mauridal
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domenica 1 marzo 2015
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un piccione tormentato
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QUANDO un piccione seduto su di un ramo riflette sull'esistenza non sua “,naturalmente” ma di tutta l'umanità che osserva sotto i propri occhi ,viene da chiedersi se la stessa umanità stia riflettendo abbastanza sul mondo intero piccioni compresi.
Il regista Andersson , è altresì evidente che “,naturalmente” si è posto il problema , e con tutta evidenza questo film racconta il risultato di questi pensieri, perchè sia chiaro, questo film parla alla testa ,ed in tempi di cinema e non solo , che parla invece alla pancia , risulta difficile per tutti gli spettatori , seguirne il filo.
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QUANDO un piccione seduto su di un ramo riflette sull'esistenza non sua “,naturalmente” ma di tutta l'umanità che osserva sotto i propri occhi ,viene da chiedersi se la stessa umanità stia riflettendo abbastanza sul mondo intero piccioni compresi.
Il regista Andersson , è altresì evidente che “,naturalmente” si è posto il problema , e con tutta evidenza questo film racconta il risultato di questi pensieri, perchè sia chiaro, questo film parla alla testa ,ed in tempi di cinema e non solo , che parla invece alla pancia , risulta difficile per tutti gli spettatori , seguirne il filo. Ma alla fine su cosa vuole, meditare , malgrado il pubblico , questo film. Ecco, la riflessione ,mia alla stregua del piccione , non è tanto sulla vita, ma è esattamente l'opposto, è sulla non- esistenza ovvero sulla morte . Le sequenze di scene sulla casualità della vita e della morte di persone intente nelle attività più banali e comuni ci suggeriscono che tutto ruota su un gioco dell'esistere che in fondo è fine a se stesso, e gran parte del film segue questa logica della casualità del banale o addirittura della banalità dell'esistere. Tuttavia seguiamo l'esistenza di personaggi che vivono a loro modo questa banalità come i due amici tristi e piagnucolosi che con infinita tristezza si occupano di vendere scherzi di carnevale, la famosa maschera di zio Dentone e i denti di dracula, che nessuno vuole e che semmai venduti non renderanno un soldo. Oppure l'uomo che muore prima di una mancata cena già pagata al bar. Tema, questo del bar ricorrente , tra gli altri, che si evidenzia come un lungo spazio interno , scena immobile che fa da sfondo ad una specie di umanità che si accontenta del bicchierino per sopravvivere. Addirittura Andersson ci fa rivivere una scena degli anni 40 dove nel bar della signora zoppa e anche vogliosa, il bicchierino di liquore viene regalato agli uomini ,soldati,marinai, che ,pagano baciando la padrona . Ancora nel bar di una moderna scandinavia , che irrompe un giovane imperatore Carlo XII a cavallo che chiede un bicchiere d'acqua frizzante , mentre tutto il suo esercito sfila sullo sfondo ,dietro le vetrate del bar . Scena che richiama Bunuel e i suoi animali in camera da letto. Ma di citazioni il film è pieno come quando lo stesso esercito ritorna dalla battaglia sconfitto e notiamo tra le fila un gruppo di mendicanti preso pari dalla parabola dei ciechi di Brueghel. Un film nordico di ambientazione e di colore , una fotografia grigia e beige pallido come i colori dei volti dei personaggi che si ripetono al cellulare , la stessa identica frase sullo stare bene, nel sentire che l'altro dica di stare bene. Dunque una monotonia e una alienazione del vivere sempre sull'orlo del suicidio, tranne l'unica speranza di vita in tutto il film , rappresentata da una giovane coppietta sdraiata sulla spiaggia che pomicia in presenza di un cane accucciato. La colonna sonora è degna della canzone triste cantata dal venditore di scherzi , ma insuperabile è la geniale pentolona girevole in cui viene fatta morire arrostita una intera tribù di negretti mentre si ascoltano le urla , alla presenza di un elegante pubblico notabile di vecchi signori e signore che brindano. Questa cinica visione della moderna civiltà occidentale fa il paio con la rappresentazione de l'homo sapiens , ovvero una scimmia con gli elettrodi in testa che ad ogni elettroshok emana suoni inascoltabili. Questo film è un' opera di cinema d'Autore che “naturalmente” non è nelle grazie del pubblico piccione seduto in poltrona. “naturalmente” il film è un tormentone.
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maurizio meres
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domenica 1 marzo 2015
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cento minuti di arte
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Cento minuti così dura il film ogni minuto un quadro surreale è come entrare in una galleria d'arte,con una accuratezza maniacale scenica con una fotografia superlativa ,colori uniformi pastello,scelta perfetta nella profondità di campo spesso in movimento,che rendono le varie scene un susseguirsi di forme ripetitive come una giostra che gira "la partenza della guerra e il ritorno"in questo film si possono rivedere le tematiche dei grandi capolavori del surrealismo delle prima metà del novecento ,figure goffe espressioni spente e sempre incredule ,ambientazioni irreali ,arredamenti squallidi ma essenziali.
Sicuramente una nova idea di fare film ,ma difficilmente realizzabile per il difficile impatto sul pubblico non ci dimentichiamo le difficoltà di Pasolini ,Jodorowski .
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Cento minuti così dura il film ogni minuto un quadro surreale è come entrare in una galleria d'arte,con una accuratezza maniacale scenica con una fotografia superlativa ,colori uniformi pastello,scelta perfetta nella profondità di campo spesso in movimento,che rendono le varie scene un susseguirsi di forme ripetitive come una giostra che gira "la partenza della guerra e il ritorno"in questo film si possono rivedere le tematiche dei grandi capolavori del surrealismo delle prima metà del novecento ,figure goffe espressioni spente e sempre incredule ,ambientazioni irreali ,arredamenti squallidi ma essenziali.
Sicuramente una nova idea di fare film ,ma difficilmente realizzabile per il difficile impatto sul pubblico non ci dimentichiamo le difficoltà di Pasolini ,Jodorowski ....
Gli attori in questo film non ci sono ma rappresentano solo figure tristi annoiate stanchi forse di vivere ,in un quadro vivente fermi mentre intorno a loro il tempo inesorabilmente corre "oggi è mercoledì,non mi sembra mercoledì credevo che fosse giovedì "tristezza ,solitudine,viziosità nobiliari "vedere e ascoltare il lamento degli schiavi solo per non annoiarsi "
Bellissima la frase che fa riflette sul concetto di umanità "è giusto servirsi delle persone soltanto per il proprio piacere"
Il regista Addersson sicuramente una mente libera da qualsiasi influenza terrena non conforme al suo pensiero ,spero che si ripeti cinematograficamente.
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antonio tramontano
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sabato 5 settembre 2015
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dramma dal tocco scandinavo in veste di commedia
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Un piccione appollaiato su un altissimo ramo cede a Roy Andersson la sua visuale, quell’eccezionale posizione che permette all’artista di elevarsi quanto basta per descrivere, con le proprie capacità espressive, la commedia umana.
Ci troviamo in una Goteborg grigia e malinconica i cui ambienti, ricostruiti attraverso una precisa scelta scenografica, ospitano momenti della vita di tutti i giorni enfatizzandone spesso i lati più miseri e ridicoli, senza tralasciare, però, quelli più teneri e compassionevoli.
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Un piccione appollaiato su un altissimo ramo cede a Roy Andersson la sua visuale, quell’eccezionale posizione che permette all’artista di elevarsi quanto basta per descrivere, con le proprie capacità espressive, la commedia umana.
Ci troviamo in una Goteborg grigia e malinconica i cui ambienti, ricostruiti attraverso una precisa scelta scenografica, ospitano momenti della vita di tutti i giorni enfatizzandone spesso i lati più miseri e ridicoli, senza tralasciare, però, quelli più teneri e compassionevoli. I personaggi si muovono all’interno di 39 piani-sequenza fissi, quadri cinematografici sui quali si focalizza l’attenzione dello spettatore alla ricerca di una comprensione più definita che, in mancanza di una sceneggiatura canonica, può realizzarsi attraverso l’osservazione delle sole immagini.
La tematica dell’assurdo, che pervade l’intera opera, è affrontata con una notevole dose di ironia, il ritratto dell’essere umano disegnato dal regista esprime tutta la fragilità e debolezza nei confronti di limiti insuperabili quali la morte e l’impossibilità di comprendere un senso. Non mancano elementi surreali, di cui Andersson, in alcune scene, si serve per esternare la propria etica umanitaria, emettendo un giudizio abbastanza netto sull’idiozia e la mancanza di senso che influenzano molte azioni umane. Le convenzioni sociali sono rappresentate come mere maschere dietro cui celare il vuoto interiore e l’ipocrisia di un ottimismo ottuso.
Un dramma dal tocco scandinavo che indossa le vesti della commedia per attenuarne la matrice pessimistica,non disdegnando elementi di forte critica.
Ad uscire intatti dalla forza demolitrice dell’autore, restano valori universali come l’amore di coppia e l’amicizia, ma spesso, anche il piacere di pagare la bevanda con un bacio alla locandiera, può rivelarsi un gesto piacevole e consolatorio teso a colorare di bellezza i momenti prevalentemente grigi della vita.
Un capolavoro che ha meritato pienamente la vittoria del Leone d’oro alla Mostra di Venezia 2014, bastonato e (forse) incompreso da parte della critica troppo abituata ai tempi e ai canoni classici di un cinema di scarsa qualità.
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flyanto
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venerdì 20 febbraio 2015
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un viaggio attraverso la reale natura umana
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Film in cui si narra di due agenti di commercio di un campionario di oggetti formato da trucchi ed altri aggeggi ideati appositamente per celebrare varie festività e ricorrenze, i quali girano per la città proponendo la propria merce e venendo così a contatto con una molteplicità di individui e realtà.
Questa pellicola del regista svedese Roy Andersson è girata seguendo lo stesso metodo di molta filmografia dei paesi nordici, e cioè ricorrendo innanzitutto all'impiego della telecamera fissa e poi pervadendo tutta l'opera di uno spirito grottesco e surreale.Tutti i personaggi sembrano appartenere ad un'epoca ben distante dalla nostra contemporanea, risalente forse a circa 60/50 o 40 anni fa, ma comunque come se vi fosse una sospensione del tempo, unito poi in questo preciso contesto a svariati spostamenti temporali veri e propri risalenti addirittura o all'epoca napoleonica o a quella del secondo conflitto mondiale, per citarne solo due, e comunque i personaggi si muovono per la città e per i vari locali pubblici mettendo in evidenza gli aspetti dell'esistenza umana e di certe situazioni con le con seguenti reazioni che ne scaturiscono o di indifferenza, o di malvagità o di altruismo (assai meno frequente, però).
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Film in cui si narra di due agenti di commercio di un campionario di oggetti formato da trucchi ed altri aggeggi ideati appositamente per celebrare varie festività e ricorrenze, i quali girano per la città proponendo la propria merce e venendo così a contatto con una molteplicità di individui e realtà.
Questa pellicola del regista svedese Roy Andersson è girata seguendo lo stesso metodo di molta filmografia dei paesi nordici, e cioè ricorrendo innanzitutto all'impiego della telecamera fissa e poi pervadendo tutta l'opera di uno spirito grottesco e surreale.Tutti i personaggi sembrano appartenere ad un'epoca ben distante dalla nostra contemporanea, risalente forse a circa 60/50 o 40 anni fa, ma comunque come se vi fosse una sospensione del tempo, unito poi in questo preciso contesto a svariati spostamenti temporali veri e propri risalenti addirittura o all'epoca napoleonica o a quella del secondo conflitto mondiale, per citarne solo due, e comunque i personaggi si muovono per la città e per i vari locali pubblici mettendo in evidenza gli aspetti dell'esistenza umana e di certe situazioni con le con seguenti reazioni che ne scaturiscono o di indifferenza, o di malvagità o di altruismo (assai meno frequente, però). Quello che si evince da tutto ciò, in ogni caso, è la visione cupa e negativa che Andersson ha del mondo e soprattutto della natura umana in generale che egli reputa per lo più egoista e malvagia.
Il film ha vinto il Leone d'Oro all'ultimo Festival del cinema di Venezia ma sinceramente, a mio modesto parere, a me sembra assai sopravalutato e provvisto di un eccessivo andamento lento che, se da una parte ben si adatta alla fredda ironia tipica di molte opere cinematografiche nordiche, dall'altra ne appesantisce la resa, rendendola in conclusione per lo più noiosa.
Assolutamente non meritevole di tutte le lodi rivoltegli e soprattutto per gli appassionati di questo particolare genere.
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giulia cortella
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sabato 26 settembre 2015
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la salvezza nei simboli tra presente e passato.
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Il piccione è il simbolo della natura ed è l'unico che riesce a sopravvivere alla città moderna. Ripete il suo verso, e assiste, dall'alto di un ramo, allo scorrere quotidiano della vita che gli appare come un film, a cui poco si interessa. Esemplari della sua specie appaiono all’inizio, impagliati, all’occhio di anziani visitatori di un museo, in una vetrina demodé. Messaggio: l’uomo sa essere crudele e il film lo dimostrerà più volte. Ma è lui, il piccione, che dà il titolo al bel film di Andersson. Da un lato, dunque, la natura e il suo pennuto, dall'altra l'essere umano: gli esemplari di quest’ultima specie, che vive nel terzo millennio, appaiono con il viso coperto di cerone, emaciati, spenti, vecchi, lenti e appesantiti dal benessere o dalla vita che trascorrono senza slanci e sono grigi, come il piccione.
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Il piccione è il simbolo della natura ed è l'unico che riesce a sopravvivere alla città moderna. Ripete il suo verso, e assiste, dall'alto di un ramo, allo scorrere quotidiano della vita che gli appare come un film, a cui poco si interessa. Esemplari della sua specie appaiono all’inizio, impagliati, all’occhio di anziani visitatori di un museo, in una vetrina demodé. Messaggio: l’uomo sa essere crudele e il film lo dimostrerà più volte. Ma è lui, il piccione, che dà il titolo al bel film di Andersson. Da un lato, dunque, la natura e il suo pennuto, dall'altra l'essere umano: gli esemplari di quest’ultima specie, che vive nel terzo millennio, appaiono con il viso coperto di cerone, emaciati, spenti, vecchi, lenti e appesantiti dal benessere o dalla vita che trascorrono senza slanci e sono grigi, come il piccione. Sono maschere che recitano e non riescono a vivere: tra gli altri spiccano due rappresentanti di gadget carnevaleschi che incarnano l'impossibilità alla spensieratezza dell'uomo moderno. Tutti i personaggi del film sono usati come simboli dal regista e rimandano ad un concetto filosofico esistenzialista. L'umorismo è nel sentimento del contrario pirandelliano: la maschera che i due vendono non riesce a cancellare le preoccupazioni economiche, la tristezza e la depressione di chi si sente fallito ed è ormai alla fine della vita. Accanto alla coppia, un isolato capitano che aspetta un personaggio che mai giunge sulla scena, un Godot che ritarda, di beckettiana memoria. Il vecchio ammiraglio potrebbe cogliere qualche utile occasione, potrebbe, ad esempio, entrare di nuovo nel ristorante, dove il suo amico non è arrivato, e sedersi accanto ad una signora per consolarla di un triste amore non corrisposto, ma egli è sordo al richiamo della vita, è vecchio e vuole solo morire. E così via tutti gli altri personaggi che appaiono in ben 37 riquadri in successione (sono 39 in verità ma due episodi si distinguono).Tutti risultano spenti e senza entusiasmo ma il film sa trovare il valore che riporta in equilibrio una situazione così monotona: il regista recupera, con la rievocazione del passato, il segno positivo della virtù della vita e il colore dei suoi personaggi.Il primo simbolo è il cavallo nero dell'araldo che irrompe in un locale, fa sgombrare donne e giocatori di videogame che vengono frustati e annuncia l'arrivo del re. L'epopea settecentesca della Svezia di re Carlo XII, in partenza per la campagna contro la Russia, incarna il valore militare, il coraggio, l'ideale e la bellezza. Il re è efebico, biondo, giovanissimo ed effeminato, vuole solo un bicchiere d'acqua che è buona e dissetante. Anche quel bicchiere d'acqua parla agli spettatori indirettamente e li riporta al recupero della semplicità. E poi la meravigliosa parata militare, il canto dei soldati che intonano una canzone sulla melodia del “Glory! Glory! Halleluyah!” dei miti d'America, con una bella condensazione che spezza la ricostruzione storica, di per sé già decontestualizzata, e ci ricorda la dimensione onirica del quadro. Ma ecco! un nuovo collegamento eroico nel passato: questa volta si tratta di un ricordo più recente dell'infanzia del regista, il ricordo del 1943, quando lui nasceva, e qui la funzione di simbolo è affidata ad una donna, Lotte la zoppa, nel suo caffè a Göteborg, rimasto identico nel tempo, già teatro di precedenti scene del film. Lotte è un’ostessa forte, affascinante, sa cantare e sa attirare lo sguardo su di sé, nonostante il suo handicap. Lotte chiede solo un bacio ai giovani soldati che partono per il fronte: li fa sfilare e poi offre loro un bicchierino in cambio di un meraviglioso reciproco abbraccio che li premia per il loro coraggio e perché essi salveranno la patria, a costo della loro vita.Ecco che cosa manca alla dimensione della contemporaneità: l'eroismo che il benessere e l'omologazione hanno assopito in una coltre grigia, come il piumaggio di un piccione sul ramo.
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vanessatalanta
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lunedì 4 gennaio 2016
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come piccioni, gli spettatori volano via ...
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Non mi piace scrivere recensioni negative, come minimo è ammettere di aver buttato i soldi del biglietto, ma devo essere onesta. Se è un film che deve farti riflettere sulla morte c’è riuscito: ho considerato il suicidio già dalla seconda scena e augurato atroci indigestioni a chiunque abbia avuto a che fare con la pellicola, come alternativa a 25 anni senza condizionale di visione ininterrotta di questa cosa soprattutto al produttore. Mai vista in vita mia tanta gente alzarsi e uscire durante la proiezione, in preda evidentemente alla stessa nausea che mi ha accompagnato per tutta la pellicola. Ho voluto eroicamente restare fino alla fine, così come sempre termino un libro per quanto mi disgusti, proprio per poterne parlare.
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Non mi piace scrivere recensioni negative, come minimo è ammettere di aver buttato i soldi del biglietto, ma devo essere onesta. Se è un film che deve farti riflettere sulla morte c’è riuscito: ho considerato il suicidio già dalla seconda scena e augurato atroci indigestioni a chiunque abbia avuto a che fare con la pellicola, come alternativa a 25 anni senza condizionale di visione ininterrotta di questa cosa soprattutto al produttore. Mai vista in vita mia tanta gente alzarsi e uscire durante la proiezione, in preda evidentemente alla stessa nausea che mi ha accompagnato per tutta la pellicola. Ho voluto eroicamente restare fino alla fine, così come sempre termino un libro per quanto mi disgusti, proprio per poterne parlare. Propongo, per motivi umanitari, che insieme al biglietto venga fornita una dose di Prozac . Non mi capacito di come si possa accostare alla comicità dissacrante e intelligente dei Monty Python, questo film non ha ritmo, nemmeno quello lento, il nonsense deve essere pungente ed evidente, si deve riuscire a capire cosa vuol colpire, ma il significato dell’assurda scena della taverna con la locandiera cantante, l’armata in costume, la recita degli handicappati, il continuo ritorno di “Glory, glory, alleluja”(John Brown’s body volendo fingere di essere colti) qual è? Cosa c’entra con la vita o la morte, con la disperazione e l’alienazione, le convenzioni? Una comica di Stanlio e Ollio, per non parlare di Charlot, ti dà più spunti di riflessione. Dialoghi? Ripetere 3-4 volte la stessa cretinata è ironia o sarcasmo? Dov’è il nesso? Iperrealismo: ma di che parliamo? Qui la depressione è nell’uso della camera fissa che ci risparmia se non altro di dover sopportare anche i primi piani degli attori, sgradevoli e incapaci perfino di inespressività, è nel colore sempre uguale (che non definisco per buon gusto..) di ogni scena. Temo che la visione di questo film da parte di persone in età fertile possa avere ripercussioni sulla loro progenie, se questa è la Svezia si capisce perché ogni svedese che abbia un seppur vago anelito di vita prende il traghetto per Helsinki in Finlandia ogni volta che può! Conosco svedesi e finlandesi e capisco. Magari è il ritratto dello stato d’animo degli svedesi, oppressi dalla mancanza di luce e colore, con un alto tasso di suicidi, geneticamente incapaci di umorismo. Noi abbiamo Leonardo, voi avete inventato l’Ikea : fermatevi lì. Se a 71 anni il regista ha questa visione della vita mi auguro non abbia mai raccontato favole a figli e nipoti . In sintesi l’idea è:noia, noia, noia mortale. Al Festival di Venezia l’augurio di un’ “acqua alta” che sorprenda gli strapagati critici in abito da sera e senza passerelle. Beato il piccione se trova un significato dell’esistenza: certo Andersen se l’ha trovato se lo porta nella tomba, mi auguro, senza uccidere i nostri cari neuroni superstiti con qualche altro film
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angeloumana
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lunedì 14 agosto 2017
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l'alta società
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Al piccione che riflette sull’esistenza o “sull’essere un essere umano” non poteva non darsi il Leone d’Oro alla 71ma mostra di Venezia (2014). Il 74enne regista Roy Andersson ne deve aver visto di uomini e macchiette, deve aver riflettuto abbastanza sui ns. comportamenti di società evoluta, di gente “perbene”, sul potere e sugli interessi che ci muovono: “si prese una pausa lunga 25 anni dalla regia di lungometraggi dedicandosi alla realizzazione di spot pubblicitari e di documentari su tematiche politiche e ambientali” (dal suo CV su mymovies).
Non gli si poteva non dare il premio, non sarebbe stato politically correct: il film ci mette di fronte a ciò che siamo (diventati), a come viviamo, agli stupidi clichè riti e luoghi comuni di cui riempiamo i ns.
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Al piccione che riflette sull’esistenza o “sull’essere un essere umano” non poteva non darsi il Leone d’Oro alla 71ma mostra di Venezia (2014). Il 74enne regista Roy Andersson ne deve aver visto di uomini e macchiette, deve aver riflettuto abbastanza sui ns. comportamenti di società evoluta, di gente “perbene”, sul potere e sugli interessi che ci muovono: “si prese una pausa lunga 25 anni dalla regia di lungometraggi dedicandosi alla realizzazione di spot pubblicitari e di documentari su tematiche politiche e ambientali” (dal suo CV su mymovies).
Non gli si poteva non dare il premio, non sarebbe stato politically correct: il film ci mette di fronte a ciò che siamo (diventati), a come viviamo, agli stupidi clichè riti e luoghi comuni di cui riempiamo i ns. comportamenti e a quanto è vuota la ns. modernità. La giuria di Venezia quell’anno deve aver preso atto che Andersson ha fatto tante fotografie di gente comune o di cariche più o meno importanti - 39 sono le scenette recitate - i quadretti rappresentati sono desertici silenziosi grigi spettrali stralunati angoscianti, difficile che ogni spettatore non si riconosca in qualcuna delle caratterizzazione rappresentate. Andersson ci ha messo davanti a uno specchio e così la giuria premiandolo ha ufficializzato l’autocritica che siamo costretti a fare, ha riconosciuto che quei personaggi siamo noi, che così viviamo … Il piccione ci osserva perplesso dal suo ramo e forse sorride, fa sorridere noi ma più ancora ci fa rabbrividire o atterrire, con freddezza svedese.
Vediamo una civiltà quasi immobile o molto lenta, appesantita, prevalentemente vecchia e preda di abitudini: ci accaniamo sul possedere beni ma lo facciamo con belle parole e dando buoni motivi. Moriamo spesso soli ma il mondo gira lo stesso, con le sue regole
fatture e pratiche da sbrigare. Due agenti di commercio di articoli improbabili ricorrono in varie scene: cercano di vendere (stancamente o tristemente) i loro prodotti o le loro ragioni, e non riescono a convincere alcuno che quei prodotti siano utili, che procurano benessere (sono popolari, un classico, vanno per la maggiore, sono sulla cresta dell’onda, aiutiamo la gente a divertirsi, dicono). Qualcuno è sordo, buon per lui, così non è costretto a sentire cazzate. Non mancano le sfilate presidenziali o monarchiche, corredate di re viziati, dispotici e coi loro difetti che però una corte di feudatari giustifica o fa apparire come “presidenziali”, appunto. Ma i bambini impareranno a onorare dio e il re... C’è pure la ns. burocrazia e le macchinose regole che ci siamo dati; ci sono le cose minime (futili) a cui non rinunciamo. Non c’è amore molto spesso nelle nostre parole, quelle che diciamo perché tra gente perbene così si fa, ad es. le cose dette per consuetudine: Sono contento di sentire che state bene!, viene ripetuto con voci lamentose. Uno degli ultimi quadretti è un sogno o un incubo – com’è possibile che per il proprio interesse si possa approfittare delle persone o farle vivere male? A delle persone di colore dei feroci soldati ordinano di entrare in un grosso pentolone sotto il quale viene acceso il fuoco e dei vecchi decrepiti, maschere grottesche dell’alta società, si godono lo spettacolo col flute in mano.
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francesca meneghetti
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sabato 21 febbraio 2015
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tra l'espressionismo e l'assurdo
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Prima di giudicare un’opera è buona cosa capire come “funziona”. Poiché la pellicola si caratterizza per frammentarietà (39 micro-episodi) il primo problema sta nell’individuare ciò che la tiene insieme. Per alcuni è la storia di due compagni di sventura, tristi venditori di scherzi di carnevale. Ma loro entrano in scena a film già avviato. Di conseguenza non sono il vero collante, che va individuato in una particolare cifra stilistica: obiettivo fisso, a riprendere una scena d’interno di estremo squallore (pareti spoglie e nude, finestre affacciate su paesaggi urbani altrettanto grigi); personaggi caratterizzati fisicamente per bruttezza (obesità, calvizie e canizie mascherate da tinture, vecchiaia, invalidità) e psicologicamente per inespressività e tristezza (ma anche depressione, inedia, indifferenza); ritmi lenti, battute scarne e sistematicamente replicate, almeno tre volte, ossessivamente.
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Prima di giudicare un’opera è buona cosa capire come “funziona”. Poiché la pellicola si caratterizza per frammentarietà (39 micro-episodi) il primo problema sta nell’individuare ciò che la tiene insieme. Per alcuni è la storia di due compagni di sventura, tristi venditori di scherzi di carnevale. Ma loro entrano in scena a film già avviato. Di conseguenza non sono il vero collante, che va individuato in una particolare cifra stilistica: obiettivo fisso, a riprendere una scena d’interno di estremo squallore (pareti spoglie e nude, finestre affacciate su paesaggi urbani altrettanto grigi); personaggi caratterizzati fisicamente per bruttezza (obesità, calvizie e canizie mascherate da tinture, vecchiaia, invalidità) e psicologicamente per inespressività e tristezza (ma anche depressione, inedia, indifferenza); ritmi lenti, battute scarne e sistematicamente replicate, almeno tre volte, ossessivamente. Al’inizio suonano ironiche, poi grottesche, infine angoscianti.
E’ un film sull'esistenza tra il realistico e l’espressionismo (nella versione nordica e cupa, alla Munch)?
In realtà il film non sembra essere una ricognizione distaccata del vivere, vista a volo d’uccello (a proposito il titolo rinvia al quadro di Bruegel The Hunters in the Snow: v.) Anzitutto i momenti lieti dell’esistenza sono, se non inesistenti, ridotti al minimo (due bambine che giocano con bolle di sapone, due ragazzi che amoreggiano distesi su una spiaggia, nell’unica scena veramente colorata del film). Ma questo potrebbe aver senso se si vuole mettere da parte ogni positività, ogni affettività, ogni amore. Ciò che contraddice però il messaggio nichilistico, ma dotato di senso, è da un lato l’organizzazione testuale (che non c’è, o sembra essere costruita appositamente per distruggere ogni ordine e ogni simmetria), dall’altro l’irrompere incongruo, nelle riprese improntate a quotidianità, di spezzoni di storie provenienti dal passato. Il che non accade in base a regole precise (ad es. di contiguità spaziale). A meno che non serva a introdurre, nella panoramica sulla vita umana, il tema della guerra e della violenza (rafforzato da altre due scene terribili: la tortura di una scimmia e l’incubo della macchina targata Boliden, ditta svedese reale, che trasforma atroci sofferenze umane in musica, si fa strada l’ipotesi di un cinema dell’assurdo.
A questo punto, chi legge queste righe, in buona compagnia dello spettatore, non si raccapezza più. Che Andersson abbia voluto prendersi gioco del pubblico e della critica lavorando proprio attorno la destrutturazione di ogni senso? E forse questa può restare l’unica chiave di lettura comprensibile: che il regista abbia voluto dimostrate tutta l’entropia, l’insensatezza, la totale perdita di bellezza e di umanità del nostro mondo. Se questo l’intendimento, poteva però essere più chiaro, visto che un messaggio è tale se raggiunge il destinatario. Pare che Andersson abbia dichiarato che per questo film si è ispirato a “Ladri di biciclette”. Ho trovato piuttosto echi di Peter Bruegel il Vecchio, citato con la processione dei ciechi, ma mi ispira di più l’immagine apocalittica e grottesca del “Trionfo della morte”.
Insomma non è un film né di piacevole intrattenimento o visione, visto che è dominato dall’estetica del brutto (salva l’efficacia di molte inquadrature), né di facile comprensione. Forse il suo destino sarà di essere considerato un capolavoro. Peccato che non sappia comunicare a tutti.
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kimkiduk
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mercoledì 25 febbraio 2015
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radical chic?
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Film dal messaggio chiaro: l'uomo e le sue contraddizioni ed inutilità. Resoconto di una società fatta di finti rapporti, da discorsi inutili, in una vita ripetitiva e noiosa. Critica assoluta per chi come un re si assurge ad essere superiore e nel momento della sconfitta dovrà accorgersi della sua NON superiorità. Il mutare dei giorni diversi solo nel nome, la mancanza di un amico solo per prevaricare e non sentirsi soli. La richiesta di amore spesso rifiutata. Regole decise per il rispetto di ognuno di noi ma create solo per non dover dare rispetto. E' un film intelligente, acuto, difficile forse noioso se non si guarda come il regista ha voluto farlo leggere.
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Film dal messaggio chiaro: l'uomo e le sue contraddizioni ed inutilità. Resoconto di una società fatta di finti rapporti, da discorsi inutili, in una vita ripetitiva e noiosa. Critica assoluta per chi come un re si assurge ad essere superiore e nel momento della sconfitta dovrà accorgersi della sua NON superiorità. Il mutare dei giorni diversi solo nel nome, la mancanza di un amico solo per prevaricare e non sentirsi soli. La richiesta di amore spesso rifiutata. Regole decise per il rispetto di ognuno di noi ma create solo per non dover dare rispetto. E' un film intelligente, acuto, difficile forse noioso se non si guarda come il regista ha voluto farlo leggere. Unica critica vera forse il volersi mettere al di sopra, quasi irriverente nei confronti di una facile visione. Film che se ne frega di piacere o divertire nei modi consueti. Pensando che a Venezia ha vinto il Leone d'Oro e che era presente Birdman che non raccolse niente, dobbiamo ragionare sulla scelga di festival votati alla cassetta ed al botteghino e su festival che premiano un modo di fare cinema. Pensando che a Venezia in tre anni hanno vinto Sokurov, Kim Ki Duk ed Andersson, che raccoglieranno in 3 l'incasso di un giorno di 50 sfumature di grigio in Italia, forse le scelte non sono casuali. Ognuno giudichi per come la pensa.
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fabiofeli
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mercoledì 25 febbraio 2015
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noi vogliamo che la gente si diverta
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E’ l’uomo che osserva il piccione imbalsamato nel museo o è il piccione che osserva l’uomo? Si possono portare i propri beni nell’aldilà? Che fare di un sandwich e una birra già pagati, se chi li ha ordinati è morto? I tre quadri del prologo a camera fissa sono tre riflessioni sulla morte. Ed anche sulla vita. La camera resta fissa per tutti gli altri quadri, occupandosi del rapporto tra due amici, commessi viaggiatori con scarsa fortuna di articoli “che vogliono far divertire le persone”: denti da vampiro finti, sacchetti con risate registrate e una maschera di Zio Dentone.
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E’ l’uomo che osserva il piccione imbalsamato nel museo o è il piccione che osserva l’uomo? Si possono portare i propri beni nell’aldilà? Che fare di un sandwich e una birra già pagati, se chi li ha ordinati è morto? I tre quadri del prologo a camera fissa sono tre riflessioni sulla morte. Ed anche sulla vita. La camera resta fissa per tutti gli altri quadri, occupandosi del rapporto tra due amici, commessi viaggiatori con scarsa fortuna di articoli “che vogliono far divertire le persone”: denti da vampiro finti, sacchetti con risate registrate e una maschera di Zio Dentone. Figuriamoci! I due non si sopportano, l’uno bisbetico e l’altro piagnucoloso, ma non possono fare a meno l’uno dell’altro, come una coppia di anziani che hanno già esaurito il desiderio sessuale e si avversano dicendo di volersi sostenere a vicenda: vivono in un gramo ostello che somiglia a un carcere; lì e in strada danno continuo spettacolo con i loro bisticci. Gli altri quadri a seguire illustrano: una scuola di danza nella quale la coreografa attempata insidia un allievo; insignificanti telefonate, nelle quali si afferma solo “sono contento che stiate tutti bene”; appuntamenti mancati per equivoci che mascherano scarso interesse; un re, Carlo XII, invade un bar con le sue milizie cacciando via le donne per bere una minerale e corteggiare un giovane e poi vi ritornerà, sconfitto, per un impellente bisogno fisiologico; l’osteria di Lotta, frequentata da un uomo da 60 anni, dove i bicchierini si pagano con i baci. Ma le scene più dure, quelle che illustrano il comportamento dell’homo sapiens, agghiacciano: un primate prigioniero di un macchinario infernale lancia roche urla di dolore mentre a due passi la ‘scienziata’ al cellulare ripete “sono contenta che stiate tutti bene”; un esercito costringe esseri umani ad entrare in una enorme pentola di rame ruotante, un incubo surreale alla Magritte, sotto la quale viene acceso il fuoco, spettacolo serale per un gruppo di anziani, presumibilmente danarosi, che beve champagne.
Una riflessione sulla vita e sulla morte, quella di Andersson, che fotografa l’insensatezza di una realtà amara, dove tutto fila liscio per condurre rapidamente alla malora. Il regista sceglie il registro dello humour nero per riflettere sull’esistenza e sulle miserie umane. Il film, recitato in modo straniato, brechtiano, da tutti i personaggi, è stato premiato col Leone d’oro a Venezia ed è di alto livello: la critica ha citato Otto Dix e Peter Brueghel; ma abbondano anche tocchi surreali. Quello che è certo è che si tratta di un film da non mancare.
Valutazione ***1/2
FabioFeli
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