Mommy |
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Un film di Xavier Dolan.
Con Anne Dorval, Suzanne Clément, Antoine Olivier Pilonn, Patrick Huard.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 140 min.
- Francia, Canada 2014.
- Good Films
uscita giovedì 4 dicembre 2014.
MYMONETRO
Mommy
valutazione media:
3,83
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Grande regiadi ZararFeedback: 13464 | altri commenti e recensioni di Zarar |
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martedì 6 gennaio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Diane Després (Anne Dorval), un po’ sfrontata, un po’ indifesa, improbabile in un abbigliamento per cui non ha più l’età, in guardia verso un mondo ostile, irrompe aggressivamente sulla scena quando la direttrice di una scuola/collegio di recupero le riconsegna il figlio adolescente Steve (Antoine Pilon), che ha tentato di dar fuoco alla mensa, ustionando seriamente un suo compagno. Alla madre viene consigliato di internare il figlio psichicamente disturbato, approfittando di una legge ad hoc. Lei, che nel recupero aveva sperato, rifiuta violentemente l’ ipotesi della malattia mentale e dell’internamento e, nonostante sia sola, con problemi economici e tutt’altro che sicura di ciò che l’aspetta, riprende in casa il figlio che ama e che la ama. Tutto il film ruota intorno alla discesa negli inferi che è questa convivenza, nella quale entra casualmente un terzo elemento, la vicina Kyla (Suzanne Clement), un'insegnante che, per aver vissuto sulla sua pelle la perdita di un figlio, vicenda che l’ha resa balbuziente e profondamente smarrita, è sensible al dramma dei due e cerca di aiutarli e di ‘aiutarsi’ a sua volta. Perché Steve può essere infantilmente tenero e affettuoso, ma sulla serietà del suo disturbo non possiamo avere dubbi: non solo ha una totale indifferenza alle norme sociali e una pericolosa mancanza di controllo, ma ogni piccolo o grande stress gli provoca accessi di ribellione violenta, aggressività estrema verso altri, fino all’autolesionismo distruttivo. Consumata dal vivere sull’onda della paura di quello che può succedere da un momento all’altro, spezzata da un tentativo di suicidio di Steve e disperata sulla possibilità di sognare un futuro ‘normale’ per il figlio e per sé, la madre decide alla fine per l’internamento forzato. Incapace di sopportare il peso di questa decisione, la rimuove psicologicamente, trasformandola in improbabile speranza di una cura. Il film si chiude su una fuga di Steve, proiettata verso il nulla. Il film è un pugno nello stomaco senza compassione per lo spettatore, che comanda attenzione e fa riflettere. Con tecniche che, pensando al figurativo, definirei di pop art, usando e mescolando di tutto (il particolare estetizzante e il trash, l’approccio mass-mediatico e quello tradizionale, l’iperrealistico e l’onirico, il classico e la canzonetta, la manipolazione anarchica volutamente straniante di piani, inquadrature, movimenti e fermo-immagine, e persino delle dimensioni dello schermo, da un suo claustrofobico restringimento fino alle dimensioni usuali), il film ci sbatte addosso con grande e spiazzante verità artistica il delirio di una scommessa impossibile, il suo gravare solo sui diretti interessati nell’indifferenza generale (lo schermo quadrato che imprigiona i loro corpi o primi e primissimi piani…), la sua discontinuità e imprevedibilità, l’urlo alla Munch di una situazione senza uscita. Ma fa pensare anche in maniera inedita ai confini labili tra questa storia speciale e il suo sfondo presunto normale, a una certa cultura antropologica, in cui convivono oggi e si intrecciano un ‘normale’ degradato e impoverito e forme di protesta drammaticamente autodistruttive. E fa pensare ad una nuova dimensione del rapporto/conflitto generazionale, in cui tutte e due le parti sono fragili e prive di certezze, e si aggrappano all’amore, ma come nel pop triste di Lana del Rey , ‘a volte l’amore non basta’. Grande il regista.
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