epidemic
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venerdì 27 febbraio 2015
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la solita lagna di venezia
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bah...forse lo potevo prevedere, Venezia ogni anno si sforza di mantenere una certa distanza col pubblico, e mentre a Cannes, Berlino e al Sundance vincono bei film ai quali tutti possono accedere e trarne beneficio, a Venezia no. Si premia sempre lo sfizio stilistico, l'eccessivo sofisticatismo, l'arte di nicchia quasi lo scopo appunto sia quello di creare due mondi diversi di fruitori di cinema.
Questa è la apremessa per la spiegare questo film. Creato con un umorismo incomprensibile, molto vicino (come diceva qualcuno) a lla presa in giro del comico Malera sui film polacchi, girato con uno statismo imperante e ossessionante. Le 39 scene se non altro hanno il pregio di presentarci sempre nuovi quadri, perchè se c'è una cosa di cui non si può discutere è la scenografia e il mestiere del regista.
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bah...forse lo potevo prevedere, Venezia ogni anno si sforza di mantenere una certa distanza col pubblico, e mentre a Cannes, Berlino e al Sundance vincono bei film ai quali tutti possono accedere e trarne beneficio, a Venezia no. Si premia sempre lo sfizio stilistico, l'eccessivo sofisticatismo, l'arte di nicchia quasi lo scopo appunto sia quello di creare due mondi diversi di fruitori di cinema.
Questa è la apremessa per la spiegare questo film. Creato con un umorismo incomprensibile, molto vicino (come diceva qualcuno) a lla presa in giro del comico Malera sui film polacchi, girato con uno statismo imperante e ossessionante. Le 39 scene se non altro hanno il pregio di presentarci sempre nuovi quadri, perchè se c'è una cosa di cui non si può discutere è la scenografia e il mestiere del regista.
Mi è capitato raramente di volermene andare dalla sala, qua è successo. Sembra quasi un affronto quello del regista, una braccio di ferro con lo spettatore. L'odio verso i personaggi sembra montare scena dopo scena, le ripetizioni sono dei ganci allo stomaco difficili da sopportare. Se il regista voleva comunicare noia ci è riuscito. La domanda però rimane la stessa...noi meritiamo tutto questo?
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howlingfantod
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mercoledì 15 aprile 2015
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assurdamente geniale e poetico
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Che forse i piccioni seduti su un ramo non siamo noi spettatori? Noi a mirare questi quadretti slegati di “protagonisti” più macchiette o statue di cera grottesche e impacciate, mai un primo piano, come se non fossero dotati di una propria espressività e di un anima ma solo funzionali a racconti e situazioni grottesche e surreali da avanspettacolo, tanti piccoli episodi grotteschi e irresistibili nella loro folle comicità, certo non immediata e di facile consumo, ma quasi riflessiva e pensante da quanto assurda eppur divertentissima, un ironia con sorriso sotto baffi e tipica di un umorismo tutto nordico, un po’ da sit-com anni 80.
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Che forse i piccioni seduti su un ramo non siamo noi spettatori? Noi a mirare questi quadretti slegati di “protagonisti” più macchiette o statue di cera grottesche e impacciate, mai un primo piano, come se non fossero dotati di una propria espressività e di un anima ma solo funzionali a racconti e situazioni grottesche e surreali da avanspettacolo, tanti piccoli episodi grotteschi e irresistibili nella loro folle comicità, certo non immediata e di facile consumo, ma quasi riflessiva e pensante da quanto assurda eppur divertentissima, un ironia con sorriso sotto baffi e tipica di un umorismo tutto nordico, un po’ da sit-com anni 80. La scenografia è l’algida e senza tempo terra nordica in anonime periferie, mai un quadro, una macchia di colore, cieli grigi, interni grigi ed anche inquietanti come la specie di casa di correzione o centro di accoglienza per senzatetto dove folleggiano i due improbabili venditori di scherzi di carnevale, gli Stanlio ed Ollio dei nostri tempi in terra scandinava..indimenticabili. C’è Beckett, Ionesco il teatro dell’assurdo tutto, la coazione a ripetere di gesti, frasi e tic di un umanità lobotomizzata ed inconsapevole, noi piccioni sul ramo possiamo solo osservare tanto sfacelo ridendocela (almeno io) di gusto, Felliniano in alcune parti come nella creazione di marchingegni quali quella strana fornace cilindrica dove vengono messi ad abbrustolire degli schiavi con la polizia che ogni tanto guarda in camera. Il fragore di sottofondo appena percettibile in alcune fasi che sa di una qualche minaccia, il basso continuo della musichetta monocorde che accompagna tutto il film. L’ufficiale che attende, attende sempre un appuntamento mancato, l’indimenticabile armata alla birreria e i dialoghi stralunati dei protagonisti. La storia, la vita così incomprensibile, così assurda ed adatta alla parole del Bardo: “la vita e la storia (appunto rappresentata dall’incommensurabile armata di Carlo XII che va in birreria e poi ripassa dopo poco sconfitta dal “perfido russo”) è un racconto narrato da un idiota, pieno di suoni e di furia senza alcun significato”, come se non fosse più possibile alcuna narrazione lineare in questo mondo, nessuna grazia, non all’ epoca di internet, come se la poesia dopo Auschwitz… si sa non si può fare e tutto il resto che ci avevano già detto tutti i geni dell’assurdo, teatrale e non, eppure Roy Andersson, un perfetto sconosciuto alla cinematografia mondiale (almeno fino ad oggi) ce lo ripete con grazia e poesia, per palati sopraffini certo ma per tutti un consiglio andatelo a guardare e riguardatelo ancora!!!!! e una recensione come questa ve la sognate (detto fra noi).
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francesco2
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giovedì 11 giugno 2015
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un cinefilo riflette sui film da festival
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Nel 2014 le giurie di Cannes e Venezia avevano a disposizione almeno due titoli "forti" da premiare coi rispettivi, massimi riconoscimenti: "Mommy"e "Birdman", che chi scrive non ha ancora recensito. Titoli forti, anche se non capolavori, perché entrambi soffrono di quella magniloquenza che nel caso di Inarritu è anche ripetitiva.
Ed invece, alle opere citate sono stati preferiti "Winter Sleep" e l'opera di cui stiamo per parlare. Nei confronti della quale non sono mancati paragoni -Tra l'altro- con Kaurismaki:
un umorismo gelido e raggelante, almeno nelle intenzioni, un pessimismo -Forse- di fondo, ed ovviamente la provenienza geografica.
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Nel 2014 le giurie di Cannes e Venezia avevano a disposizione almeno due titoli "forti" da premiare coi rispettivi, massimi riconoscimenti: "Mommy"e "Birdman", che chi scrive non ha ancora recensito. Titoli forti, anche se non capolavori, perché entrambi soffrono di quella magniloquenza che nel caso di Inarritu è anche ripetitiva.
Ed invece, alle opere citate sono stati preferiti "Winter Sleep" e l'opera di cui stiamo per parlare. Nei confronti della quale non sono mancati paragoni -Tra l'altro- con Kaurismaki:
un umorismo gelido e raggelante, almeno nelle intenzioni, un pessimismo -Forse- di fondo, ed ovviamente la provenienza geografica.
Ma c'è un "Però", che persino il sottoscritto ha faticato a trovare.
E cioé: qualunque sia la vostra e nostra valutazione sui film di Kaurismaki, citiamo UN suo film che dia l'impressione di una serie di scenette. A me, che ne ho visti diversi, non ne viene in mente praticamente NESSUNO, perché anche "Leningrad Cowboys go to Amerika" è pur sempre una storia, con la sua "Integralità" di fondo.
Anderson, invece, che liquidato come regista di cinema si era dedicato alla pubblicità, costruisce tanti quadretti, che alle volte risultano anche spassosi e commoventi, restando però lontano da quella "Coralità" che secondo me dovrebbe distinguere un regista di film, si chiami Altman o Iosseliani. In questi casi c'è una magia, anche caustica nel caso dell'autore di "Kansas City": le piccole grandi vicende raccontate possono anche non avere un legame tra di loro, ma esiste un significato di fondo che crea una coesione.
Quella che, invece, non si registra in questo film: alle volte, semmai, viene in mente il Mike Leigh un pò stucchevole di "Another Year" o altri suoi vecchi film. Certo, momenti come quello dei "Neri" o del bar a ritroso nel tempo collocano il film, parzialmente, su un altro livello.
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lomax
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domenica 1 novembre 2015
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inguardabile!
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Più che indurre lo spettatore a riflettere sull'esistenza lo porta a domandarsi perchè un film del genere. Noioso a cominciare dalla musichetta ripetuta in modo ipnotico (forse con l'intenzione di far addormentare chi lo sta guardando), per passare alle inquadrature fisse su ambienti e soggetti anonimi e privi di colore, nonchè di espressione. Ma soprattutto non c'è traccia di ironia. Aiutate l'inconsapevole spettatore avvisandolo prima che decida di guardarlo
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zarar
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domenica 22 febbraio 2015
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beckettiano
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Il film di Andersson, ultimo della sua Trilogia sull’ “essere un essere umano”, si segnala innanzitutto per la sua atipicità: non racconto filmico, ma operazione fortemente intellettualistica di impossibilità di tale racconto, come fu, ad es., – nel territorio del romanzo - la famosa Trilogia di S. Beckett. Assistiamo al succedersi di scene – irrelate o debolmente collegate - che ricordano piuttosto istallazioni di video-art, ciascuna delle quali presenta un momento simbolico della desolata visione dell’umano del nostro regista, che si presenta nuda e dissociata, senza una possibilità di sintesi. Sono piccoli episodi di banalità, dolore, crudeltà, strazio, indifferenza, incomunicabilità, impastati di assurdo, comicità che raramente fa ridere, desolazione, o di quella che il Molloy beckettiano chiamerebbe “la tranquillità della decomposizione”.
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Il film di Andersson, ultimo della sua Trilogia sull’ “essere un essere umano”, si segnala innanzitutto per la sua atipicità: non racconto filmico, ma operazione fortemente intellettualistica di impossibilità di tale racconto, come fu, ad es., – nel territorio del romanzo - la famosa Trilogia di S. Beckett. Assistiamo al succedersi di scene – irrelate o debolmente collegate - che ricordano piuttosto istallazioni di video-art, ciascuna delle quali presenta un momento simbolico della desolata visione dell’umano del nostro regista, che si presenta nuda e dissociata, senza una possibilità di sintesi. Sono piccoli episodi di banalità, dolore, crudeltà, strazio, indifferenza, incomunicabilità, impastati di assurdo, comicità che raramente fa ridere, desolazione, o di quella che il Molloy beckettiano chiamerebbe “la tranquillità della decomposizione”. Personaggi di dolente o deformata espressività, alla Otto Dix, o automi che sembrano involucri del nulla, si muovono lenti come mimi davanti ad una telecamera fissa, in un’atmosfera asettica, uniformemente nitida e giallina, in ambienti che hanno la nudità di un palcoscenico deserto, articolano parole ostentatamente ‘recitate’, che non trovano mai veramente un interlocutore, creano tensioni che si dissolvono nel nulla con un semplice passaggio di scena. Così i due tristi venditori di denti di vampiro e maschere per il carnevale, la baldanzosa ballerina di flamenco respinta dall’oggetto del suo desiderio, i personaggi più diversi che non stanno bene per niente accomunati dal tormentone: “Sono contento/a di sentire che state bene”, la ragazzina goffa con la sua penosa poesiola alla recita scolastica, Carlo XII che irrompe truculento a cavallo in un bar (moderno) prima della campagna contro i Russi, e che vi ritorna sconfitto e mezzo morto trovando il gabinetto occupato, e via così. Un teatro dell’assurdo, che può mescolare reale e immaginario, in cui una canzoncina popolare può materializzarsi come per magia o la desolazione può moltiplicarsi in un gioco di specchi : ad un episodio di abbandono in primo piano fa da contrappunto un episodio di abbandono sullo sfondo, al di là di una vetrata di ristorante. Solo l'amore giovane senza parole sembra salvarsi con la forza della sua fisicità. Nonostante una notevole coerenza espressiva e stilistica, l’operazione di Andersson non riesce a coinvolgerti emotivamente sino in fondo: dopo un ottimo inizio, il film alterna a episodi di grande forza espressiva altri più deboli e ripetitivi, presenta forzature e genera alla lunga una certa stanchezza.
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m.barenghi
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lunedì 23 febbraio 2015
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...che tristezza!!
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Una serie interminabile di brevi scenette, quasi mai comiche -al più patetiche- riprese con macchina fissa in ambienti scarni, abiati da personaggi amimici, collegate fra loro da un "fil-rouge" improbabile: una coppia di sfigatissimi e falliti rappresentanti di prodotti per il carnevale che con tono funebre si ostinano a proporre "per far divertire" ma che non interessano a nessuno. E infatti nel film non si ride mai: si aspetta soltanto che termini questa assurda antologia di personaggi insulsi e scollegati per potersene tornare a casa a leggere un buon libro. A proiezione finita mi sono posto alcune domande, nell'ordine:
1) come sia possibile concepire l'idea di girare un film del genere
2) una volta ultimato, come possa venire in mente di proporlo per un Festival
3) come possa essere accaduto che la Giuria del suddetto l'abbia selezionato, e infine
4) a quale titolo l'abbia accreditato del massimo premio del concorso, il sacro Leone d'Oro.
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Una serie interminabile di brevi scenette, quasi mai comiche -al più patetiche- riprese con macchina fissa in ambienti scarni, abiati da personaggi amimici, collegate fra loro da un "fil-rouge" improbabile: una coppia di sfigatissimi e falliti rappresentanti di prodotti per il carnevale che con tono funebre si ostinano a proporre "per far divertire" ma che non interessano a nessuno. E infatti nel film non si ride mai: si aspetta soltanto che termini questa assurda antologia di personaggi insulsi e scollegati per potersene tornare a casa a leggere un buon libro. A proiezione finita mi sono posto alcune domande, nell'ordine:
1) come sia possibile concepire l'idea di girare un film del genere
2) una volta ultimato, come possa venire in mente di proporlo per un Festival
3) come possa essere accaduto che la Giuria del suddetto l'abbia selezionato, e infine
4) a quale titolo l'abbia accreditato del massimo premio del concorso, il sacro Leone d'Oro.
Queste domande sono rimaste tuttora senza risposta. Non me ne faccio una ragione. Speravo che dopo gli anni del delirio surrealista non vi fosse più posto per opere del genere. Purtroppo mi sbagliavo di grosso. E Jodorowskj in fondo non era che un dilettante
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[+] eheheh
(di epidemic)
[ - ] eheheh
[+] ben vengano gli appalusi ad un grande registra!
(di giorgiomarchesoni)
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[+] come ti capisco
(di sandr)
[ - ] come ti capisco
[+] coppia con valigetta e analisi
(di lucavidorio)
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[+] un film non per tutti
(di a pigeon sat on a branch)
[ - ] un film non per tutti
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