degiovannis
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giovedì 5 febbraio 2015
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la trappola
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Voglio dedicare queste note soprattutto al tipo di inquadratura che il regista sceglie per quasi tutto il film. Essa occupa poco più di un terzo dello schermo e fin da subito lo spettatore avverte che non si tratta di un film facile, anche perché le immagini lo costringono a un'attenzione nervosa e composta al tempo stesso. Non ci si può distrarre perché non si sa dove far riposare lo sguardo: tutto è nero e dunque, anche malvolentieri, bisogna guardare le immagini che scorrono, soprattutto volti, primi o primissimi piani, spesso angosciati o angoscianti. Cosicché finalmente si respira e ci sia allieta quando l'inquadratura sembra essere tornata normale a tutto schermo. Ma la sensazione è effimera perché dura solo qualche minuto, il tempo di scoprire che si tratta di un sogno, una proiezione del desiderio; dopo, inevitabile la realtà torna con il suo ritmo angosciante.
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Voglio dedicare queste note soprattutto al tipo di inquadratura che il regista sceglie per quasi tutto il film. Essa occupa poco più di un terzo dello schermo e fin da subito lo spettatore avverte che non si tratta di un film facile, anche perché le immagini lo costringono a un'attenzione nervosa e composta al tempo stesso. Non ci si può distrarre perché non si sa dove far riposare lo sguardo: tutto è nero e dunque, anche malvolentieri, bisogna guardare le immagini che scorrono, soprattutto volti, primi o primissimi piani, spesso angosciati o angoscianti. Cosicché finalmente si respira e ci sia allieta quando l'inquadratura sembra essere tornata normale a tutto schermo. Ma la sensazione è effimera perché dura solo qualche minuto, il tempo di scoprire che si tratta di un sogno, una proiezione del desiderio; dopo, inevitabile la realtà torna con il suo ritmo angosciante. Insisto su questo argomento perché per me è la chiave di lettura del film e non solo: probabilmente essa è metafora anche della visione della vita del regista. Non si può non ritenere infatti che quella visione angusta non rappresenti il senso di frustrazione e perdita di libertà del protagonista; ma non basta: essa rappresenta anche il senso di frustrazione anche degli altri personaggi, a cominciare dalle due donne, costrette nei ritmi infelici delle loro vite con pochissime possibilità di uscirne. Infine lo spettatore stesso si interroga sul senso della propria esistenza e sulla reale possibilità di superare i confini di quei limiti. Forse il destino del ragazzo rappresenta quindi quello di tutti noi
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alessandroguatti
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martedì 21 febbraio 2017
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incontenibile energia in stile pop
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La potenza espressiva di Xavier Dolan è ormai indiscussa. Film dopo film, il regista canadese attua una ricerca formale sempre più interessante che si manifesta con un sapiente uso di ogni elemento cinematografico: dalla fotografia al montaggio, dai formati dell’immagine alla colonna sonora.
In Mommy quest’importanza del sonoro emerge in modo assai marcato. L’attenzione riservata all’aspetto acustico permette una descrizione aggiuntiva di situazioni, temi e personaggi, che sono così definiti non soltanto attraverso una fotografia mirabile ma anche tramite il contesto sonoro e rumoristico. È significativo che la storia inizi con uno schianto, un incidente che comporta un forzato cambio di rotta (letterale e metaforico), sottolineato anche dal punto di vista sonoro.
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La potenza espressiva di Xavier Dolan è ormai indiscussa. Film dopo film, il regista canadese attua una ricerca formale sempre più interessante che si manifesta con un sapiente uso di ogni elemento cinematografico: dalla fotografia al montaggio, dai formati dell’immagine alla colonna sonora.
In Mommy quest’importanza del sonoro emerge in modo assai marcato. L’attenzione riservata all’aspetto acustico permette una descrizione aggiuntiva di situazioni, temi e personaggi, che sono così definiti non soltanto attraverso una fotografia mirabile ma anche tramite il contesto sonoro e rumoristico. È significativo che la storia inizi con uno schianto, un incidente che comporta un forzato cambio di rotta (letterale e metaforico), sottolineato anche dal punto di vista sonoro. Altri segnali di questo tipo si possono rilevare lungo tutto il film: il rumore che produce il mazzo di chiavi di Die, che sbattono ripetutamente sul tavolo quando firma le dimissioni del figlio Steve dal centro di correzione, o il continuo picchiettare della penna che la donna tiene in mano mentre cerca di ottenere al telefono un lavoro come traduttrice; tutti segni della confusione esistenziale in cui la madre di Steve sta vivendo.
Pur presentando brani composti ad hoc da Eduardo Noya e pezzi strumentali come Childhood di Craig Armstrong o il concerto di Vivaldi op. 8 n. 2 "L’estate", la colonna sonora di Mommy è costituita prevalentemente da musica pop degli anni Novanta. Attraverso questi brani, molto noti specialmente a un pubblico che ha vissuto l’adolescenza in quegli anni, Dolan riesce a creare un’empatia con il protagonista, perché riconduce quasi sempre tale musica a una fonte sonora diegetica che riproduce la compilation che il padre di Steve aveva creato per il loro viaggio in California, poco prima di morire. Le canzoni che sentiamo (da White flag di Dido, a Blue (Da Ba Dee) degli Eiffel 65, passando per On ne change pas di Celine Dion) costituiscono dunque la colonna sonora della vita interiore di Steve, spesso facendosi portavoce dei suoi stati d’animo. E questa empatia viene formalizzata in modo straordinario da Dolan anche a livello visivo, attraverso un’innovativa ricerca sui formati. Quasi tutto il film è girato con un rapporto interno all’inquadratura di 1:1. L’immagine è un quadrato all’interno del quale i personaggi stanno stretti, sono prevalentemente inquadrati da soli (in particolare Die e Kyla) e rendono talvolta persino difficile all’operatore seguirli e mantenerli in campo. Questo è vero soprattutto per quanto riguarda Steve, la cui energia non riesce ad essere contenuta né da istituti di correzione o camicie di forza all’interno della storia, né, appunto, dal discorso filmico stesso. Vi sono tuttavia due momenti in cui l’immagine si allarga fino a raggiungere un formato di 1,85:1, a simboleggiare la (ricerca di) libertà dei personaggi. Il primo è la corsa in longboard in cui Steve, sulle note di Wonderwall degli Oasis, allarga le braccia con gesto liberatorio spingendo i bordi dell’inquadratura verso il nuovo formato. Il secondo è una rappresentazione del sogno di Die in cui vediamo il futuro irrealizzabile di Steve, sequenza per la quale la musica ha avuto un ruolo primario anche nel processo creativo: è stato infatti l’ascolto di Experience di Ludovico Einaudi a ispirare al regista la scrittura di una sequenza che avrebbe riguardato “una donna e la vita che non avrebbe mai avuto”.
Bisogna però sottolineare che nonostante questa empatia tra noi e i personaggi, Dolan inserisce una sorta di frattura tra lo spettatore e il mondo narrato nel film: alcuni filtri, come il cambio di formato dell’immagine, che sospingono i personaggi verso di noi per poi rimandarli lontano. Anche la musica agisce in questo senso. Se consideriamo sequenze come quella in cui Steve corre con la longboard e con il carrello del supermercato, possiamo notare come la canzone dei Counting Crows Colorblind sembri ad un primo sguardo provenire dal suo lettore attraverso le cuffie che indossa, ma notando il labiale e i movimenti di danza del ragazzo appare evidente come la musica che lui sta ascoltando non sia la stessa che sentiamo noi. Soprattutto, la musica è antifrastica rispetto alla situazione visivamente descritta, perché mentre Steve corre, urla, dimena il carrello del supermercato, la canzone è molto malinconica. Vi è dunque uno sfasamento tra diegetico ed extra-diegetico.
Tutto questo rende Dolan un regista radicalmente “pop”, perché si fa portatore di contenuti profondi rielaborati con criteri estetici che hanno come interlocutore soprattutto un pubblico giovane.
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pepito1948
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martedì 30 dicembre 2014
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fuoco amico
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Premessa: siamo in presenza di un grande film, di quelli che per intensità e spessore artistico, non si vedono di frequente. Opera tanto più straordinaria se si considera che il regista canadese (oltre che attore e doppiatore) Xavier Donan a 25 anni non è neppure un esordiente. Talento precocissimo, Donan stupisce per la capacità di penetrare e descrivere senza steccati e senza veli o limiti convenzionali la complessità di dinamiche interpersonali profonde e spesso estreme, come quelle che caratterizzano il rapporto tra una madre di mezza età ancora attraente, vedova, con lavoro precario e portatrice di un’eredità di debiti lasciata dal marito piuttosto pesante, ed il figlio minorenne affetto da grave malattia mentale, che ne fa un disadattato soggetto a frequenti crisi di aggressività e perciò ospite, senza significativi risultati, di diversi centri specializzati.
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Premessa: siamo in presenza di un grande film, di quelli che per intensità e spessore artistico, non si vedono di frequente. Opera tanto più straordinaria se si considera che il regista canadese (oltre che attore e doppiatore) Xavier Donan a 25 anni non è neppure un esordiente. Talento precocissimo, Donan stupisce per la capacità di penetrare e descrivere senza steccati e senza veli o limiti convenzionali la complessità di dinamiche interpersonali profonde e spesso estreme, come quelle che caratterizzano il rapporto tra una madre di mezza età ancora attraente, vedova, con lavoro precario e portatrice di un’eredità di debiti lasciata dal marito piuttosto pesante, ed il figlio minorenne affetto da grave malattia mentale, che ne fa un disadattato soggetto a frequenti crisi di aggressività e perciò ospite, senza significativi risultati, di diversi centri specializzati.
Il rapporto tra i due è costantemente fuori le righe, è vissuto in bilico tra (rara) armonia e (molta) conflittualità, tra manifestazioni d’amore quasi carnali e scontri furibondi in cui azioni e soprattutto reazioni vanno presto fuori controllo. E se la violenza del giovane talora tracima senza trovare resistenza, la madre Diane non si rassegna a limitarsi ai metodi della pedagogia correttiva usuale, ma passa senza esitare dal fioretto alla spada, dal dialogo suadente o ammonitivo al turpiloquio, all’aggressione verbale pur di domare il diavolo in corpo dell’altro. E la vita di Diane scorre in un inferno, punteggiato di momenti di tregua armata o addirittura di dolcezza infinita, tra la ricerca di un lavoro stabile e la necessità di fronteggiare i danni causati dal figlio, compresa una pesante offensiva giudiziaria.
Diane è schiacciata dall’opprimente amore panico del figlio, la cui gelosia non ammette l’ingresso nel menage di altri uomini, ma è pronta ad abbandonarsi ai suoi slanci affettivi, è travolta nel vortice di forze viscerali come amore, odio, senso di protezione, compassione, e non riesce a fermare la dinamica fatta di alleanze transitorie e scontri esplosivi, a porre dei punti fermi che non siano rimessi in discussione dalle subitanee quanto imprevedibili reazioni del giovane, secondo una catena irta di picchi destabilizzanti.
Il dualismo si fa triangolo quando nel rapporto familiare si inserisce un terzo estraneo, una vicina di casa segnata da una perdita familiare, che, con la sua riflessività pacata, la pazienza tipica di un’insegnante entra con passi felpati nel binomio stemperandone il clima bellico e fungendo da termostato nei momenti più caldi. L’ossimoro caratteriale tra le due donne non impedisce comunque un’alleanza che si riverbera positivamente sul figlio, sedandone i tumulti interiori e distanziandone le crisi. Ma la vita di Diane, per quanto alleggerita dalla presenza benefica ed amicale di Kyla, non cambia sostanzialmente, mentre si accumulano gli anni e con questi le rinunce ad una vita libera da fardelli che lacerano sempre più le pur possenti spalle.
Una nuova legge canadese la mette davanti ad un bivio. Diane, dopo aver sognato un futuro inesistente, fa la sua scelta.
La grande abilità di Dolan sta innanzitutto nel non porsi alcun limite nell’esternare visivamente –con la sua mdp ficcante e chirurgica- anche le pieghe più nascoste del fuoco reciproco tra madre e figlio, indifferente alle possibili reazioni emotive del pubblico; questo dà al film un timbro di autenticità e naturalezza (e di prorompente impatto psicologico) difficilmente riscontrabile. Violenza verbale e fisica sono rappresentate senza filtri o artifici di luci, le immagini anzi sembrano zoomare sugli stati d’animo più esacerbati. Dolan dipinge magistralmente i tre personaggi del triangolo, la madre (lontano anni luce dal modello occidentale corrente) dai modi androgini e pronta a ogni metamorfosi pur di adattare la propria immagine alle contingenze variabili dello stato del figlio, l’amica poco loquace e dai modi rassicuranti, pronta però a tirare fuori le unghie se messa alle strette, il figlio quale un vulcano in perenne attività eruttrice, di lava, di lapilli ma anche di innocui soffioni.
Dolan riprende uno dei temi classici e rividi del cinema americano come l’ossessione dei rapporti genitori-figli, ma lo fa scardinandone i clichè e descralizzandone i contenuti.
Colpisce infine l’inventiva tecnico-espressiva del regista. In un secolo di cinema gli artifici per sottolineare gli stati emotivi dei personaggi sono stati tanti, come il gioco di luci ed ombre o delle angolazioni di ripresa. Nessuno, salvo errore, aveva pensato al restringimento dello schermo con questa finalità: un’idea semplicemente geniale. Splendida e toccante è l’immagine in cui il giovane apre letteralmente con le mani i margini laterali dello schermo, riempiendosi di luce che spande un’atmosfera rilassata e piena di affettività. Schermo che, seguendo l’andamento tonale della storia, resterà ristretto per gran parte del racconto.
Ovvio che in un film di questo tipo sia essenziale una prova di elevato spessore degli attori, cosa perfettamente riuscita (ed assistita nella versione italiana da un doppiaggio all’altezza, tenuto conto della difficoltà dei dialoghi).
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zarar
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martedì 6 gennaio 2015
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grande regia
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Diane Després (Anne Dorval), un po’ sfrontata, un po’ indifesa, improbabile in un abbigliamento per cui non ha più l’età, in guardia verso un mondo ostile, irrompe aggressivamente sulla scena quando la direttrice di una scuola/collegio di recupero le riconsegna il figlio adolescente Steve (Antoine Pilon), che ha tentato di dar fuoco alla mensa, ustionando seriamente un suo compagno. Alla madre viene consigliato di internare il figlio psichicamente disturbato, approfittando di una legge ad hoc. Lei, che nel recupero aveva sperato, rifiuta violentemente l’ ipotesi della malattia mentale e dell’internamento e, nonostante sia sola, con problemi economici e tutt’altro che sicura di ciò che l’aspetta, riprende in casa il figlio che ama e che la ama.
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Diane Després (Anne Dorval), un po’ sfrontata, un po’ indifesa, improbabile in un abbigliamento per cui non ha più l’età, in guardia verso un mondo ostile, irrompe aggressivamente sulla scena quando la direttrice di una scuola/collegio di recupero le riconsegna il figlio adolescente Steve (Antoine Pilon), che ha tentato di dar fuoco alla mensa, ustionando seriamente un suo compagno. Alla madre viene consigliato di internare il figlio psichicamente disturbato, approfittando di una legge ad hoc. Lei, che nel recupero aveva sperato, rifiuta violentemente l’ ipotesi della malattia mentale e dell’internamento e, nonostante sia sola, con problemi economici e tutt’altro che sicura di ciò che l’aspetta, riprende in casa il figlio che ama e che la ama. Tutto il film ruota intorno alla discesa negli inferi che è questa convivenza, nella quale entra casualmente un terzo elemento, la vicina Kyla (Suzanne Clement), un'insegnante che, per aver vissuto sulla sua pelle la perdita di un figlio, vicenda che l’ha resa balbuziente e profondamente smarrita, è sensible al dramma dei due e cerca di aiutarli e di ‘aiutarsi’ a sua volta. Perché Steve può essere infantilmente tenero e affettuoso, ma sulla serietà del suo disturbo non possiamo avere dubbi: non solo ha una totale indifferenza alle norme sociali e una pericolosa mancanza di controllo, ma ogni piccolo o grande stress gli provoca accessi di ribellione violenta, aggressività estrema verso altri, fino all’autolesionismo distruttivo. Consumata dal vivere sull’onda della paura di quello che può succedere da un momento all’altro, spezzata da un tentativo di suicidio di Steve e disperata sulla possibilità di sognare un futuro ‘normale’ per il figlio e per sé, la madre decide alla fine per l’internamento forzato. Incapace di sopportare il peso di questa decisione, la rimuove psicologicamente, trasformandola in improbabile speranza di una cura. Il film si chiude su una fuga di Steve, proiettata verso il nulla. Il film è un pugno nello stomaco senza compassione per lo spettatore, che comanda attenzione e fa riflettere. Con tecniche che, pensando al figurativo, definirei di pop art, usando e mescolando di tutto (il particolare estetizzante e il trash, l’approccio mass-mediatico e quello tradizionale, l’iperrealistico e l’onirico, il classico e la canzonetta, la manipolazione anarchica volutamente straniante di piani, inquadrature, movimenti e fermo-immagine, e persino delle dimensioni dello schermo, da un suo claustrofobico restringimento fino alle dimensioni usuali), il film ci sbatte addosso con grande e spiazzante verità artistica il delirio di una scommessa impossibile, il suo gravare solo sui diretti interessati nell’indifferenza generale (lo schermo quadrato che imprigiona i loro corpi o primi e primissimi piani…), la sua discontinuità e imprevedibilità, l’urlo alla Munch di una situazione senza uscita. Ma fa pensare anche in maniera inedita ai confini labili tra questa storia speciale e il suo sfondo presunto normale, a una certa cultura antropologica, in cui convivono oggi e si intrecciano un ‘normale’ degradato e impoverito e forme di protesta drammaticamente autodistruttive. E fa pensare ad una nuova dimensione del rapporto/conflitto generazionale, in cui tutte e due le parti sono fragili e prive di certezze, e si aggrappano all’amore, ma come nel pop triste di Lana del Rey , ‘a volte l’amore non basta’. Grande il regista.
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boffese
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giovedì 14 maggio 2015
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finalmente dolan
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Xavier Dolan alla quinta pellicola , finalmente esce in italia e lo fa con un film maturo e artisticamente sopra le righe, il miglior film dell 'anno.
Buona sceneggiatura basata su un ottimo soggetto , Mommy regala emozioni sonore e visive ad ogni inquadratura.
Dolan ragazzo canadese , giovane e capace , eccede a tratti nel voler far vedere quello che sa fare , ma tutto gli riesce a meraviglia a partire dalla scelta di fare piu di meta' film con un formato 1:1 , come a voler ingabbiare tutta la tristezza dei personaggi con lo sguardo dello spettatore fissato su di loro.
Le due attrici sono fenomenali, Anne Dorval e Suzanne Clement ormai cardini fissi di ogni film di Dolan , regalano performance da brividi.
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Xavier Dolan alla quinta pellicola , finalmente esce in italia e lo fa con un film maturo e artisticamente sopra le righe, il miglior film dell 'anno.
Buona sceneggiatura basata su un ottimo soggetto , Mommy regala emozioni sonore e visive ad ogni inquadratura.
Dolan ragazzo canadese , giovane e capace , eccede a tratti nel voler far vedere quello che sa fare , ma tutto gli riesce a meraviglia a partire dalla scelta di fare piu di meta' film con un formato 1:1 , come a voler ingabbiare tutta la tristezza dei personaggi con lo sguardo dello spettatore fissato su di loro.
Le due attrici sono fenomenali, Anne Dorval e Suzanne Clement ormai cardini fissi di ogni film di Dolan , regalano performance da brividi.
Bravo anche il giovanissimo Pilon alla sua prima apparizione nel grande schermo , in una prova difficilissima per un attore alle prime armi.
Da pelle d'oca i due momenti del film stile videoclip con le musiche di Wonderwall degli Oasis e Experience di Ludovico Einaudi.
Bella anche la connessione con le altre musiche dance o commerciali , che riesce sempre a farle filare bene in quel contesto.
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lella sabadini
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giovedì 21 maggio 2015
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un autentico ed emozionante capolavoro
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Sono rimasta basita leggendo su questo film recensioni di critici accreditati su importanti quotidiani che utilizzano termini tipo melo', commedia, videoclip,o addirittura "fondamentalmente divertente".
Nella sala dove ho visto il film c'era un silenzio denso di tensione ed emozione e quando si sono accese le luci molte persone sono rimaste sedute quasi a voler raccogliere i pensieri e metabolizzare quanto avevano visto.Il rapporto madre e figlio è difficilissimo e straziante fin dall'inizio nella mutua anche se inconscia consapevolezza che non ci sarà un futuro sereno per loro.Infatti , oltre all'amore, è la paura l'altro sentimento sempre presente.
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Sono rimasta basita leggendo su questo film recensioni di critici accreditati su importanti quotidiani che utilizzano termini tipo melo', commedia, videoclip,o addirittura "fondamentalmente divertente".
Nella sala dove ho visto il film c'era un silenzio denso di tensione ed emozione e quando si sono accese le luci molte persone sono rimaste sedute quasi a voler raccogliere i pensieri e metabolizzare quanto avevano visto.Il rapporto madre e figlio è difficilissimo e straziante fin dall'inizio nella mutua anche se inconscia consapevolezza che non ci sarà un futuro sereno per loro.Infatti , oltre all'amore, è la paura l'altro sentimento sempre presente.
La paura di Steve che la madre lo amerà sempre di meno e lo dimenticherà mentre lui non smetterà mai di viverla al centro della sua vita e di prendersi cura di lei. La paura di Diane che da un momento all'altro possa esplodere la violenza incontrollabile di Steve che si scatena in modo imprevedibile In un crescendo di insulti e aggressioni fisiche l'attaccamento di Steve si fa sempre più morboso e violento e l'amore e la dedizione di Diane vengono messe a dura prova.Forse perchè donna e madre non sono riuscita a non immedesimarmi in lei e a non ricordare il senso di frustrazione che tutti i genitori almeno qualche volta nella vita provano nel tentativo di "inquadrare" un figlio che mal sopporta le regole della società . L'immedesimarsi della madre nel dolore e nel senso di prigionia provato dal figlio si mescola costantemente col senso di colpa, di frustrazione e di inadeguatezza per i continui fallimenti dopo gli innumerevoli tentativi e la consapevolezza che l'amore non sia sufficiente e che lei stia sprecando tempo ed energie per una causa persa
L'amicizia che si crea fra Kyle, borghese nell'abbigliamento e nel comportamento e riservata quanto Diane è sfrontata e sopra le righe, è una storia nella storia nella quale le due donne condividono gioia e dolore nel comune amore per Steve e nella preoccupazione per il suo destino. Le sequenze in cui in bicicletta seguono sorridenti uno Steve che si muove felice in libertà quasi volando sullo skate fanno da contralto a quella indimenticabile in cui lo trascinano semisvenuto dopo il tentativo di suicidio; Il soffermarsi del regista sulla scena dilatandone i tempi invita lo spettatore a cogliere nelle loro espressioni la solidarietà il dolore e la determinazione tra l'indifferenza generale , in una specie di moderna Pietà.
Le figure maschili escono malconce dal quadro generale, dominate o dall'indifferenza (il marito di Kyle) o dal tentativo di sfruttare la situazione (l'amico avvocato ).
La recitazione della protagonista è semplicemente insuperabile : il suo tentativo di accettare con gioia la partenza della sua unica amica ( che non le aveva perdonato la scelta fatta come si può intuire dalle tapparelle abbassate) e poi quello di non piangere e il ripetere più che altro per convincere se stessa."esco vincente su tutta la linea" ci regalano momenti indimenticabili.
E questo avviene proprio mentre Diane sta invece per affrontare la perdita più tremenda. Forse il fatto di non aver risposto al telefono può aver scatenato nell'imprevedibile Steve il desiderio di lanciarsi dalla finestra in fondo al corridoio anche se il finale resta aperto.
Forse sarebbe morto comunque prematuramente in qualche rissa o scontro a fuoco ma certo è che il rimorso e il senso di colpa dei Diane saranno poi terribili e insostenibili.
Indimenticabile il primo piano sfocato di Steve che corre verso quella libertà di essere se stesso e sciegliere per se stesso che, oramai ne è convinto, nella vita non gli sarà mai concessa.
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eugenio
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venerdì 24 luglio 2015
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un mondo senza speranza pieno di persone che spera
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Siamo nel Quebec, in un futuro prossimo. Sin dalle prime scene, capiamo che è stato approvata dallo stato una discutibile legge, tal S-14, che consente ai parenti di minori difficili, in caso di emergenza, di effettuare un ricovero coatto presso un istituto psichiatrico.
Diane e il figlio Steve, due volti per una storia concitata dalle tinte drammatiche.
Due estranei, diversi, genuini, veri. Lei single vedova, spirito anticonformista, acconciata come la vecchia imbellettata pirandelliana, tragressiva, maschera di una bellezza che non riconosce svanire. Lui malato, affetto da “calo d’attenzione”, iperattivo, legato quasi da un amore narciso nei confronti della madre cui è stato affidato dopo la morte del padre.
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Siamo nel Quebec, in un futuro prossimo. Sin dalle prime scene, capiamo che è stato approvata dallo stato una discutibile legge, tal S-14, che consente ai parenti di minori difficili, in caso di emergenza, di effettuare un ricovero coatto presso un istituto psichiatrico.
Diane e il figlio Steve, due volti per una storia concitata dalle tinte drammatiche.
Due estranei, diversi, genuini, veri. Lei single vedova, spirito anticonformista, acconciata come la vecchia imbellettata pirandelliana, tragressiva, maschera di una bellezza che non riconosce svanire. Lui malato, affetto da “calo d’attenzione”, iperattivo, legato quasi da un amore narciso nei confronti della madre cui è stato affidato dopo la morte del padre.
Steve, ecco il suo nome, è un quindicenne violento la cui arma di rivalsa sembra essere proprio questa sensazione di sopraffazione con la quale cerca di scuotere, distruggere ogni cosa che pare bloccare il suo “amore” verso la madre nei confronti di chiunque. Lo vediamo in un istituto dove a seguito dell’ennesima lite e dell’atto violento, ha dato fuoco all'attrezzatura della sala mensa, causando gravi bruciature al viso di un compagno.
La madre non ha scelta, deve riprenderselo anche se questo potrebbe provocarle non pochi problemi alla propria incolumità considerando lo scarso equilibrio lavorativo della donna.
Tra crisi nei supermercati, comportamenti infantili, tragressione e tanta voglia di andare avanti, nella vita di Diane e Steve si insinua Kyle, la nuova vicina balbuziente e remissiva, ex insegnante che ha chiesto un anno sabbatico a seguito di un profondo trauma che l’ha segnata e il cui ingresso nella vita del “duo” segnerà in modo assai importante la vita di Steve e non solo.
Sarà quello con la giovane professoressa l’inizio prima di una convivenza forzata poi tutto sommato sempre più nitida, fluida, complementare al rapporto conflittuale tra madre e figlio. Una donna che con la sua timida voce provocherà necessariamente una crasi emotiva nel giovane disadattato. Giochi di relazioni, ecco quelli che sono riassunti in “Mommy” e che vedranno una sorta di “raddoppio della figura materna” con Kyle che a sua volta proietterà su Steve le sue dinamiche di desiderio materno e i suoi lutti oltre che la sua ritrovata capacità nell’insegnamento.
In questo “triangolo” borderline, in questo gioco di specchi dove i rapporti confusi, difficili, violenti, si tramutano in una potentissima metafora della speranza e della capacità di lottare di una famiglia già segnata, Xavier Dolan il regista, giovane, dal talento mostruoso, con un compiacimento simile a Tarantino nel pulp, gioca con i sentimenti del pubblico ribaltandoli come calzini svuotati, annegandoli in un mare di lacrime con abusati rallenty prima e con scene intinte di ridicolo e grottesco dopo.
L’innovazione e l’istrionismo nella bellezza anche di un formato anomalo nella produzione cinematografica che fa uso di un 4:3 ridotto rende “Mommy” un prodotto innovativo nel suo genere. Costringe lo spettatore a vedere non più di un personaggio per volta, lo inserisce all’interno della claustrofobica angoscia del ragazzo e della madre, lo libera apparentemente da questa situazione solo “in condizioni serene” con scene classicamente “americane” ma dosate di una fotografia calda e un istrionismo non indifferente specchiato bene dal giovane Steve.
E’ un rapporto confittuale carico di una forza impulsiva destinata a mostrarsi con diversi climax (studiati) come la danza quasi sessuale tra madre e figlio (truccato da donna), l’atto di chiusura delle labbra fortemente erotico del figlio nei confronti della madre, la lunga corsa con il carrello senza suono scelta appositamente per esacerbare il desiderio di libertà del giovane. Per non dimenticare poi scene di vita quotidiana apparentemente normali ai nostri occhi ma foriere alla schizofrenica vita del duo.
Nella dicotomia bene/male in cui coloro che mettono apparentemente a rischio l’amore della madre alimentano la gelosia di Steve (come l’avvocato che avrebbe dovuto difendere il giovane dalle pesanti accuse di incendio) , si insinua il forte impatto emozionale delle sensazioni umane pietistiche, volutamente rallentate a simboleggiare quasi l’urlo muto dell’illusorietà della felicità.
Picchia duro il film di Dolan ma senza colpi bassi. Mai prevedibile, genuino a tratti nelle reazioni quasi vere (con l’apice della scena del karaoke sapientemente costruita con un “Vivo per lei” alla Bocelli), discretamente doppiato, “Mommy” rappresenta una vicenda apparentemente lontana per i poli costitutivi: remissiva per Kyle, esuberante per Diane, ambigua per Steve ma carica di speranza come sottolineato in una frase finale da Diane.
Quella speranza che pochi sanno inventare e che lo stesso cineasta riassume con questa frase: “"Siamo in un mondo senza speranza, ma pieno di persone che sperano". Come Diane, come Steve più di tutti.
Pollice alto.
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howlingfantod
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sabato 1 agosto 2015
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sfrontato, libero, dirompente
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Un film che entra lentamente dentro come l affilatissima lama di un coltello, lancinante e con un dolore che non si avverte quasi come il lieve tocco della punta della sua lama. All’ inizio sembra il solito stilema di film su grandi traumi elaborati o meno, ma il suo taglio è originale, senz’altro autoriale, soprattutto la scelta di attori caratteristi, la mamma e il figlio Steve, poi la lama entra ed esce e ci sono delle cadute nella tensione e nello stile, sarebbe bastato molto meno e la sola forza di alcune scene illuminanti a farne un capolavoro assoluto che invece rischia di perdersi in troppe lungaggini benchè mai sbracando nel melo’. Facile mostrare lo spiazzante, la malattia, ma va trattata con cura, in alcuni casi viene fatto invece più in maniera rapsodica, episodica come forse un film deve fare per smuovere le coscienze, il bacio di Steve alla mamma, le scene di violenza fanno questo, qual’è la forma dell’amore, o il suo confine, questo il borderline Steve (comodo catalogarlo così) ci chiede? Gli spazi e gli intervalli fra questi episodi potrebbero essere semplicemente tagliati o comunque si sente come un bisogno di maggiore di una maggiore sintesi.
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Un film che entra lentamente dentro come l affilatissima lama di un coltello, lancinante e con un dolore che non si avverte quasi come il lieve tocco della punta della sua lama. All’ inizio sembra il solito stilema di film su grandi traumi elaborati o meno, ma il suo taglio è originale, senz’altro autoriale, soprattutto la scelta di attori caratteristi, la mamma e il figlio Steve, poi la lama entra ed esce e ci sono delle cadute nella tensione e nello stile, sarebbe bastato molto meno e la sola forza di alcune scene illuminanti a farne un capolavoro assoluto che invece rischia di perdersi in troppe lungaggini benchè mai sbracando nel melo’. Facile mostrare lo spiazzante, la malattia, ma va trattata con cura, in alcuni casi viene fatto invece più in maniera rapsodica, episodica come forse un film deve fare per smuovere le coscienze, il bacio di Steve alla mamma, le scene di violenza fanno questo, qual’è la forma dell’amore, o il suo confine, questo il borderline Steve (comodo catalogarlo così) ci chiede? Gli spazi e gli intervalli fra questi episodi potrebbero essere semplicemente tagliati o comunque si sente come un bisogno di maggiore di una maggiore sintesi. Finale aperto come in ogni grande film. La colonna sonora fa il resto anche un po’ troppo ruffianamente, scusate le critiche la verità è che un film di una intensità emotiva come questa, benché con alcune incertezze stilistiche (rapsodiche?) vorrebbe averlo fatto chiunque di noi.
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aristoteles
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martedì 11 agosto 2015
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dolce tosta mommy
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Il regista racconta una splendida storia d'amore familiare , attraverso personaggi multiproblematici ,complessi, ma allo stesso tempo fragili e teneri.
Il linguaggio dei protagonisti non sfiora ma il melenso ,anzi talvolta si propone come lama tagliente nel petto delle educande,ma riesce a non scadere nel volgare.
Madre , figlio e una vicina di casa finiscono per formare un originale nucleo familiare comlpletandosi a vicenda.
Ogni personaggio infatti non vive di luce propria, ma necessita degli altri due, anche se per ragioni completamente differenti.
Questo meraviglioso intreccio è la spina dorsale della pellicola.
La storia scorre abbastanza bene ,anche se in alcune scene si percepisce uno strana sensazione di deja vu,sia nelle immagini che nei testi.
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Il regista racconta una splendida storia d'amore familiare , attraverso personaggi multiproblematici ,complessi, ma allo stesso tempo fragili e teneri.
Il linguaggio dei protagonisti non sfiora ma il melenso ,anzi talvolta si propone come lama tagliente nel petto delle educande,ma riesce a non scadere nel volgare.
Madre , figlio e una vicina di casa finiscono per formare un originale nucleo familiare comlpletandosi a vicenda.
Ogni personaggio infatti non vive di luce propria, ma necessita degli altri due, anche se per ragioni completamente differenti.
Questo meraviglioso intreccio è la spina dorsale della pellicola.
La storia scorre abbastanza bene ,anche se in alcune scene si percepisce uno strana sensazione di deja vu,sia nelle immagini che nei testi.
Lo schermo si allarga e si restringe a seconda degli stati d'animo e dei momenti positivi,o meno,dei protagonisti,mostrandoci un gradito tocco di raffinatezza da parte del regista.
Gli attori sono bravissimi, sopratutto, a mio parere, la Dorval
Nella splendida scena del karaoke poi ,c'è anche un omaggio a Bocelli.
Non lo considero un capolavoro, ma un gran bel film di cui consiglio la visione.
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elmistico
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martedì 3 ottobre 2017
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il coraggio di una madre
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Toccante, delicato, mai esagerato e mai banale, una storia di vita, come ce ne sono tante nel mondo, ma raccontata e interpretata ,sia dal regista che dagli attori, così realisticamente e mi viene da dire così "naturalmente", da venire conpletamente risucchiati nel vortice di emozioni che la storia ha in sè. Le musiche che accompagnano le varie situazioni della storia, si integrano così bene, che capisci anche solo con la musica, lo stato d'animo che ti vuol far assorbire il regista in quel momento della storia.....e poi...il legame, che puo esserci tra una madre e un figlio....una madre che fino all'ultimo tenta di salvarlo, con i pochi mezzi a sua disposizione, che cerca poi di salvarlo, quando capisce che con lei non avrà futuro, ma non capendo che quel suo modo di salvarlo, sarà proprio invece la fine per suo figlio.
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Toccante, delicato, mai esagerato e mai banale, una storia di vita, come ce ne sono tante nel mondo, ma raccontata e interpretata ,sia dal regista che dagli attori, così realisticamente e mi viene da dire così "naturalmente", da venire conpletamente risucchiati nel vortice di emozioni che la storia ha in sè. Le musiche che accompagnano le varie situazioni della storia, si integrano così bene, che capisci anche solo con la musica, lo stato d'animo che ti vuol far assorbire il regista in quel momento della storia.....e poi...il legame, che puo esserci tra una madre e un figlio....una madre che fino all'ultimo tenta di salvarlo, con i pochi mezzi a sua disposizione, che cerca poi di salvarlo, quando capisce che con lei non avrà futuro, ma non capendo che quel suo modo di salvarlo, sarà proprio invece la fine per suo figlio.....
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