliti, garbati, sono anche i personaggi messi in scena da Loach. Daniel Blake, un anziano, provetto carpentiere di Newcastle, che ha subito un infarto proprio sul cantiere e ora non può riprendere il lavoro. Daisy, una giovane donna ridotta sotto la soglia di povertà, appena arrivata da Londra con due figli, per un appartamento che le è stato assegnato dall’assistenza sociale. L’avversario tremendo di questi semplici e onesti cittadini inglesi è proprio chi dovrebbe sostenerli nel momento di maggiore bisogno: il servizio di assistenza sociale, lo Stato.
Ricordiamo che lo Stato moderno nasce teoricamente proprio per difendere i cittadini da ciò che minaccia la loro vita. La mancanza di reddito mette radicalmente in forse la possibilità di sopravvivenza delle persone. Dalla perdita del lavoro, alle crisi bancarie e finanziarie, molti sono i fattori che oggi privano di reddito le persone e minacciano direttamente la loro vita. Il Welfare State, lo stato sociale, come forma di sostegno che un Paese deve offrire ai suoi cittadini nasce proprio in Inghilterra, in Europa, a seguito dei conflitti sociali e politici dello scorso secolo. Oggi anche questa forma sociale è messa in discussione, giorno per giorno sgretolata, smantellata, e così lo Stato dalla protezione che dovrebbe garantire, diventa la minaccia più grave nei confronti dei singoli e della collettività. Minaccia più grave perché contro di essa, contro la forza immane del Leviatano di Stato non c’è difesa.
Nell’ordine della cifra stilistica che connota tutto il film, Loach ci fa sentire sulla pelle come questo Moloch non si presenti nelle vesti della brutalità, della prepotenza e del sopruso più appariscente. No, esso si esemplifica nei modi del mondo amministrato, di un muro inaccessibile, sordo, cieco, impassibile. Di un sottile stillicidio di crudeltà – che assumono oggi anche la forma elettronica computerizzata – calibrate per far soccombere lentamente ma inesorabilmente l’individuo. Lo Stato viene così sollevato anche dall’incombenza dell’eliminazione materiale della persona, provvedendo essa stessa ad auto-eliminarsi in modi diversi, dagli espedienti variamente illeciti per sopravvivere alla prostituzione, al proprio improvviso crollo finale.
Serena è l’arte di Ken Loach ma non il senso di giustizia la cui mancanza ci fa sentire come un dolore lancinante, insopportabile, ché basta appena bisbigliarlo, scriverlo con una bomboletta su un muro per ricordarci che le persone hanno un nome e un cognome e l’anonima spietatezza dello Stato non può schiacciarle.
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francesco izzo
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domenica 27 novembre 2016
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un film semplicemente stupendo
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E' un film stupendo. Dopo aver annunciato che Jimmy's Hall sarebbe stato il suo ultimo film, Ken Loach torna invece alla grande sul grande schermo per raccontarci la storia di ordinaria follia di un povero falegname cardiopatico letteralmente schiacciato dalla cieca burocrazia di una cittadina dell'Inghilterra contemporanea.
Bellissima e commovente la storia, toccante la magistrale interpretazione dei protagonisti. Sono al solito curati i minimi particolari, e ci sono scene (la povera donna fuggita da Londra che apre la scatola di fagioli alla Banca del Cibo, l'umanità persino del direttore del Supermarket in cui ha rubato, il rapporto che si crea tra il falegname, la donna e i suoi piccoli figli, le parole scritte nell'ultima lettera del falegname e tante altre) che davvero toccano il cuore e fanno capire allo spettatore di non essere solo ad indignarsi per certe vergogne della società attuale.
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E' un film stupendo. Dopo aver annunciato che Jimmy's Hall sarebbe stato il suo ultimo film, Ken Loach torna invece alla grande sul grande schermo per raccontarci la storia di ordinaria follia di un povero falegname cardiopatico letteralmente schiacciato dalla cieca burocrazia di una cittadina dell'Inghilterra contemporanea.
Bellissima e commovente la storia, toccante la magistrale interpretazione dei protagonisti. Sono al solito curati i minimi particolari, e ci sono scene (la povera donna fuggita da Londra che apre la scatola di fagioli alla Banca del Cibo, l'umanità persino del direttore del Supermarket in cui ha rubato, il rapporto che si crea tra il falegname, la donna e i suoi piccoli figli, le parole scritte nell'ultima lettera del falegname e tante altre) che davvero toccano il cuore e fanno capire allo spettatore di non essere solo ad indignarsi per certe vergogne della società attuale.
Il regista inserisce ( a ragione) anche computers e smartphones nella fretta e nell'imbarbarimento dei rapporti attuale, e ci rappresenta nella loro essenza ridicol-tragica workshops (obbligatori) sui curricula, questionari, sanzioni e follie burocratiche varie.
Un capolavoro. Palma d'oro a Cannes strameritata.
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valterchiappa
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sabato 24 giugno 2017
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noi con daniel blake
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Lo ami subito Daniel Blake. Il viso aperto e improntato al sorriso, lo sguardo fermo, le spalle dritte. Da lui ti attendi una stretta di mano salda o una amichevole pacca sulla spalla. Perché per lui sono le mani che contano: con le mani si fa il lavoro, con le mani ed una matita si scrive, con le mani, le sue che sanno fare tutto, riparare, costruire, oppure stringere altre mani, si aiuta il prossimo.
Lo ami subito Daniel Blake. Lo vedi lontano un miglio che è un uomo buono; ma allo stesso tempo intuisci che è fermo come un mulo, incrollabile nel non rinunciare alla sua dignità di uomo e alla rettitudine. Perché questo è ciò in cui ha sempre creduto, ciò che gli ha consentito di affrontare una vita difficile ed essere comunque felice.
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Lo ami subito Daniel Blake. Il viso aperto e improntato al sorriso, lo sguardo fermo, le spalle dritte. Da lui ti attendi una stretta di mano salda o una amichevole pacca sulla spalla. Perché per lui sono le mani che contano: con le mani si fa il lavoro, con le mani ed una matita si scrive, con le mani, le sue che sanno fare tutto, riparare, costruire, oppure stringere altre mani, si aiuta il prossimo.
Lo ami subito Daniel Blake. Lo vedi lontano un miglio che è un uomo buono; ma allo stesso tempo intuisci che è fermo come un mulo, incrollabile nel non rinunciare alla sua dignità di uomo e alla rettitudine. Perché questo è ciò in cui ha sempre creduto, ciò che gli ha consentito di affrontare una vita difficile ed essere comunque felice.
Ma questo è ciò che non basta più in una società, dove prima dei soldi, prima del lavoro, prima delle garanzie è proprio la dignità che si vuole sopprimere. Un mondo che vuole cancellare ogni identità, che vuole trasformare gli individui in entità astratte da catalogare ed inserire in astruse procedure, che vuole rinchiudere una vita di lavoro nell’asettico form di un curriculum. A questo mondo Daniel Blake si ribella gridando, scrivendo sui muri il suo nome. Perché è un uomo e Ken Loach ce lo ricorda sin dal titolo: “Io, Daniel Blake”: un nome ed un pronome personale, il primo.
La vicenda del falegname che, dopo un attacco cardiaco, è costretto a lasciare il lavoro e si trova stritolato dagli assurdi meccanismi della burocrazia nella richiesta di far valere il suo diritto alla sopravvivenza, pur essendo una storia di finzione fatta di tante storie vere, raccolte con amore in un inferno in cui i gironi si chiamano banco alimentare o ufficio di collocamento, non è una rappresentazione documentaristica della situazione del sottoproletariato.
Di queste abbiamo avuto esempi nella filmografia recente: da “Due giorni, una notte” dei Dardenne a “La legge del mercato”. Ma se i fratelli belgi si sono arroccati nel loro ermetismo emotivo e il film francese ha imprigionato in una cappa di gelo il suo protagonista per descriverne la solitudine, Ken Loach ha scelto, pur tenendosi alla larga dal sentimentalismo, pur raccontando fatti nudi e crudi, di spremerci il cuore e al contempo strizzarci il fegato.
La partecipazione emotiva che il suo film riesce a creare inizia con la scelta dei protagonisti. Loach ha cercato dei volti che potessero creare empatia; li ha trovati in Dave Johns, misconosciuto cabarettista di Newcastle e Hayley Squires, giovane attrice disoccupata, i quali hanno risposto restituendo un’interpretazione strepitosa. Due come noi che, come forse solo loro avrebbero potuto fare, raccontano due come noi.
Loach dissemina poi, fra inflessibili burocrati ed asettici funzionari, un brulichio di personaggi caldi di comprensione e solidarietà, in un contrasto fra umano e disumano che è il leitmotiv del film. Fiammelle che non si vogliono spegnere, perché “un altro mondo è possibile”, come il regista ha affermato durante il discorso tenuto a Cannes, ricevendo la Palma d’Oro.
Vuole amore ed indignazione Loach. E ci riesce, perché Daniel Blake lo ami subito; ed ami il suo mondo di personaggi deboli ma invincibilmente umani e per questo cominci ad odiare visceralmente il mondo gelido e crudele che li circonda e li opprime. Vuole amore ed indignazione Loach, perché vuole chiamarci in causa. “Io, Daniel Blake” diventa quindi portatore di un messaggio forte e potente che parte sì dall’analisi politica (Loach non dimentica di essere Ken il Rosso nella feroce invettiva contro i Tories che mette in bocca ad un uomo della strada), ma da questa travalica e diventa una visione universale del degrado della nostra società.
C’è un emergenza e lui, emozionandoci, vuole spingerci alla rivolta; e noi, non più spettatori di un film, vogliamo arruolarci.
Si sta uccidendo la dignità. Daniel Blake paga l’incrollabile volontà di non voler abbassare mai la testa, di non rinunciare ad essere sé stesso, nome e cognome, anche quando tutti attorno a lui si piegano o addirittura si umiliano e la dignità accettano di svenderla, stretti dai morsi della fame.
Sta morendo l’umanità ovvero la capacità di vedere nel prossimo un fratello, sotto una logica che vuole gli uomini trasformati in numeri. Ma cosa può fare la solidarietà dei singoli, come i tanti personaggi che il film mette in luce, quando è il sistema ad essere disumano?
“Io, Daniel Blake”è appunto un inno all’identità, valore insopprimibile. Per questo andrebbe proiettato non nelle scuole, ma nelle aule parlamentari, nelle stanze dei bottoni, ovunque si decida il destino di un popolo, per ricordare che ogni scelta riguarda sempre uomini in carne ed ossa, uomini con un volto, uomini con un nome. Riguarda Daniel Blake.
E allora, usciti dalle sale, gridiamo forte anche noi il nostro nome e cognome. Scriviamolo sui muri, ma in maniera indelebile, perché nessuno mai possa imporci di non essere più uomini. Questo ci chiede Ken il Rosso.
A Cannes sono volate critiche per aver attribuito la Palma d’oro a un regista ottantenne, che sferra l’ultimo attacco della sua eterna battaglia. Si sarebbero voluti favorire giovani cineasti come il talentuoso Xavier Dolan. Ma il regista canadese è giovane e avrà tempo per farsi valere.
Ora c’era una storia urgente da raccontare. Perché Daniel Blake è qui, accanto a noi.
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luciano sibio
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domenica 29 ottobre 2023
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i film di loach annoiano
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Spiego perchè a me i film di Loach non piacciono e annoiano. Non piacciono perchè i suoi film "non" hanno lo scopo primario di emozionarci, ma quello di sensibilizzarci verso una realtà di sfruttamento che colpisce oggi grandi masse di lavoratori nell'attuale mondo della globalizzazione neoliberista, e così diffondere una certa mentalità di cambiamento.I film di Loach sono, tutti, e in via primaria, dei film di denuncia sociale, quelli che una volta si chiamava il cinema impegnato.
E questo è del tutto sbagliato.Il compito del film, lo voglia o no Loach, resta sempre quello di emozionarci e renderci partecipi, il più possibile, di una realtà immaginaria dove vivere sensazioni che di solito non viviamo, e questo grazie alla sceneggiatura,scenografia e alla recitazione degli attori.
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Spiego perchè a me i film di Loach non piacciono e annoiano. Non piacciono perchè i suoi film "non" hanno lo scopo primario di emozionarci, ma quello di sensibilizzarci verso una realtà di sfruttamento che colpisce oggi grandi masse di lavoratori nell'attuale mondo della globalizzazione neoliberista, e così diffondere una certa mentalità di cambiamento.I film di Loach sono, tutti, e in via primaria, dei film di denuncia sociale, quelli che una volta si chiamava il cinema impegnato.
E questo è del tutto sbagliato.Il compito del film, lo voglia o no Loach, resta sempre quello di emozionarci e renderci partecipi, il più possibile, di una realtà immaginaria dove vivere sensazioni che di solito non viviamo, e questo grazie alla sceneggiatura,scenografia e alla recitazione degli attori.Solo quando avviene ciò, il film può anche sensibilizzare, se no cade nella noia e nella popaganda e poco conta se in questo caso si propaganda un contenuto di larga condivisione.
Io penso che sia un pò questo il limite endemico dei film di Loach che sono una copia un pò sbiadita e noiosa del nostro insuperabile neorealismo.Neorealismo che proprio per questa sua intrinseca capacità narrativa legata alle eccelse capacità dei propri protagonisti coinvolse emotivamente il mondo intero e incise in maniera ben più efficacemente di Loach e politicamente a favore delle classi subalterne di allora.rtecipi, il più possibile, di una realtà immaginaria dove vivere sensazioni che di solito non viviamo, e questo grazie alla sceneggiatura,scenografia e alla recitazione degli attori.Solo quando avviene ciò, il film può anche sensibilizzare, se no cade nella noia e nella popaganda e poco conta se in questo caso si propaganda un contenuto di larga condivisione. Io penso che sia un pò questo il limite endemico dei film di Loach che sono una copia un pò sbiadita e noiosa del nostro insuperabile neorealismo, che per questo fu anche ben più efficace politicamente. Spiego perchè a me i film di Loach non piacciono e annoiano. Non piacciono perchè i suoi film non hanno lo scopo primario di emozionarci, ma quello di sensibilizzarci verso una realtà di sfruttamento che colpisce oggi grandi masse di lavoratori nell'attuale mondo della globalizzazione neoliberista, e così diffondere una certa mentalità di cambiamento.I film di Loach sono, tutti, e in via primaria, dei film di denuncia sociale. E questo è del tutto sbagliato.Il compito del film, lo voglia o no Loach, resta sempre quello di emozionarci e renderci partecipi, il più possibile, di una realtà immaginaria dove vivere sensazioni che di solito non viviamo, e questo grazie alla sceneggiatura,scenografia e alla recitazione degli attori.Solo quando avviene ciò, il film può anche sensibilizzare, se no cade nella noia e nella popaganda e poco conta se in questo caso si propaganda un contenuto di larga condivisione. Io penso che sia un pò questo il limite endemico dei film di Loach che sono una copia un pò sbiadita e noiosa del nostro insuperabile neorealismo, che per questo fu anche ben più efficace politicamenSpiego perchè a me i film di Loach non piacciono e annoiano. Non piacciono perchè i suoi film non hanno lo scopo primario di emozionarci, ma quello di sensibilizzarci verso una realtà di sfruttamento che colpisce oggi grandi masse di lavoratori nell'attuale mondo della globalizzazione neoliberista, e così diffondere una certa mentalità di cambiamento.I film di Loach sono, tutti, e in via primaria, dei film di denuncia sociale. E questo è del tutto sbagliato.Il compito del film, lo voglia o no Loach, resta sempre quello di emozionarci e renderci partecipi, il più possibile, di una realtà immaginaria dove vivere sensazioni che di solito non viviamo, e questo grazie alla sceneggiatura,scenografia e alla recitazione degli attori.Solo quando avviene ciò, il film può anche sensibilizzare, se no cade nella noia e nella popaganda e poco conta se in questo caso si propaganda un contenuto di larga condivisione. Io penso che sia un pò questo il limite endemico dei film di Loach che sono una copia un pò sbiadita e noiosa del nostro insuperabile neorealismo, che per questo fu anche ben più efficace politicamen
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luigi chierico
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martedì 1 novembre 2016
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una denuncia
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Non è un film di Ken Loach ma la sua DENUNCIA,infatti non c’è nulla da commentare in questa sede sul film,lo spettatore non viene distratto dalle immagini,dalla fotografia,dal commento musicale,dalla sceneggiatura o dalla scenografia.L’interpretazione è affidata soltanto alla bravura dei due attori Dave Johns e Hayley Squires,nella parte di Daniel e Katie.In definitiva non è un vero film ma una forte,coraggiosa denuncia contro la burocrazia,le leggi e i metodi in cui sempre il cittadino si imbatte ogni qualvolta vuol far valere i suoi diritti, non solo nella piccola cittadina di Newcastle in Inghilterra,ma nello stesso intero mondo “civile”. L’intero film non si allontana mai da questa accusa e lascia lo spettatore invischiato come il povero protagonista nel tentare di venir fuori dal labirinto in cui il suo Stato lo ha cacciato.
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Non è un film di Ken Loach ma la sua DENUNCIA,infatti non c’è nulla da commentare in questa sede sul film,lo spettatore non viene distratto dalle immagini,dalla fotografia,dal commento musicale,dalla sceneggiatura o dalla scenografia.L’interpretazione è affidata soltanto alla bravura dei due attori Dave Johns e Hayley Squires,nella parte di Daniel e Katie.In definitiva non è un vero film ma una forte,coraggiosa denuncia contro la burocrazia,le leggi e i metodi in cui sempre il cittadino si imbatte ogni qualvolta vuol far valere i suoi diritti, non solo nella piccola cittadina di Newcastle in Inghilterra,ma nello stesso intero mondo “civile”. L’intero film non si allontana mai da questa accusa e lascia lo spettatore invischiato come il povero protagonista nel tentare di venir fuori dal labirinto in cui il suo Stato lo ha cacciato.Lo stesso spettatore si sente impotente e ricorda la sua odissea di quando ha avuto bisogno di un permesso,di avere un’assistenza,un’autorizzazione.Così chi è stato vittima del sistema sa già come andrà a finire,la fine del film è annunciata,non c’è mai un sol colpo di scena tutto procede come un rituale ineluttabile.E’ ammirevole il coraggio con cui l’ottimo regista Ken Loach ha messo in luce una piaga di tanti Stati che ignorano le condizioni dei propri cittadini,non concedendo loro neanche quanto spetta di diritto.Ma se è vero che Ken Loach si è calato dentro la denuncia con tutto il suo vigore artistico,denunciando una verità sofferta da tanti individui,non lo stesso posso dire per il film.La denuncia c’è tutta,il film no. La tragedia vissuta da Daniel Blake è solo psicologica,non c’è patos ma ribellione.Il protagonista è soffocato sino all’inverosimile dal metodo che deve seguire,senza deroga alcuna,per sentirsi riconoscere dal suo Stato, quale suo cittadino, un diritto che attiene alla salute, bene supremo e primario dell’uomo. Nel film non c’è azione ma reazione, c’è un senso di ribellione che accompagna tutte le inutili iniziative di Daniel nel sentirsi sempre negare quel che gli spetta attraverso assurdi regolamenti. Accanto all’insistenza del personale preposto a far valere le regole imposte dal sistema si osservano altri elementi negativi. La compilazione di una domanda diventa un’impresa impossibile per un anziano a cui si impone che la stessa venga compilata facendo uso del sistema informatico. La pretesa che un anziano debba conoscere il sistema informatico è un assurdo. Come si può pretendere che improvvisamente un cittadino debba far ricorso all’uso informatico senza che gli sia stato dato il tempo ed il modo di apprenderlo? È come pretendere che un bambino di un anno sappia leggere e scrivere, un paradosso, ma oggi tanto si pretende da qualunque cittadino. Il regista nel rispetto delle norme che impongono l’uso del computer ha voluto denunciare l’inasprimento della burocrazia quale metodo per complicare la vita ad un comune mortale. Altro elemento negativo è lo stratagemma usato per indurre la povera Katie alla prostituzione col pretesto di volerla aiutare..
In tanto di negativo emerge la carità e la disponibilità tra chi è povero, tra coloro che hanno bisogno l’uno dell’altro, una forma di pietas, tra Daniel e Katie e tra la stressa e Daniel, che stride con un finale che lascia tutti con l’amaro in bocca. Sono denunce su storie vere che viviamo un po’ tutti ed il film non ha fatto altro che aprire una ferita per due ore destinate a vedere quel che subiamo quotidianamente.chibar22@libero.it
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