veritasxxx
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lunedì 8 dicembre 2014
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di mamma ce n'è una sola...e a volte non basta
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Ecco a voi il film che vi farà pensare due volte prima di decidere di avere un figlio. Ebbene sì, perchè la vostra creatura potrebbe soffrire di deficit dell'attenzione, essere iperattivo, avere crisi di violenza incontrollata e insultare o dare fuoco ad ogni essere vivente che gli respira accanto fino a rendere la vostra vita un inferno. A questo aggiungete pure la sfiga di perdere il marito miliardario, aver speso tutto fino all'ultimo dollaro e ritrovarvi a fare le pulizie[+]
Ecco a voi il film che vi farà pensare due volte prima di decidere di avere un figlio. Ebbene sì, perchè la vostra creatura potrebbe soffrire di deficit dell'attenzione, essere iperattivo, avere crisi di violenza incontrollata e insultare o dare fuoco ad ogni essere vivente che gli respira accanto fino a rendere la vostra vita un inferno. A questo aggiungete pure la sfiga di perdere il marito miliardario, aver speso tutto fino all'ultimo dollaro e ritrovarvi a fare le pulizie per sopravvivere, ed ecco che la sceneggiatura di Mommy comincia a prendere forma.
Il film vede una grande interpretazione della madre Diane (Anne Dorval nella parte della donna volgare e senza un'istruzione che cerca di fare del suo meglio per rimettere il figlio sulla buona strada) e dell'irrequieto Steve (Antoine-Olivier Pilon, esilarante nelle sue smorfie da adolescente disturbato che non riesce a stare quieto cinque minuti e fare quello che la società si aspetta da lui). In questo drammatico contesto compare fortunatamente Kyla (Suzanne Clément), vicina di casa non meno problematica, affetta da una grave balbuzie in seguito alla perdita di un figlio, la quale ritrova nella strana coppia di vicini il piacere dell'amicizia e dello stare in compagnia. Cercherà di aiutare Steve dandogli ripetizioni, e tutto sembrerà rimettersi a posto, incluso lo schermo che si allargherà fino a ricoprire un più usuale formato 16:9 dopo essere stato intrappolato, fino a quel momento, in un angusto rettangolo in stile ripresa fatta col telefonino.
Questa scelta si rivela una trovata originale e cinematograficamente riuscita: un'immagine verticale mette decisamente più in risalto i singoli personaggi rispetto all'ambiente in cui si trovano, e per tutto il film sono le vite dei tre protagonisti a catturarci, quasi osservate di nascosto dal buco della serratura. Quando il quadro si allarga anche la tensione sembra allentarsi, per poi restringersi nuovamente quando la cruda realtà picchia forte e non dà speranza. Il finale è piuttosto confuso e la successione logica degli eventi si perde un po', tra il sogno di ciò che potrebbe essere e che invece non sarà. Ma anche la realtà sembra un sogno, e a molte madri sembrerà solo un incubo l'idea di abbandonare il proprio unico figlio e farlo rinchiudere in un manicomio con tanto di camicia di forza. State comunque tranquille, donne: la fantomatica legge S-15 nominata nei titoli di apertura, che permette ai genitori di affidare i figli violenti a strutture-prigione, non verrà mai approvata qui da noi, perché i soldi della regione se li è rubati tutti la mafia. Ma confessate: ci avevate sperato per un attimo, veh?
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francirano
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sabato 24 ottobre 2015
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un bagno nella mediocrità
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La nomea del film è completamente esagerata. La pellica resta e rimane un film dotato di una storia interessante, ma che viene giocata su toni che definire "americani" parrebbe riduttivo.
La scena in cui il protagonista, poi, va sullo skateboard ascoltando la musica e lievita quasi come il genio autistico di Shine rasenta l'inguardabile.
Visto in lingua originale, oltretutto, quindi neanche si possa dire sia colpa del doppiaggio.
Insomma, un pasticcio che mischia la madre di Erin Brochovic con il figlio disadattato visto in tanti film. I riconoscimenti che gli sono stati attribuiti paiono il chiaro (parlo dal lato francese della frontiera) omaggio alla politica dei soliti noti, delle mani strette e dei grossi sorrisi.
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La nomea del film è completamente esagerata. La pellica resta e rimane un film dotato di una storia interessante, ma che viene giocata su toni che definire "americani" parrebbe riduttivo.
La scena in cui il protagonista, poi, va sullo skateboard ascoltando la musica e lievita quasi come il genio autistico di Shine rasenta l'inguardabile.
Visto in lingua originale, oltretutto, quindi neanche si possa dire sia colpa del doppiaggio.
Insomma, un pasticcio che mischia la madre di Erin Brochovic con il figlio disadattato visto in tanti film. I riconoscimenti che gli sono stati attribuiti paiono il chiaro (parlo dal lato francese della frontiera) omaggio alla politica dei soliti noti, delle mani strette e dei grossi sorrisi. Solo cosi' è spiegabile il successo che la pellicola ha avuto a Cannes. Se l'autore non fosse spinto da tutti i media possibili ed immaginabili, il film resterebbe a bagno nella sua giusta e legittima mediocrità.
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johnny1988
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lunedì 8 dicembre 2014
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che fatica essere madre!
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Un applauso alla Good Films e alla famiglia Agnelli, che oltre al business si concede il lusso di portare un raggio di luce nelle nostre sale, a riconferma che non bisogna passare per forza attraverso le maglie di Medusa, Rai - da un lato - e di Fandango, Bim, 01 - dall'altro. Perché, "d'accordo l'essai, ma che tiri su dei soldi, anche!" è una formula da cui neanche le distribuzioni rivolte alle nicchie si discosta, in fin dei conti.
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Un applauso alla Good Films e alla famiglia Agnelli, che oltre al business si concede il lusso di portare un raggio di luce nelle nostre sale, a riconferma che non bisogna passare per forza attraverso le maglie di Medusa, Rai - da un lato - e di Fandango, Bim, 01 - dall'altro. Perché, "d'accordo l'essai, ma che tiri su dei soldi, anche!" è una formula da cui neanche le distribuzioni rivolte alle nicchie si discosta, in fin dei conti. Dolan, canadese venticinquenne, gay dichiarato, figlio di attore affermato, raccoglitore di premi a Cannes da 5 anni consecutivi, è un nome ai più sconosciuto, in Italia, capace di dimostrare che non per forza essere raccomandati è sinonimo di cattiva qualità. “Tom a la ferme” si è rivelato un primo passo per vincere il muro delle distribuzioni da noi. Troppo giovane per scommetterci sopra, troppe poche facce note? O forse troppo poco riscontro al box office? Sono poche le domande plausibili. Eppure le carte per circolare in Francia e in altri paesi d'Europa, Dolan le ha. Probabilmente per un diverso approccio culturale, amministrativo, chissà. Invece titoli come “Melbourne”, “Viviane”, “Boyhood”, “Sils Maria” girano eccome da noi. Forse i prezzi sulle pellicole canadesi non sono così allettanti. Quindi perché "Mommy" dovrebbe trasgredire la regola? Guarda caso quest'ultimo è anche il primo lavoro del regista in cui il tema dell'omosessualità - tema a lui caro - non viene sfiorato. In effetti, in Italia siamo un po' di parte: abbiamo distribuito “Brokeback Mountain” - che i soldi li ha fatti ovunque – ma siamo andati a vederlo al cinema, un po' per gli attori, un po' di nascosto. Dolan racconta sia per il gusto genuino di raccontare relazioni intime, sia per esorcizzare il proprio vissuto, delegando a noi una domanda cruciale: “Al posto di quella madre, come mi comporterei?”. In un immaginario 2015, il governo canadese abrogherebbe una legge tale per cui figli portatori di disturbi mentali possono essere affidati ad istituti dai genitori, senza il vaglio di procedure legali. La vicenda gravita intorno a un ragazzo iperattivo e una madre “sbarba”, entrambi vittime perdenti – lui di una sindrome mentale, lei quella di Peter Pan – e uniti da un legame troppo instabile da non corrodersi irreparabilmente. A transitare nelle vite dei due, come elemento di equilibrio, è la vicina balbuziente, di cui non possiamo sapere molto. Non pare importante la questione del background dei personaggi, mentre lo è l'esposizione dei fatti, soprattutto come ci vengono mostrati. Dolan dimostra non solo di saper scrivere – lui stesso è sceneggiatore dei suoi film – o di dirigere – gli attori non hanno nulla da invidiare ai più grandi nomi e non devono nemmeno mettere su chili o perderne per dimostrare qualità espressive – ma anche di saper giocare, sebbene un po' narcisisticamente, con le possibilità del campo-fuori campo, a servizio completo del dramma: Steve, in un brano di spensierata felicità, apre letteralmente le quinte dell'immagine, restituendoci il formato ampio dei 16:9. Un carcerario formato 1:1 è una scelta ardimentosa da proporre a un pubblico contemporaneo già disabituato anche ai 4:3 di un tempo. Dolan si rivela, appieno, un autore coraggioso e abbastanza lucido da reggere il confronto con opere di colleghi più grandi, sebbene emergano ingenuità narrative qua e là, ma va giustamente premiato il suo coraggio, così come andrebbe compreso quello del personaggio di Mommy, prigioniera dell'amore che nutre per il figlio.
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tassozero
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lunedì 15 dicembre 2014
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film fantasma
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Pur apprezzando la bravura degli attori, perfettamente immedesimati nei loro ruoli, ed anche la bravura del regista che costruisce una storia su pochi elementi, non condivido l'entusiasmo per questo film. Il motivo è che ha una metafora di base. Racconta una storia avvolta su se stessa senza riuscire a trasformare le immagini in un messaggio universale: ti prende sino a quando sei seduto sulla poltrona del cinema, ma una volta uscito rimane ben poco, adrenalina visiva destinata a sparire nel giro di pochi minuti che non si trasforma in riflessione o desiderio di parlarne con te stesso o con altri. la scelta iniziale di trasferire l'accaduto nel futuro per quanto prossimo rende impossibile l'attualizzazione e toglie credibilità alla storia, senza considerare che proprio la fantascienza, quella sociologica in particolare, è portatrice di proposte di visioni collettive e quindi non congeniale al tipo di film.
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