nanni
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giovedì 8 settembre 2016
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il clan
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Argentina anni 80. Il paese alle prime elezioni democratiche postdittatura fa i conti con quel difficile passaggio. Non tutti i responsabili della precedente stagione degli orrori, come sempre accade, sono stati liquidati. Parte della catena del comando politico/militare/burocratico sopravvissuta impunita a quel periodo ora gestisce in proprio come se quasi nulla fosse cambiato, grazie ad una vasta e profonda rete di complicità in grado di garantire coperture e protezione e mettendo a frutto “l’esperienza politica” precedente, sequestri di persona a scopo di lucro. Arquimedes Puccio scrupoloso funzionario dei servizi ai tempi della dittatura, è ora, con immutata solerzia, il loro braccio armato……….
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Argentina anni 80. Il paese alle prime elezioni democratiche postdittatura fa i conti con quel difficile passaggio. Non tutti i responsabili della precedente stagione degli orrori, come sempre accade, sono stati liquidati. Parte della catena del comando politico/militare/burocratico sopravvissuta impunita a quel periodo ora gestisce in proprio come se quasi nulla fosse cambiato, grazie ad una vasta e profonda rete di complicità in grado di garantire coperture e protezione e mettendo a frutto “l’esperienza politica” precedente, sequestri di persona a scopo di lucro. Arquimedes Puccio scrupoloso funzionario dei servizi ai tempi della dittatura, è ora, con immutata solerzia, il loro braccio armato……….Insieme ai suoi sottoposti partecipa ai sequestri; con la complicità diretta di alcuni familiari e l’indifferenza di altri gestisce i prigionieri in casa propria; riscuote i riscatti …etc….etc….Il bel lavoro di Pablo Travero tratto da una incredibile storia vera, descrive come anni di militanza al servizio della dittatura abbiano trasformato l’assuefazione al binomio violenza/impunità in assenza di rimorso e in indifferenza, l’orrore in ordinarietà. Ma il merito maggiore del film oltre che nel descrivere i meccanismi che trasformarono l’inferno all’interno del Clan Puccio in incredibile normalità, va rintracciato soprattutto nell'osservare come la pratica quotidiana del sopruso, la contiguità e/o l’esposizione diretta a dosi massicce di violenza producano sempre ed inevitabilmente totale perdita di senso critico, imperturbabilità, apatia, inerzia…etc…etc…sia a livello sociale che individuale………NESSUNO ESCLUSO!!!!!!
Il film molto ben montato, nonostante qualche salto logico, qualche passaggio a vuoto e una colonna sonora, diciamo così, discutibile è importante e da non perdere. Ciao nanni
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robert eroica
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domenica 6 settembre 2015
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el clan
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#Venezia72 - Concorso
EL CLAN
Tratto da una storia vera. Nell'Argentina sotto la dittatura, all'inizio degli anni Ottanta, una famiglia compie sequestri sotto la protezione del regime. Saranno poche le vittime a salvarsi da un capoclan luciferino e dai suoi fedeli parenti. Fino a che non torna la democrazia....Grande film che riflette su responsabilita' individuale, etica di gruppo e, in maniera indiretta, memoria collettiva. La rappresentazione di un'epoca e' cupissima e senza indulgenze e ad emergere e' la Storia di un Paese in cui nessuno e' veramente innocente. Violenza per una volta necessaria e funzionale al racconto. Può' richiamare il cinema di Larrein e (per gli insetti rock che accompagnano gli omicidi) quello di Scorsese, ma l'opera di Trapero ha una sua innegabile originalità'.
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#Venezia72 - Concorso
EL CLAN
Tratto da una storia vera. Nell'Argentina sotto la dittatura, all'inizio degli anni Ottanta, una famiglia compie sequestri sotto la protezione del regime. Saranno poche le vittime a salvarsi da un capoclan luciferino e dai suoi fedeli parenti. Fino a che non torna la democrazia....Grande film che riflette su responsabilita' individuale, etica di gruppo e, in maniera indiretta, memoria collettiva. La rappresentazione di un'epoca e' cupissima e senza indulgenze e ad emergere e' la Storia di un Paese in cui nessuno e' veramente innocente. Violenza per una volta necessaria e funzionale al racconto. Può' richiamare il cinema di Larrein e (per gli insetti rock che accompagnano gli omicidi) quello di Scorsese, ma l'opera di Trapero ha una sua innegabile originalità'. Il demoniaco capofamiglia si candida seriamente per una coppa Volpi ma il film e' comunque da premio.
VOTO:9
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flyanto
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martedì 30 agosto 2016
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un clan familiare veramente unito e temibile
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Vincitore per la regia del Leone d'Argento all'ultimo festival del Cinema di Venezia, "Il Clan" racconta la vera storia della famiglia argentina Puccio che all'inizio degli anni '80, e precisamente tra il 1982 ed il 1985, organizzava e perpetuava rapimenti e, dopo avere incassato il riscatto dai familiari dell'esponente rapito, lo uccideva a sangue freddo.
Un film molto ben diretto da Pablo Trapero, giovane regista argentino sempre più in crescita, con uno stile rigoroso, lucido e freddo che riflette adeguatamente le azioni e soprattutto il carattere e la personalità del carismatico capo famiglia della famiglia Arquimedes Puccio, il quale costituiva la "mente" principale di tutti i misfatti in cui egli riusciva anche a coinvolgere, chi più chi meno riluttante, tutti i parenti, quali, per esempio, il giovane figlio Alejandro astro nascente del rugby.
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Vincitore per la regia del Leone d'Argento all'ultimo festival del Cinema di Venezia, "Il Clan" racconta la vera storia della famiglia argentina Puccio che all'inizio degli anni '80, e precisamente tra il 1982 ed il 1985, organizzava e perpetuava rapimenti e, dopo avere incassato il riscatto dai familiari dell'esponente rapito, lo uccideva a sangue freddo.
Un film molto ben diretto da Pablo Trapero, giovane regista argentino sempre più in crescita, con uno stile rigoroso, lucido e freddo che riflette adeguatamente le azioni e soprattutto il carattere e la personalità del carismatico capo famiglia della famiglia Arquimedes Puccio, il quale costituiva la "mente" principale di tutti i misfatti in cui egli riusciva anche a coinvolgere, chi più chi meno riluttante, tutti i parenti, quali, per esempio, il giovane figlio Alejandro astro nascente del rugby. Assai apprezzabile della pellicola è anche l'atmosfera con cui viene raffigurata l'Argentina degli anni '80, sia dal punto di vista della situazione politica e sociale attraverso filmati di repertorio che dal punto di vista strettamente della ricostruzione ambientale e dei costumi nonchè della musica del tempo.
Insomma, un quadro ben riflettente l'epoca e la crisi di un paese in aggiunta alla mente malata e perversa di alcuni suoi esponenti.
Consigliabile vivamente.
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des esseintes
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lunedì 5 settembre 2016
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precisazioni
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In generale ma soprattutto per Nicola.
1) il modo di fare di un argentino di Buenos Aires, mi riferisco a quelli di media borghesia, somiglia certamente alle classi medie di tutto il mondo ma ha delle sue particolarità molto peculiari (come ovunque, fra l'altro).
Quello che colpisce un viaggiatore è soprattutto la calata portena che è molto singolare e, per uno straniero, stranamente spiazzante. Per cui se senti il film in italiano perdi un elemento fondamentale.
Inoltre come ho detto ci sono delle particolarità tipicamente argentine che uno che non è mai stato per un periodo in quel paese non può cogliere. Se fai un film sui romani, un veneto lo capisce fino a un certo punto, pensa su quelli che "vengono dalla fine del mondo".
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In generale ma soprattutto per Nicola.
1) il modo di fare di un argentino di Buenos Aires, mi riferisco a quelli di media borghesia, somiglia certamente alle classi medie di tutto il mondo ma ha delle sue particolarità molto peculiari (come ovunque, fra l'altro).
Quello che colpisce un viaggiatore è soprattutto la calata portena che è molto singolare e, per uno straniero, stranamente spiazzante. Per cui se senti il film in italiano perdi un elemento fondamentale.
Inoltre come ho detto ci sono delle particolarità tipicamente argentine che uno che non è mai stato per un periodo in quel paese non può cogliere. Se fai un film sui romani, un veneto lo capisce fino a un certo punto, pensa su quelli che "vengono dalla fine del mondo".
Non ho detto che è incomprensibile ai non argentini ma che perde molto se non lo si sa contestualizzare per esperienza vissuta
2) le distinzioni di classe ci sono ovunque ovviamente ma in Sudamerica, India, Giappone e altri posti vengono sovrapposte e identificate inconsciamente con differenze di razza. In piccola parte è così anche da noi ma non in maniera così marcata. Viaggia a lungo i quei posti, leggiti le opere di Darcy Ribeiro e Jesse Souza poi capirai.
3) la divisione in caste non è del Rio de la Plata ma del Virreinato de Nueva Espana. Quando è nata l'Argentina non era più ufficialmente in uso MA (ed è un "Ma" grosso come una casa) è rimasta fino ad oggi nella mentalità di quel continente.
Per dire, in Argentina i neri non ci sono eppure sentirai alcune persone (non tutti ma non pochissimi) parlare spesso di "negros"; chi sono? I "poveracci", la "gentaglia" delle periferie, a volte gli "obreros". E i neri come li chiamano? Macacos. Ci sono moltissimi riferimenti a questa mentalità nel film.
Questo deriva in parte dalla divisione in caste chiuse dal punto di vista matrimoniale che era in vigore in Europa (e ancora adesso, se guardi bene), in parte all'esasperazione spagnola legata alla limpieza de sangre a sua volta derivata dal carattere precipuo dell'aristocrazia visigota (quella spagnola) e da altre questioni che non è il caso di affrontare in questa sede. Chi vuole si legga i libri sull'argomento di Americo Castro che sono interessantissimi anche se vanno presi con le pinze.
Quindi in tutto il Sudamerica, Antille etc sentirai i neri (quelli dai tratti proprio africani) che non amano farsi chiiamare "negros" ma "mulato" o un'altra cosa strana che mi pare era "indio canela" etc in altre parole se con le migliori intenzioni dici "negra" per indicare una nera (che pure è il termine politically correct in spagnolo) quella ci rimane male perché equivale in sostanza a "donna da nulla".
Poi ci sarebbe da parlare della mentalità dell'alta borghesia di quel continente che è qualcosa che noi non riusciamo nemmeno a concepire. E nemmeno sono antipatici: un ricco dominicano di sessant'anni è un signore piacevolissimo finché...finché non entri su certe questioni e lì esce fuori, come nuovo, il latifondista con la frusta.
La scena all'inizio di Puccio con i militari è notevole in questo senso e la si può intuire anche da "esterni".
Il problema è che i riferimenti "nazionali" sono così tanti che secondo me quel film fuori dal suo paese perde molto.
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fabiofeli
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venerdì 2 settembre 2016
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il male travestito da normale banalità
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Pablo Trapero sceglie una storia emblematica realmente accaduta tra il 1982 e il 1985. Alcuni filmati d’epoca all’inizio della pellicola riportano la caduta del regime di Videla in Argentina, responsabile della sparizione di 40.000 persone delle quali solo una minima parte – si dice il 5% - erano oppositori aderenti agli odiati partiti e sindacati di sinistra. Arquimedes Puccio (Guillermo Francella), sostenitore del dittatore argentino, aveva partecipato ai sequestri e alle sparizioni degli “oppositori” e dopo la deposizione di Videla aveva creato con un paio di complici una specie di “azienda familiare del sequestro” a scopo di estorsione di denaro. Puccio confidava in quella zona d’ombra che accompagna la caduta delle dittature, dato che molti alti gradi dell’esercito e della polizia erano restati al loro posto, occupando posizioni di rilievo nella travagliata transizione argentina alla democrazia .
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Pablo Trapero sceglie una storia emblematica realmente accaduta tra il 1982 e il 1985. Alcuni filmati d’epoca all’inizio della pellicola riportano la caduta del regime di Videla in Argentina, responsabile della sparizione di 40.000 persone delle quali solo una minima parte – si dice il 5% - erano oppositori aderenti agli odiati partiti e sindacati di sinistra. Arquimedes Puccio (Guillermo Francella), sostenitore del dittatore argentino, aveva partecipato ai sequestri e alle sparizioni degli “oppositori” e dopo la deposizione di Videla aveva creato con un paio di complici una specie di “azienda familiare del sequestro” a scopo di estorsione di denaro. Puccio confidava in quella zona d’ombra che accompagna la caduta delle dittature, dato che molti alti gradi dell’esercito e della polizia erano restati al loro posto, occupando posizioni di rilievo nella travagliata transizione argentina alla democrazia .
Quanto descritto in un lungo piano-sequenza iniziale, dopo le immagini di repertorio ed una anticipazione della conclusione della traiettoria criminale del Clan di Puccio, non è “la banalità del male”, ma “il male travestito da banale normalità”: Arquimedes dice alla moglie che prepara la cena di abbondare nella parte riservata al “ragazzo, affinché non muoia di fame”; col piatto in mano il gelido protagonista, un uomo alle soglie dei 60 anni, percorre la casa ordinando al figlio Alejandro (Pedro Lanzani) di aiutare la madre; passa oltre il tinello dove la figlia piccola è impegnata nei compiti di scuola, sale al piano superiore, dice alla figlia maggiore “E’ pronta la cena” e poi apre la porta della stanza del bagno. Nella vasca c’è un giovane incappucciato e incatenato, “il ragazzo che non deve morire di fame”, che sobbalza per il terrore. Arquimedes rassicura il giovane sequestrato a scopo di estorsione: sta solo portandogli da mangiare. Trapero prosegue con altre normalità, raccapriccianti perché associate senza soluzione di continuità a gelidi misfatti. Puccio spiega alla figlia piccola il minimo comune multiplo; Alejandro, secondogenito di Arquiimedes, va a meta in una partita di rugby con semplicità disarmante; la famiglia Puccio a tavola si raccoglie in un muto ringraziamento; il fratello maggiore di Alejandro emigra in Nuova Zelanda, esortandolo a liberarsi dal giogo paterno che lo spinge al male; il flirt di Alejandro con una giovane surfista si trasforma in un legame vero. Sono prevedibili gli incidenti di percorso nei sequestri e le tragiche conclusioni sono scontate, ma non è lecito rivelare le vie di fuga che Arquimedes si riserva ad ogni svolta del suo percorso criminale.
Il film di Trapero ha avuto un grande successo di pubblico in patria, facendo leva sulla popolarità dei due attori protagonisti, un consumato attore televisivo ed un noto cantante. Forse è una pellicola con troppa voglia di sorprendere, ma fa comunque riflettere lo spettatore: parla di un passato recente, una lunga fase di storia ingombrante e contraddittoria tra fascismo e populismo, non ancora del tutto superata. Anche il drammatico default argentino successivo ai fatti narrati, infatti, è un “effetto collaterale” dei misfatti del Garage Olimpo descritti da Marco Bechis e dei Clan mostruosi generati.
Valutazione: ***
FabioFeli
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(di des esseintes)
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maurizio meres
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domenica 4 settembre 2016
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la mente criminale di un uomo qualunque
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Argentina la fine della dittatura diventa realtà,chi aveva libero arbitrio ancora non ci crede,le protezioni forti vacillano i potenti si tirano indietro cercano di salvare il salvabile.
Il personaggio Puccio servo del potere militare dopo tanti efferati delitti,scopo estorsione si ritrova solo senza più copertura politica ,con la sua famiglia colpevole quanto lui,individuo forte nel carattere con un intelligenza superiore alla media ma al solo scopo criminale,il suo clan gira intorno a lui,con la consapevolezza di sapere tutto ma rimanendo ai margini facendo finta di niente,solo i suoi figli maschi sono coinvolti fisicamente nei crimini assecondandolo in tutto.
Il regista Pablo Trapero molto bravo nel raccontare una storia vera,attraverso una sceneggiatura semplice e scorrevole,con un quadro preciso di quello che una borghesia indifferente,distratta,egoista poteva essere in quel momento in Argentina,con una routine di vita piatta e annoiata.
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Argentina la fine della dittatura diventa realtà,chi aveva libero arbitrio ancora non ci crede,le protezioni forti vacillano i potenti si tirano indietro cercano di salvare il salvabile.
Il personaggio Puccio servo del potere militare dopo tanti efferati delitti,scopo estorsione si ritrova solo senza più copertura politica ,con la sua famiglia colpevole quanto lui,individuo forte nel carattere con un intelligenza superiore alla media ma al solo scopo criminale,il suo clan gira intorno a lui,con la consapevolezza di sapere tutto ma rimanendo ai margini facendo finta di niente,solo i suoi figli maschi sono coinvolti fisicamente nei crimini assecondandolo in tutto.
Il regista Pablo Trapero molto bravo nel raccontare una storia vera,attraverso una sceneggiatura semplice e scorrevole,con un quadro preciso di quello che una borghesia indifferente,distratta,egoista poteva essere in quel momento in Argentina,con una routine di vita piatta e annoiata.
Puccio interpretato dall'attore Guillermo Francella con pochissimi film all'attivo,da con il suo sguardo freddo che non sprigiona sentimento,indifferente a qualsiasi emozione,nel dare la perfetta immagine di quello che poteva essere quest'uomo,rispecchiando in pieno il regime dittatoriale,lui stesso dittatore del suo clan.
Gli altri attori quasi tutti esordiente si attengono al compitino.
Buoni i cambi scena per me importantissimi nei film, buona fotografia,ambientazione scarsa quasi non sembra di stare in Argentina,comunque film senz'altro da vedere.
Inviato da iPad
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domenico astuti
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martedì 11 ottobre 2016
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un piccolo affresco incompiuto
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Raccontare una storia vera, di una banale famiglia criminale, in un’epoca drammatica il cui contesto è una dittatura latinoamericana, è da sempre un’intenzione nobile, complessa, che richiede gusto narrativo, profondità psicologica e un’idea moderna tra Cinema politico e commedia umana. Negli anni scorsi il grande regista cileno Pablo Larrain si è cimentato con questo genere di drammaturgia realizzando dei piccoli capolavori come Toni Manero e Post Mortem. Con le stesse intenzioni ma con un risultato contraddittorio, a volte dalla resa televisiva, in alcuni passaggi iniziali farraginoso ( Incominciare con un video del dittatore Massera e poi del Presidente radicale Raul Alfonsin, intervallati dal signor Puccio e dai membri della famiglia ) il regista Pablo Trapero ( Carancho, Elefante Bianco ) realizza una pellicola coraggiosa ma allo stesso tempo senza decidere quale direzione prendere, cosa veramente raccontare e come; avvitandosi in una regia modesta e servendosi di una sceneggiatura a volte afasica, senza una reale drammaturgia.
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Raccontare una storia vera, di una banale famiglia criminale, in un’epoca drammatica il cui contesto è una dittatura latinoamericana, è da sempre un’intenzione nobile, complessa, che richiede gusto narrativo, profondità psicologica e un’idea moderna tra Cinema politico e commedia umana. Negli anni scorsi il grande regista cileno Pablo Larrain si è cimentato con questo genere di drammaturgia realizzando dei piccoli capolavori come Toni Manero e Post Mortem. Con le stesse intenzioni ma con un risultato contraddittorio, a volte dalla resa televisiva, in alcuni passaggi iniziali farraginoso ( Incominciare con un video del dittatore Massera e poi del Presidente radicale Raul Alfonsin, intervallati dal signor Puccio e dai membri della famiglia ) il regista Pablo Trapero ( Carancho, Elefante Bianco ) realizza una pellicola coraggiosa ma allo stesso tempo senza decidere quale direzione prendere, cosa veramente raccontare e come; avvitandosi in una regia modesta e servendosi di una sceneggiatura a volte afasica, senza una reale drammaturgia. A quest’opera manca del tutto la giusta ambiguità e il reale elemento disturbante. La storia reale è atroce, potente e necessaria, il racconto sulle ambizioni economiche e piccolo borghesi di un equivoco e terribile funzionario statale legato alla repressione della dittatura di Videla e Massera ( quelli che hanno organizzato il golpe del 1976, che hanno autorizzato il Garage Olimpo, che hanno sottratto a donne incinte i figli per poi ucciderle e darli in adozione a quegli stessi militari che uccidevano i genitori dei nascituri, gli stessi che hanno gettato dagli elicotteri nell’oceano i prigionieri politici per non lasciare tracce ed hanno fatto anche così sparire circa ventimila persone che le madri di Plaza de Mayo hanno cercato invano per decenni ). Il capo di questo clan familiare era il signor Arquimedes Puccio, padre affettuoso e determinato, militante dell’estrema destra, specializzato nel far «sparire» i prigionieri politici quando questo orrore era legalizzato dallo stato e quasi la normalità. Ma alla fine della dittatura, questo Pater familias rispettabile, approfittando della copertura di uomini del potere ( incarnati in un Commodoro, banale e inutile figura ) e aiutato da feccia simile ha continuato l’attività in proprio e questa volta non a scopo ’ politico ‘ bensì di estorsione: nascondendo i sequestrati nella propria casa ( nella vasca di un bagno o in cantina ) e poi uccidendoli dopo aver ricevuto il riscatto. Insomma, dai comunisti e dagli oppositori montoneros passa ai ricchi borghesi anche amici di famiglia, sempre desaparecidos ma con una fonte di guadagno ben migliore dello stipendio di criminale dello stato. E in questa realtà sono coinvolti sua moglie e i suoi cinque figli; ma se le figlie non si fanno domande nel sospettare di avere un sequestrato in casa ( per come è raccontato risulta poco credibile, quasi allegorico ), se i figli sono anche costretti dal carattere del padre a obbedirgli e a partecipare ai sequestri oppure costretti a dover fuggire all’estero, sembra del tutto incredibile che la moglie ( donna amorevole, serena e professoressa di liceo ) trovi questo tran tran del tutto naturale e pensi solo a lavorare e a cucinare per la famiglia. Insomma a questo film manca proprio la profondità psicologica e il non saper descrivere le motivazioni sociali e morali di questo banale male che per molti non è stato anormale perché derivato da un contesto più grande d’orrore e di morte che sono state le dittature. Un dilemma che fa ancora riflettere e soffrire generazioni di latinoamericani e che questo film invece trascura totalmente.
Siamo nell’Argentina degli inizi Anni Ottanta, subito dopo la fine della guerra delle Malvinas e quindi verso la fine della dittatura militare. A San Isidro vive questo cortese e gelido Arquímedes Puccio, dall’aria di amico della porta accanto ( un convincente Guillermo Francella ), un cinquantenne che è stato nei servizi segreti ma adesso è disoccupato e non si sa il perchè; sapendo di poter contare sull’aiuto dei suoi ex superiori ancora in servizio e facendosi aiutare da un paio di complici decide di organizzare sequestri di persone ricche per poi chiedere riscatti. Attrezza la cantina e la soffitta di casa e si fa aiutare in tutto dal primogenito, Alejandro ( uno scialbo Juan Pedro Lanzani ), famoso giocatore di rugby della squadra cittadina campione nazionale oltre che della Nazionale. La prima vittima è Ricardo Manoukian, caro amico di Alejandro e dei compagni di squadra. Ricardo viene tenuto segregato in casa, ricevuto il danaro Arquìmedes uccide il prigioniero e Alejandro viene colto dal senso di colpa, ma il padre lo tranquillizza raccontandogli che si è trattato di un incidente. Ma Arquímedes nonostante il grosso guadagno e una vita non dispendiosa organizza un secondo rapimento usando ancora una volta Alejandro come esca. In questo caso, tutta la famiglia è ‘ ufficalmente ‘ coinvolta perché tutti i figli sentono le urla e i pianti di Eduardo, ma nessuno ( nel film ) sembra fare domande o porsi dubbi. Anche Eduardo viene ucciso, nonostante il pagamento del riscatto di un milione di dollari… La dittatura è finita, l’Argentina torna alla democrazia ed elegge il Presidente Alfonsin, ma Arquímedes nonostante le preoccupazioni del cambiamento si convince che è una fase politica provvisoria e che i militari torneranno al potere ben presto. E allora prepara un altro sequestro… E il film andrà avanti fino alla evidente conclusione, nei titoli di coda viene raccontato il destino di questa famiglia.
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filippo catani
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mercoledì 28 dicembre 2016
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bella storia ma registro sbagliato
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Il clan Puccio guidato dall'insospettabile padre metteva a segno rapimenti nell'Argentina della dittatura e anche nei primissimi anni della nuova democrazia.
Basato su una storia vera, il film racconta la storia del clan Puccio e più in generale del clima di violenze e intimidazioni che si viveva in Argentina sotto la dittatura e anche nei primi anni del post. Ovviamente il clan godeva della copertura delle alte gerarchie e c'era insomma un tornaconto economico-politico un po' per tutti. Il film si concentra principalmente sul rapporto tra il padre e il figlio rugbysta che partecipa sì ai rapimenti ma che a volte sembrerebbe tentato di cambiare vita o comunque sembrerebbe avere qualche scrupolo di coscienza.
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Il clan Puccio guidato dall'insospettabile padre metteva a segno rapimenti nell'Argentina della dittatura e anche nei primissimi anni della nuova democrazia.
Basato su una storia vera, il film racconta la storia del clan Puccio e più in generale del clima di violenze e intimidazioni che si viveva in Argentina sotto la dittatura e anche nei primi anni del post. Ovviamente il clan godeva della copertura delle alte gerarchie e c'era insomma un tornaconto economico-politico un po' per tutti. Il film si concentra principalmente sul rapporto tra il padre e il figlio rugbysta che partecipa sì ai rapimenti ma che a volte sembrerebbe tentato di cambiare vita o comunque sembrerebbe avere qualche scrupolo di coscienza. Il film funziona anche nella scelta del cast. Quello che stona e fa decisamente storcere il naso è lo stile in cui questa storia in alcune parti viene trattata. Ironia e una musica di sottofondo decisamente inappropriate per un film che racconta vicende del genere. Insomma lo scontro di registri con cui viene raccontata la storia non produce niente di buono. Peccato anche se questo non significa che il film sia da buttare anzi ma però una maggiore accortezza a mio avviso sarebbe stata indicata.
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movieman
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sabato 1 agosto 2020
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cronaca nera e dittatura militare in argentina
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Fra gli anni 70 e gli anni 80 del secolo scorso, l’Argentina attraversò uno dei suoi periodi più bui, crudeli e dolorosi. Nel 1976 venne instaurata, per contrastare i moti rivoluzionari, una dittatura militare che durò fino al 1983, quando venne indebolita da diversi fattori politici, per cedere il posto ad un governo più democratico. La repressione, in quel periodo, fu ferocissima: un numero enorme ed imprecisato di dissidenti fu fatto sparire nell’oceano con i cosiddetti “voli della morte” (le vittime vennero prima narcotizzate).
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Fra gli anni 70 e gli anni 80 del secolo scorso, l’Argentina attraversò uno dei suoi periodi più bui, crudeli e dolorosi. Nel 1976 venne instaurata, per contrastare i moti rivoluzionari, una dittatura militare che durò fino al 1983, quando venne indebolita da diversi fattori politici, per cedere il posto ad un governo più democratico. La repressione, in quel periodo, fu ferocissima: un numero enorme ed imprecisato di dissidenti fu fatto sparire nell’oceano con i cosiddetti “voli della morte” (le vittime vennero prima narcotizzate). Con questa pagina vergognosa di Storia (ma quale Stato non ne ha?) gli Argentini hanno fatto i conti e due esempi sono, in tempi non troppo remoti, sia lo splendido thriller di Juan José Campanella, “Il segreto dei suoi occhi”, sia questo altrettanto notevole lavoro di Pablo Trapero. Questi due film non affrontano direttamente il tema della dittatura militare in Argentina e non parlano dei desaparecidos, ma parlano delle conseguenze di quel periodo e degli impuniti che (cosa da non sottovalutare assolutamente) hanno continuato a fare la loro vita e a gestire i loro affari.Gli affari raccontati ne “Il clan” sono quelli della famiglia Puccio e, purtroppo, gli eventi ricostruiti in questo film, a differenza di quanto avviene in quello di Campanella, sono tutti realmente avvenuti: il “caso Puccio” è uno degli episodi più noti della cronaca nera argentina. I fatti si svolsero a San Isidro dove, nei primi anni 80, Arquimedes Puccio, con la complicità di una parte del suo nucleo familiare ( moglie e alcuni dei figli ), sequestrò ( a scopo di estorsione ) e uccise alcuni giovani appartenenti a famiglie benestanti. In un primo momento, la famiglia fu protetta dal governo militare perché Arquimedes aveva le mani in pasta nella politica argentina ed era anche un’informatore del regime. Con la caduta della dittatura militare, l’uomo continuò ( e, con lui, i familiari coinvolti ) la sua attività criminale pur non avendo più nessuna protezione politica e continuando a trascinare nel baratro il resto della famiglia e, soprattutto, il figlio Alejandro, star del rugby. E’ quest’ultimo il vero protagonista del film di Trapero: rappresentato come il personaggio più positivo ( o il meno negativo, decidete voi ) della famiglia, Alejandro viene descritto come un giovane uomo in bilico tra la sudditanza, ornata di timore, nei confronti di un padre padrone che si accanisce su di lui con raro sadismo psicologico ( ma quanto può far male la detenzione del potere su chi ce l’ha? ), i sensi di colpa nei confronti delle vittime ( che sono anche sue ) e l’impulso ad una ribellione violenta per liberarsi dall’odiosa catena di un padre criminale e pure assassino. E’ un personaggio, quello di Alejandro, che mette in evidenza anche uno dei temi meglio approfonditi in questo film: lo scarto tra ciò che appare e ciò che è realmente, tra come la realtà sembra e come qualche volta si rivela essere davvero.Nel raccontare questa storia terribile, criminale e nerissima, Trapero e i suoi collaboratori mettono, infatti, benissimo in evidenza il contrasto tra l’immagine che questa famiglia vuole offrire a chi le sta intorno senza sospettare nulla ed il terribile segreto che, invece, nasconde: la madre cucina in continuazione non solo per sfamare i familiari ma anche i prigionieri, il figlio maggiore (Alejandro, appunto ) sembra il ritratto della salute e dello sportivo felice, la figlia studia nella sua stanza mentre, nel bagno, un prigioniero incatenato si agita ed urla di disperazione e, infine, lo stesso volto di Arquimedes (grazie anche all’abilità di Guillermo Francella ) che, nella sequenza in cui si avventa su Alejandro, tramuta da apparentemente innocuo a quasi demoniaco facendo, come si dice, il “suo effetto”. Un contributo importante, nel mettere in evidenza quanto riportato sopra, è quello della fotografia che riesce nel non facile compito di passare dai toni caldi, usati per illuminare le “stanze pubbliche” di casa Puccio ( soprattutto la cucina ed il salotto ), a quelli più freddi delle stanze in cui sono chiusi gli sventurati. Grazie a questi contrasti, il film non fa sconti: anzi, questi sono solo alcuni degli stratagemmi usati per togliere i piedistalli da sotto i piedi dei protagonisti perché, mostrandone il doppio volto, ricordano costantemente allo spettatore la loro pericolosità e ne mostrano tutto lo squallore morale. Anzi, in qualche occasione il film li mette perfino in ridicolo ( tra i produttori c’è anche Pedro Almodòvar, uno che di grottesco se ne intende ) e, forse, non è un caso che il ruolo di Arquimedes sia andato a Guillermo Francella, un comico molto popolare in Argentina. Francella riesce a far venire i brividi con un personaggio piuttosto soffocante ed odioso ( i comici sono spesso abilissimi nel trovare gli aspetti più perturbanti di un personaggio, perché scavano nelle psicologie ) ed è ben affiancato da Peter Lanzani in quelli del tormentato Alejandro. “Il clan”, inoltre, ha il grande merito di non rendere mai spettacolare la violenza, mostrandola quel tanto che basta, perché la storia raccontata è già crudele di suo e perché dietro ad essa ci stanno, purtroppo, cadaveri reali. Punta, invece, molto sull’aspetto psicologico e, soprattutto, sulle tensioni che questa situazione estrema ha sui componenti maschili più giovani del gruppo familiare. E lo fa in maniera compatta, senza divagare e senza sbandare, senza mai perdersi lungo l’arco narrativo ( e di carne al fuoco ce n’è!). Degno di nota è, infine, l’uso graffiante del grottesco che non solo, come ho già scritto, mette in ridicolo questi personaggi meschini ( e quindi, non li fa ergere come modelli da imitare ) ma ha un altro bersaglio in chi ha la verità sotto gli occhi e preferisce far finta di non vederla.
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des esseintes
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mercoledì 31 agosto 2016
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la banalità del male del medio borghese
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Il senso del film è la rappresentazione delle implicazioni di violenza bestiale - e se andiamo in fondo, "rituale" - nascoste (ma note a tutti...) nella nostra mite, insignificante, routinaria, banalità medio borghese.
Il problema però è che dal punto di vista teatrale questa medio borghesità la rappresenti con dei tratti che sono pienamente riconoscibili ed evocativi solo per il pubblico del luogo geografico culturale in cui si situa la vicenda.
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Il senso del film è la rappresentazione delle implicazioni di violenza bestiale - e se andiamo in fondo, "rituale" - nascoste (ma note a tutti...) nella nostra mite, insignificante, routinaria, banalità medio borghese.
Il problema però è che dal punto di vista teatrale questa medio borghesità la rappresenti con dei tratti che sono pienamente riconoscibili ed evocativi solo per il pubblico del luogo geografico culturale in cui si situa la vicenda.
E allora per chi si guarda il film in lingua originale e conosce la caratteristica calata "portena" dell'accento di Buenos Aires, per chi conosce il modo di fare dei numerosissimi Arquimedes Puccio e delle loro famiglie che abitano a milioni quella città, per chi conosce la forma peculiare che assume il rapporto fra le classi sociali un po' in tutto il Sudamerica ma in particolare in Argentina (ossia dove la distinzione di classe si collega istintivamente alla antica divisione in caste razziali formalmente istituzionalizzata nel Virreinato de Nueva Espana); per chi quei gesti, quelle intonazioni della voce, quel modo di stare insieme significano qualcosa che si è vissuto affettivamente; per queste persone il film assumerà un senso che avrà davvero un valore.
Per gli altri, soprattutto se lo guarderanno in italiano, significherà abbastanza poco.
In generale è un film non malissimo ma sostanzialmente aproblematico ossia che si limita alla mera illustrazione di un concetto valido (questa banalità routinaria del male insito per costruzione nella società apparentemente pacifica dei medio borghesi) ma non va oltre nè nella analisi socio culturale e storica delle cause né - e questo è peggio ma è il vero male del postmoderno - prende appassionatamente una sua posizione etica o politica.
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