
Zoran, Il mio nipote scemo come modello di progetto.
di Roy Menarini
Basta aver conosciuto la "banda Zoran" in questi anni - il folto gruppo di persone che hanno dato vita all'intelligente commedia, capitanato da Matteo Oleotto e Giuseppe Battiston - per perdere ogni obiettività. Irresistibile la simpatia umana, sincero e schietto l'humus culturale.
Eppure, pur viziato da uno sguardo "di parte", un discorso su che cosa significa Zoran, Il mio nipote scemo nelle acque stagnanti del cinema italiano bisognerà pur farlo. Si comincia col territorio, quello friulano e sloveno, che è al tempo stesso Italia ma non lo è già più; che si allarga alla produzione (mista, indipendente e plurilingue) e alle maestranze, che raccolgono quel territorio, rinunciando ai soliti noti del cinema romano, e lo ibridano ancora di più con competenze lontane; che poi si riverberano anche nella storia, un road movie che offre al nostro miglior caratterista il ruolo da protagonista che si merita e che entra in quel tessuto geografico e antropologico con sincerità assoluta. Eppure non basta, perché - fatto il film - in Italia non si è ancora realizzato nulla. E qui, nel nostro mondo soffocato di marchi e di brand, nasce l'icona-Zoran: un camioncino, una osmiza (osteria) ambulante, una etichetta di vini, le freccette che alludono al talento del giovane protagonista, e altro ancora. Il cinema è sempre più esperienza, e il film Zoran, Il mio nipote scemo va consumato contestualmente alla scoperta culturale e sociale di una condivisione, di una convivialità, di un modernariato sbilenco che fanno parte dello "spirito del film": quante volte il cinema italiano lavora sullo "spirito", invece che sulle solite (e spesso dilettantesche) forme di product placement? Quasi mai.
Qui per fortuna tutto viene ribaltato: è il contesto che piazza il prodotto, e il prodotto finale è il film. Non si tratta di una cosa da poco. È, al di là di queste annotazioni un po' teoriche, l'esempio di come si costruisce un piccolo caso di qualità (i premi, a cominciare da quello della Settimana della Critica a Venezia, dimostrano che il prodotto c'è, e non è un accessorio), e di come si valorizza un territorio poco raccontato, se non da certa squisita letteratura di provincia.
Sarà per questo che Zoran, Il mio nipote scemo non somiglia a un film italiano, e fa venire in mente certa commedia israeliana recente, o alcuni road movie nordici. E sarà sempre per questo che il film ha buffe consonanze con Una piccola impresa meridionale di Rocco Papaleo, altra commedia intelligente, sia pure mainstream. Lì si racconta di un gruppo bizzarro di persone che, isolate intorno a un faro dimenticato dagli uomini, costruisce una piccola utopia, anzi una piccola Italia artigianale, migliore, laica e solidale. Zoran, Il mio nipote scemo è forse questa utopia già realizzata, una piccola impresa del nord-est che riunisce un'Italia cinematografica diversa e che sta funzionando molto bene.
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