movieman
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sabato 1 agosto 2020
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cronaca nera e dittatura militare in argentina
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Fra gli anni 70 e gli anni 80 del secolo scorso, l’Argentina attraversò uno dei suoi periodi più bui, crudeli e dolorosi. Nel 1976 venne instaurata, per contrastare i moti rivoluzionari, una dittatura militare che durò fino al 1983, quando venne indebolita da diversi fattori politici, per cedere il posto ad un governo più democratico. La repressione, in quel periodo, fu ferocissima: un numero enorme ed imprecisato di dissidenti fu fatto sparire nell’oceano con i cosiddetti “voli della morte” (le vittime vennero prima narcotizzate).
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Fra gli anni 70 e gli anni 80 del secolo scorso, l’Argentina attraversò uno dei suoi periodi più bui, crudeli e dolorosi. Nel 1976 venne instaurata, per contrastare i moti rivoluzionari, una dittatura militare che durò fino al 1983, quando venne indebolita da diversi fattori politici, per cedere il posto ad un governo più democratico. La repressione, in quel periodo, fu ferocissima: un numero enorme ed imprecisato di dissidenti fu fatto sparire nell’oceano con i cosiddetti “voli della morte” (le vittime vennero prima narcotizzate). Con questa pagina vergognosa di Storia (ma quale Stato non ne ha?) gli Argentini hanno fatto i conti e due esempi sono, in tempi non troppo remoti, sia lo splendido thriller di Juan José Campanella, “Il segreto dei suoi occhi”, sia questo altrettanto notevole lavoro di Pablo Trapero. Questi due film non affrontano direttamente il tema della dittatura militare in Argentina e non parlano dei desaparecidos, ma parlano delle conseguenze di quel periodo e degli impuniti che (cosa da non sottovalutare assolutamente) hanno continuato a fare la loro vita e a gestire i loro affari.Gli affari raccontati ne “Il clan” sono quelli della famiglia Puccio e, purtroppo, gli eventi ricostruiti in questo film, a differenza di quanto avviene in quello di Campanella, sono tutti realmente avvenuti: il “caso Puccio” è uno degli episodi più noti della cronaca nera argentina. I fatti si svolsero a San Isidro dove, nei primi anni 80, Arquimedes Puccio, con la complicità di una parte del suo nucleo familiare ( moglie e alcuni dei figli ), sequestrò ( a scopo di estorsione ) e uccise alcuni giovani appartenenti a famiglie benestanti. In un primo momento, la famiglia fu protetta dal governo militare perché Arquimedes aveva le mani in pasta nella politica argentina ed era anche un’informatore del regime. Con la caduta della dittatura militare, l’uomo continuò ( e, con lui, i familiari coinvolti ) la sua attività criminale pur non avendo più nessuna protezione politica e continuando a trascinare nel baratro il resto della famiglia e, soprattutto, il figlio Alejandro, star del rugby. E’ quest’ultimo il vero protagonista del film di Trapero: rappresentato come il personaggio più positivo ( o il meno negativo, decidete voi ) della famiglia, Alejandro viene descritto come un giovane uomo in bilico tra la sudditanza, ornata di timore, nei confronti di un padre padrone che si accanisce su di lui con raro sadismo psicologico ( ma quanto può far male la detenzione del potere su chi ce l’ha? ), i sensi di colpa nei confronti delle vittime ( che sono anche sue ) e l’impulso ad una ribellione violenta per liberarsi dall’odiosa catena di un padre criminale e pure assassino. E’ un personaggio, quello di Alejandro, che mette in evidenza anche uno dei temi meglio approfonditi in questo film: lo scarto tra ciò che appare e ciò che è realmente, tra come la realtà sembra e come qualche volta si rivela essere davvero.Nel raccontare questa storia terribile, criminale e nerissima, Trapero e i suoi collaboratori mettono, infatti, benissimo in evidenza il contrasto tra l’immagine che questa famiglia vuole offrire a chi le sta intorno senza sospettare nulla ed il terribile segreto che, invece, nasconde: la madre cucina in continuazione non solo per sfamare i familiari ma anche i prigionieri, il figlio maggiore (Alejandro, appunto ) sembra il ritratto della salute e dello sportivo felice, la figlia studia nella sua stanza mentre, nel bagno, un prigioniero incatenato si agita ed urla di disperazione e, infine, lo stesso volto di Arquimedes (grazie anche all’abilità di Guillermo Francella ) che, nella sequenza in cui si avventa su Alejandro, tramuta da apparentemente innocuo a quasi demoniaco facendo, come si dice, il “suo effetto”. Un contributo importante, nel mettere in evidenza quanto riportato sopra, è quello della fotografia che riesce nel non facile compito di passare dai toni caldi, usati per illuminare le “stanze pubbliche” di casa Puccio ( soprattutto la cucina ed il salotto ), a quelli più freddi delle stanze in cui sono chiusi gli sventurati. Grazie a questi contrasti, il film non fa sconti: anzi, questi sono solo alcuni degli stratagemmi usati per togliere i piedistalli da sotto i piedi dei protagonisti perché, mostrandone il doppio volto, ricordano costantemente allo spettatore la loro pericolosità e ne mostrano tutto lo squallore morale. Anzi, in qualche occasione il film li mette perfino in ridicolo ( tra i produttori c’è anche Pedro Almodòvar, uno che di grottesco se ne intende ) e, forse, non è un caso che il ruolo di Arquimedes sia andato a Guillermo Francella, un comico molto popolare in Argentina. Francella riesce a far venire i brividi con un personaggio piuttosto soffocante ed odioso ( i comici sono spesso abilissimi nel trovare gli aspetti più perturbanti di un personaggio, perché scavano nelle psicologie ) ed è ben affiancato da Peter Lanzani in quelli del tormentato Alejandro. “Il clan”, inoltre, ha il grande merito di non rendere mai spettacolare la violenza, mostrandola quel tanto che basta, perché la storia raccontata è già crudele di suo e perché dietro ad essa ci stanno, purtroppo, cadaveri reali. Punta, invece, molto sull’aspetto psicologico e, soprattutto, sulle tensioni che questa situazione estrema ha sui componenti maschili più giovani del gruppo familiare. E lo fa in maniera compatta, senza divagare e senza sbandare, senza mai perdersi lungo l’arco narrativo ( e di carne al fuoco ce n’è!). Degno di nota è, infine, l’uso graffiante del grottesco che non solo, come ho già scritto, mette in ridicolo questi personaggi meschini ( e quindi, non li fa ergere come modelli da imitare ) ma ha un altro bersaglio in chi ha la verità sotto gli occhi e preferisce far finta di non vederla.
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francesca50
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sabato 18 gennaio 2020
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riflessioni sulla dittatura
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Film come questo fanno riflettere su cosa è stata la dittatura in Argentina e come purtroppo le dittature lascino sempre il timore di nuove recrudescenze. Il pericolo è che però non si arrivi mai a una vera democrazia che sarebbe basata su autenticità dell' informazione e libertà economica con meritocrazia. Nel nostro paese pure vi sono ancora strascichi per una dittatura, finita più di 70 anni fa, e del cui ricordo ci si serve per una nuova sottile dittatura che è quella della burocrazia, che tutto soffoca sotto l'apparenza di favorire la giustizia parola quasi inesistente.
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minnie
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venerdì 8 settembre 2017
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"sei un ingrato alejandro"
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Ho visto questo film con crescente accanimento, nel senso che un gran film è così: ti prende e non ti lascia fino alla fine. In effetti quando una dittatura finisce, lascia degli strascichi tremendi, sempre (vedi lo splendido sceneggiato tedesco Ku'damm 56) ed è questo che il regista, un grande Pablo Trapero, ha voluto dire mostrando la vicenda della famiglia Puccio, irreprensibile all'apparenza ma con i sequestrati in cantina e con tanti scheletri nell'armadio. Ci vorrebbe un regista così a raccontare i delitti della Uno bianca in Italia, quando quattro fratelli, all'apparenza irreprensibil tutori della legge, hanno trasformato Bologna in uno scenario di crimini orrendi, qualche anno dopo la storia nefanda della famiglia Puccio.
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Ho visto questo film con crescente accanimento, nel senso che un gran film è così: ti prende e non ti lascia fino alla fine. In effetti quando una dittatura finisce, lascia degli strascichi tremendi, sempre (vedi lo splendido sceneggiato tedesco Ku'damm 56) ed è questo che il regista, un grande Pablo Trapero, ha voluto dire mostrando la vicenda della famiglia Puccio, irreprensibile all'apparenza ma con i sequestrati in cantina e con tanti scheletri nell'armadio. Ci vorrebbe un regista così a raccontare i delitti della Uno bianca in Italia, quando quattro fratelli, all'apparenza irreprensibil tutori della legge, hanno trasformato Bologna in uno scenario di crimini orrendi, qualche anno dopo la storia nefanda della famiglia Puccio. Davvero straordinario l'attore protagonista che in effetti, nel film di Campanella, "Il segreto dei suoi occhi", fa tutt'altra parte, molto positiva al contrario di questa che ce lo rende odioso, ma che ha nella mimica, nello sguardo, una forza filmica davvero rara. E veramente la cinematografia argentina, così poco conosciuta da noi, mi sorprende ogni volta. Un film davvero esemplare, che indaga il familismo amorale di cui tutte le società sono più o meno impregnate e che il regista ha saputo denunciare magistralmente.
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ennio
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venerdì 8 settembre 2017
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misero tentativo di imitare tarantino
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L'unica cosa valida di questo film è farci conoscere la storia reale dell' inquietante vicenda che narra. Una famiglia retta da uno psicopatico rapitore seriale che tiene al laccio come complici moglie e figli nella sua folle ossessione.
Ma la narrazione è a dir poco irritante, con ritmi e dialoghi da commedia brillante e musiche del tutto fuori luogo, sembra di essere trasportati in un road-movie americano piuttosto che in una torbida storia di prigioni in umide cantine. Guillermo Francella non è nè John Travolta nè Harvey Keitel, abbia pazienza il regista. E poi scene prese dal finale del film e messe un pò a casaccio a metà, mah.
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L'unica cosa valida di questo film è farci conoscere la storia reale dell' inquietante vicenda che narra. Una famiglia retta da uno psicopatico rapitore seriale che tiene al laccio come complici moglie e figli nella sua folle ossessione.
Ma la narrazione è a dir poco irritante, con ritmi e dialoghi da commedia brillante e musiche del tutto fuori luogo, sembra di essere trasportati in un road-movie americano piuttosto che in una torbida storia di prigioni in umide cantine. Guillermo Francella non è nè John Travolta nè Harvey Keitel, abbia pazienza il regista. E poi scene prese dal finale del film e messe un pò a casaccio a metà, mah. Certi generi cinematografici non sono adatti a sperimentazioni di questo tipo.
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andrej
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venerdì 3 febbraio 2017
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l'insostenibile meschinita' del male
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Buon film drammatico, tratto da fatti realmente accaduti ai quali si mantiene sostanzialmente fedele. Buona la regia, bravi e convincenti gli attori; la storia (anche se vera) ha dell’incredibile ed e’ davvero sconcertante e sconvolgente: tipico esempio di quando la realta’ supera la fantasia. Non vi sono soste, lungaggini, momenti di noia e l’interesse resta sempre vivissimo. Certo nuoce un po’ l’impossibilita’ assoluta di simpatizzare/empatizzare coi protagonisti (oltre che moralmente pessimi anche irrimediabilmente meschini): infatti viene a mancare la possibilita’ di identificarsi con loro e di partecipare emotivamente alle loro disgrazie. Ma questo non e’ colpa del regista ne’ della sceneggiatura; e’ il semplice e inevitabile risultato della mediocre mostruosita’ delle loro azioni.
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Buon film drammatico, tratto da fatti realmente accaduti ai quali si mantiene sostanzialmente fedele. Buona la regia, bravi e convincenti gli attori; la storia (anche se vera) ha dell’incredibile ed e’ davvero sconcertante e sconvolgente: tipico esempio di quando la realta’ supera la fantasia. Non vi sono soste, lungaggini, momenti di noia e l’interesse resta sempre vivissimo. Certo nuoce un po’ l’impossibilita’ assoluta di simpatizzare/empatizzare coi protagonisti (oltre che moralmente pessimi anche irrimediabilmente meschini): infatti viene a mancare la possibilita’ di identificarsi con loro e di partecipare emotivamente alle loro disgrazie. Ma questo non e’ colpa del regista ne’ della sceneggiatura; e’ il semplice e inevitabile risultato della mediocre mostruosita’ delle loro azioni. Il fatto poi che queste non avessero neppure l’attenuante di motivazioni passionali o patologiche o di una situazione di grave bisogno (trattandosi di persone benestanti) le rende ancora piu’ incomprensibili e del tutto imperdonabili. Di solito e’ molto raro che un film mi scandalizzi o mi turbi /disturbi profondamente; questo film ci e’ riuscito.
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filippo catani
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mercoledì 28 dicembre 2016
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bella storia ma registro sbagliato
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Il clan Puccio guidato dall'insospettabile padre metteva a segno rapimenti nell'Argentina della dittatura e anche nei primissimi anni della nuova democrazia.
Basato su una storia vera, il film racconta la storia del clan Puccio e più in generale del clima di violenze e intimidazioni che si viveva in Argentina sotto la dittatura e anche nei primi anni del post. Ovviamente il clan godeva della copertura delle alte gerarchie e c'era insomma un tornaconto economico-politico un po' per tutti. Il film si concentra principalmente sul rapporto tra il padre e il figlio rugbysta che partecipa sì ai rapimenti ma che a volte sembrerebbe tentato di cambiare vita o comunque sembrerebbe avere qualche scrupolo di coscienza.
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Il clan Puccio guidato dall'insospettabile padre metteva a segno rapimenti nell'Argentina della dittatura e anche nei primissimi anni della nuova democrazia.
Basato su una storia vera, il film racconta la storia del clan Puccio e più in generale del clima di violenze e intimidazioni che si viveva in Argentina sotto la dittatura e anche nei primi anni del post. Ovviamente il clan godeva della copertura delle alte gerarchie e c'era insomma un tornaconto economico-politico un po' per tutti. Il film si concentra principalmente sul rapporto tra il padre e il figlio rugbysta che partecipa sì ai rapimenti ma che a volte sembrerebbe tentato di cambiare vita o comunque sembrerebbe avere qualche scrupolo di coscienza. Il film funziona anche nella scelta del cast. Quello che stona e fa decisamente storcere il naso è lo stile in cui questa storia in alcune parti viene trattata. Ironia e una musica di sottofondo decisamente inappropriate per un film che racconta vicende del genere. Insomma lo scontro di registri con cui viene raccontata la storia non produce niente di buono. Peccato anche se questo non significa che il film sia da buttare anzi ma però una maggiore accortezza a mio avviso sarebbe stata indicata.
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emanuele 1968
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mercoledì 19 ottobre 2016
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bello
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Bello, i soldi servono, però fino ad un certo punto.
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domenico astuti
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martedì 11 ottobre 2016
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un piccolo affresco incompiuto
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Raccontare una storia vera, di una banale famiglia criminale, in un’epoca drammatica il cui contesto è una dittatura latinoamericana, è da sempre un’intenzione nobile, complessa, che richiede gusto narrativo, profondità psicologica e un’idea moderna tra Cinema politico e commedia umana. Negli anni scorsi il grande regista cileno Pablo Larrain si è cimentato con questo genere di drammaturgia realizzando dei piccoli capolavori come Toni Manero e Post Mortem. Con le stesse intenzioni ma con un risultato contraddittorio, a volte dalla resa televisiva, in alcuni passaggi iniziali farraginoso ( Incominciare con un video del dittatore Massera e poi del Presidente radicale Raul Alfonsin, intervallati dal signor Puccio e dai membri della famiglia ) il regista Pablo Trapero ( Carancho, Elefante Bianco ) realizza una pellicola coraggiosa ma allo stesso tempo senza decidere quale direzione prendere, cosa veramente raccontare e come; avvitandosi in una regia modesta e servendosi di una sceneggiatura a volte afasica, senza una reale drammaturgia.
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Raccontare una storia vera, di una banale famiglia criminale, in un’epoca drammatica il cui contesto è una dittatura latinoamericana, è da sempre un’intenzione nobile, complessa, che richiede gusto narrativo, profondità psicologica e un’idea moderna tra Cinema politico e commedia umana. Negli anni scorsi il grande regista cileno Pablo Larrain si è cimentato con questo genere di drammaturgia realizzando dei piccoli capolavori come Toni Manero e Post Mortem. Con le stesse intenzioni ma con un risultato contraddittorio, a volte dalla resa televisiva, in alcuni passaggi iniziali farraginoso ( Incominciare con un video del dittatore Massera e poi del Presidente radicale Raul Alfonsin, intervallati dal signor Puccio e dai membri della famiglia ) il regista Pablo Trapero ( Carancho, Elefante Bianco ) realizza una pellicola coraggiosa ma allo stesso tempo senza decidere quale direzione prendere, cosa veramente raccontare e come; avvitandosi in una regia modesta e servendosi di una sceneggiatura a volte afasica, senza una reale drammaturgia. A quest’opera manca del tutto la giusta ambiguità e il reale elemento disturbante. La storia reale è atroce, potente e necessaria, il racconto sulle ambizioni economiche e piccolo borghesi di un equivoco e terribile funzionario statale legato alla repressione della dittatura di Videla e Massera ( quelli che hanno organizzato il golpe del 1976, che hanno autorizzato il Garage Olimpo, che hanno sottratto a donne incinte i figli per poi ucciderle e darli in adozione a quegli stessi militari che uccidevano i genitori dei nascituri, gli stessi che hanno gettato dagli elicotteri nell’oceano i prigionieri politici per non lasciare tracce ed hanno fatto anche così sparire circa ventimila persone che le madri di Plaza de Mayo hanno cercato invano per decenni ). Il capo di questo clan familiare era il signor Arquimedes Puccio, padre affettuoso e determinato, militante dell’estrema destra, specializzato nel far «sparire» i prigionieri politici quando questo orrore era legalizzato dallo stato e quasi la normalità. Ma alla fine della dittatura, questo Pater familias rispettabile, approfittando della copertura di uomini del potere ( incarnati in un Commodoro, banale e inutile figura ) e aiutato da feccia simile ha continuato l’attività in proprio e questa volta non a scopo ’ politico ‘ bensì di estorsione: nascondendo i sequestrati nella propria casa ( nella vasca di un bagno o in cantina ) e poi uccidendoli dopo aver ricevuto il riscatto. Insomma, dai comunisti e dagli oppositori montoneros passa ai ricchi borghesi anche amici di famiglia, sempre desaparecidos ma con una fonte di guadagno ben migliore dello stipendio di criminale dello stato. E in questa realtà sono coinvolti sua moglie e i suoi cinque figli; ma se le figlie non si fanno domande nel sospettare di avere un sequestrato in casa ( per come è raccontato risulta poco credibile, quasi allegorico ), se i figli sono anche costretti dal carattere del padre a obbedirgli e a partecipare ai sequestri oppure costretti a dover fuggire all’estero, sembra del tutto incredibile che la moglie ( donna amorevole, serena e professoressa di liceo ) trovi questo tran tran del tutto naturale e pensi solo a lavorare e a cucinare per la famiglia. Insomma a questo film manca proprio la profondità psicologica e il non saper descrivere le motivazioni sociali e morali di questo banale male che per molti non è stato anormale perché derivato da un contesto più grande d’orrore e di morte che sono state le dittature. Un dilemma che fa ancora riflettere e soffrire generazioni di latinoamericani e che questo film invece trascura totalmente.
Siamo nell’Argentina degli inizi Anni Ottanta, subito dopo la fine della guerra delle Malvinas e quindi verso la fine della dittatura militare. A San Isidro vive questo cortese e gelido Arquímedes Puccio, dall’aria di amico della porta accanto ( un convincente Guillermo Francella ), un cinquantenne che è stato nei servizi segreti ma adesso è disoccupato e non si sa il perchè; sapendo di poter contare sull’aiuto dei suoi ex superiori ancora in servizio e facendosi aiutare da un paio di complici decide di organizzare sequestri di persone ricche per poi chiedere riscatti. Attrezza la cantina e la soffitta di casa e si fa aiutare in tutto dal primogenito, Alejandro ( uno scialbo Juan Pedro Lanzani ), famoso giocatore di rugby della squadra cittadina campione nazionale oltre che della Nazionale. La prima vittima è Ricardo Manoukian, caro amico di Alejandro e dei compagni di squadra. Ricardo viene tenuto segregato in casa, ricevuto il danaro Arquìmedes uccide il prigioniero e Alejandro viene colto dal senso di colpa, ma il padre lo tranquillizza raccontandogli che si è trattato di un incidente. Ma Arquímedes nonostante il grosso guadagno e una vita non dispendiosa organizza un secondo rapimento usando ancora una volta Alejandro come esca. In questo caso, tutta la famiglia è ‘ ufficalmente ‘ coinvolta perché tutti i figli sentono le urla e i pianti di Eduardo, ma nessuno ( nel film ) sembra fare domande o porsi dubbi. Anche Eduardo viene ucciso, nonostante il pagamento del riscatto di un milione di dollari… La dittatura è finita, l’Argentina torna alla democrazia ed elegge il Presidente Alfonsin, ma Arquímedes nonostante le preoccupazioni del cambiamento si convince che è una fase politica provvisoria e che i militari torneranno al potere ben presto. E allora prepara un altro sequestro… E il film andrà avanti fino alla evidente conclusione, nei titoli di coda viene raccontato il destino di questa famiglia.
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nanni
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giovedì 8 settembre 2016
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il clan
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Argentina anni 80. Il paese alle prime elezioni democratiche postdittatura fa i conti con quel difficile passaggio. Non tutti i responsabili della precedente stagione degli orrori, come sempre accade, sono stati liquidati. Parte della catena del comando politico/militare/burocratico sopravvissuta impunita a quel periodo ora gestisce in proprio come se quasi nulla fosse cambiato, grazie ad una vasta e profonda rete di complicità in grado di garantire coperture e protezione e mettendo a frutto “l’esperienza politica” precedente, sequestri di persona a scopo di lucro. Arquimedes Puccio scrupoloso funzionario dei servizi ai tempi della dittatura, è ora, con immutata solerzia, il loro braccio armato……….
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Argentina anni 80. Il paese alle prime elezioni democratiche postdittatura fa i conti con quel difficile passaggio. Non tutti i responsabili della precedente stagione degli orrori, come sempre accade, sono stati liquidati. Parte della catena del comando politico/militare/burocratico sopravvissuta impunita a quel periodo ora gestisce in proprio come se quasi nulla fosse cambiato, grazie ad una vasta e profonda rete di complicità in grado di garantire coperture e protezione e mettendo a frutto “l’esperienza politica” precedente, sequestri di persona a scopo di lucro. Arquimedes Puccio scrupoloso funzionario dei servizi ai tempi della dittatura, è ora, con immutata solerzia, il loro braccio armato……….Insieme ai suoi sottoposti partecipa ai sequestri; con la complicità diretta di alcuni familiari e l’indifferenza di altri gestisce i prigionieri in casa propria; riscuote i riscatti …etc….etc….Il bel lavoro di Pablo Travero tratto da una incredibile storia vera, descrive come anni di militanza al servizio della dittatura abbiano trasformato l’assuefazione al binomio violenza/impunità in assenza di rimorso e in indifferenza, l’orrore in ordinarietà. Ma il merito maggiore del film oltre che nel descrivere i meccanismi che trasformarono l’inferno all’interno del Clan Puccio in incredibile normalità, va rintracciato soprattutto nell'osservare come la pratica quotidiana del sopruso, la contiguità e/o l’esposizione diretta a dosi massicce di violenza producano sempre ed inevitabilmente totale perdita di senso critico, imperturbabilità, apatia, inerzia…etc…etc…sia a livello sociale che individuale………NESSUNO ESCLUSO!!!!!!
Il film molto ben montato, nonostante qualche salto logico, qualche passaggio a vuoto e una colonna sonora, diciamo così, discutibile è importante e da non perdere. Ciao nanni
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des esseintes
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mercoledì 7 settembre 2016
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per chi volesse verificare
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È incredibile che si neghi la realtà.
Chi voglia controllare se quello che ho detto sull'uso della parola "negro" in Argentina è vero cerchi su Wikipedia in spagnolo "Racismo en la Argentina" e poi clicchi sulla versione inglese della stessa pagina.
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