writer58
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domenica 10 luglio 2016
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orwell, 50 anni dopo...
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"The Zero Theorem" è un film che nasce all'insegna della continuità. Anche se sono passati 30 anni da "Brazil", Gilliam continua a sviluppare la stessa ricerca stilistica e di contenuto, una ricerca in cui la presentazione di una società disumanizzata si salda con le tematiche del senso della vita, dell' identità, del conformismo e della rivolta individuale. Un regista che ci propone un'estetica visionaria, sovrabbondante, dai colori saturi e le forme tondeggianti, dagli ambienti immensi e fortemente caratterizzati, quasi un videogioco che rappresenta il futuro con gli strumenti del passato, una sorta di "Blade runner" ambientato nel 2039 e non nel 2019 e girato a inizio di secolo.
Una società in cui il dominio sulle coscienze individuali è già consolidato e i singoli competono tra di loro per interpretarne le logiche di sottomissione.
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"The Zero Theorem" è un film che nasce all'insegna della continuità. Anche se sono passati 30 anni da "Brazil", Gilliam continua a sviluppare la stessa ricerca stilistica e di contenuto, una ricerca in cui la presentazione di una società disumanizzata si salda con le tematiche del senso della vita, dell' identità, del conformismo e della rivolta individuale. Un regista che ci propone un'estetica visionaria, sovrabbondante, dai colori saturi e le forme tondeggianti, dagli ambienti immensi e fortemente caratterizzati, quasi un videogioco che rappresenta il futuro con gli strumenti del passato, una sorta di "Blade runner" ambientato nel 2039 e non nel 2019 e girato a inizio di secolo.
Una società in cui il dominio sulle coscienze individuali è già consolidato e i singoli competono tra di loro per interpretarne le logiche di sottomissione. Una società in cui tutto è apparenza, pubblicità, connessione, upload di dati, come se ci trovassimo dentro la promozione di uno smartphone.
Qohen è un programmatore della Mancom, un gigante del web intermedio tra Apple e Facebook, vive in una chiesa piena di vetrate, statue, arredi antichi, in cui il volto di Gesù è sostituito a una telecamera che lo mette in contatto con la compagnia. E' una persona asociale, parla di sè in prima perona plurale, non sopporta di essere toccato, ha un'avversione per gli spazi esterni al limite dell'agorafobia, non mangia e non beve nulla, tranne ciò che si prepara a casa. Aspetta da anni una "chiamata", una voce al telefono che gli riveli il senso della sua vita, la missione a cui è destinato. A lui viene affidata la risoluzione dello "Zero Theorem", il postulato che l'universo è destinato a collassare in un gigantesco buco nero che annullerà tempo,spazio, materia, fino a ridurre il cosmo intero a zero...
Da un punto di vista visivo, il film di Gillian è sontuoso, barocco, pieno di dettagli vintage (Il telefono a cornetta, la rete neurale che assomiglia agli oblò di una nave). Il messaggio che veicola è quello di una sconfitta (più collettiva che individuale), anche se il protagonista -un ottimo Waltz- nell'attesa della sua "chiamata" perde l'occasione di cambiare per davvero la propria vita. Come a dire che la salvezza sta nel cogliere gli spiragli di relazione e libertà e non nelle fedi o nell'accettazione di un modello imposto da entità impersonali.
W.
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stefano capasso
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mercoledì 15 ottobre 2014
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scegliere il caos per vivere
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Qohen vive in una ipotetica società del futuro, fondata sull'apparenza e sull'immagina. Apparentemente una società piena di colori e individui originale, nasconde una profonda inquietudine. In realtà tutto è vietato, esiste solo il lavoro e le lusinghe di martellanti proposta di benessere spirituale e materiale. In primo piano i social network vero tessuto connettivo tra tutte le componenti Qohen che è cosi scisso da usare il noi invece dell’io, lavora alla programmazione del teorema zero, un algoritmo che vuole provare l’assurdità dell’esistente senza sosta e a ritmi frenetici. Aspetta che una telefonata arrivi a rivelargli il suo vero talento che gli potrà cambiare la vita.
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Qohen vive in una ipotetica società del futuro, fondata sull'apparenza e sull'immagina. Apparentemente una società piena di colori e individui originale, nasconde una profonda inquietudine. In realtà tutto è vietato, esiste solo il lavoro e le lusinghe di martellanti proposta di benessere spirituale e materiale. In primo piano i social network vero tessuto connettivo tra tutte le componenti Qohen che è cosi scisso da usare il noi invece dell’io, lavora alla programmazione del teorema zero, un algoritmo che vuole provare l’assurdità dell’esistente senza sosta e a ritmi frenetici. Aspetta che una telefonata arrivi a rivelargli il suo vero talento che gli potrà cambiare la vita.
Col suo stile paradossale e grottesco Giliam parla della società di oggi, dove tutto è vissuto quasi in modo asettico, dalle relazioni sociali ai piaceri personali. Dopo una prima parte in cui viene descritta questa martellante realtà ipnotica e irreale, nella seconda parte del film, il film lascia spazio alle emozioni. Grazie a una relazione con una donna, che si trasforma da amore virtuale a reale, e all’amicizia con un giovane che ancora ha una visione pura, il protagonista comincia ad uscire dal sistema. Che è un sistema di controllo che si basa sulla paura dell'uomo, la paura del caos e dell'incertezza. Il profitto del sistema è quello di organizzare il caos, fornendo allo stesso tempo proposte per una vita migliore che verrà, spingendo tutti a non vivere aspettando qualcosa che non arriverà mai. Ritrovare le emozioni e i sentimenti all’interno di noi, permette di affrontare quel caos dentro il quale c'è la vita, semplice, sana e reale. The Zero Theorem è un film ricco di spunti e simboli, intriso di un profondo senso critico, quasi dolorose verso i costumi del mondo di oggi. A tratti confuso e incomprensibile, trova una sua ragione di esistere quando nella seconda parte vengono messi in gioco i sentimenti come l’amore e l’amicizia, che danno una orientamento a questa storia per il resto troppo complessa
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[+] l’angosciante perdita identitaria ed esistenziale
(di antonio montefalcone)
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vanessa zarastro
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domenica 24 luglio 2016
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fantascienza vintage
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In generale non sono un’appassionata di fantascienza, ma ho deciso di vedere “The Zero Therom” avendo letto delle buone recensioni e del suo regista, ormai settantacinquenne, che propone una sorta di vintage science fiction.
In effetti il film non è affatto male essendo contemporaneamente divertente e malinconico, ironico e catastrofico e sembrerebbe essere una versione pop di “Brazil”, film cult di Terry Gillian del 1985.
Qohen Leth (un eccezionale Crisopher Waltz) in un’ambientazione distòpica, parla di sé in prima persona plurale e vuole a tutti i costi lavorare in casa, perché aspetta una fantomatica telefonata in cui dovrebbero spiegargli il senso della vita.
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In generale non sono un’appassionata di fantascienza, ma ho deciso di vedere “The Zero Therom” avendo letto delle buone recensioni e del suo regista, ormai settantacinquenne, che propone una sorta di vintage science fiction.
In effetti il film non è affatto male essendo contemporaneamente divertente e malinconico, ironico e catastrofico e sembrerebbe essere una versione pop di “Brazil”, film cult di Terry Gillian del 1985.
Qohen Leth (un eccezionale Crisopher Waltz) in un’ambientazione distòpica, parla di sé in prima persona plurale e vuole a tutti i costi lavorare in casa, perché aspetta una fantomatica telefonata in cui dovrebbero spiegargli il senso della vita. Così ottiene dal Mangement (Matt Demon) di poter lavorare alla risoluzione di una misteriosa formula matematica: il "Zero Theorem" senza dover mai uscire da casa, dotandosi di un iper-computer, ma monitorato da varie micro-spie piazzate in punti strategici (nella testa del Cristo in croce ad esempio). Ci lavorerà diversi mesi senza arrivare a risolverlo, ma se lui non vuole uscire nel mondo – rappresentato peraltro variopinto, allegro e mascherato –il mondo vuole entrare da lui.Il dott. Shrink-Rom (Tilda Swinton) è un’app strizzacervelli con cui interagisce tra un lavoro e uno squillo di telefono. Bainsley (Mélanie Thierry)è una deliziosa ragazza (replicante?) che lo vuole aiutare e con la quale, lentamente ma immancabilmente nasce un amore reale iniziato come realtà aumentata. Bob (Lucas Hedges)è il geniale adolescente figlio del Capo che, essendo un nativo digitale, lo aiuta nel solving problems informatico.
Il film “The Zero Therom” mi ha particolarmente evocato “Blade Runner” nell’ambientazione, anche se non ha l’imponente struttura urbana di quel film, anzi, essendo il protagonista agorafobico, è girato prevalentemente negli interni. Ma è proprio lì che il futuro si mostra pieno di memorie; da un lato c’è il vero e proprio riuso (la casa di Qohen Leth è una vecchia chiesa sconsacrata mentre gli uffici della Mancom sono situati in una sorta di piccolo Grand Central newyorkese) di spazi adibiti a fini diversi, dall’altra che le sovra-imposizioni dell’onnipresente digitale, delle pubblicità mobili e di immagini in movimento. Sembrerebbe che la città plurale e post-moderna coincida con quella bidimensionale animata sopra le vecchie strutture tridimensionali liberty, déco o, meglio, in stile eclettico. Così pure in “Blade Runner” appariva dal passato il pianoforte con i vecchi spartiti tradizionali, e le foto incorniciate.
l temi dominanti sono il nonsense dell’esistenza, la fede o l’assenza di essa e cioè “il buco neo”, ma la soluzione desiderata è comunque la fuga così come anche in “Blade Runner”.
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inesperto
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sabato 11 aprile 2020
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può essere dimostrata l'assenza di significato?
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In quest'opera si narra della storia triste di un uomo emarginato, ambientata in un futuro caotico ed eccentrico e girata alla Terry Gilliam's way. Quest'ultima caratteristica fa intuire per quali strade possa svilupparsi la trama, pur senza aver ancora visto il film. Un programmatore molto produttivo, Qohen, vive nell'eterna attesa di una fantomatica chiamata telefonica che possa definire finalmente il senso della sua vita. Pur di non mancarla, si autoemargina dal resto del mondo, disumanizzandosi psicologicamente tanto da arrivare ad usare il plurale maiestatis parlando di se stesso con altri. Domanda ai suoi superiori il permesso di poter continuare a lavorare da casa e così gli viene assegnato il compito di dimostrare un teorema essenzialmente indimostrabile: il teorema zero.
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In quest'opera si narra della storia triste di un uomo emarginato, ambientata in un futuro caotico ed eccentrico e girata alla Terry Gilliam's way. Quest'ultima caratteristica fa intuire per quali strade possa svilupparsi la trama, pur senza aver ancora visto il film. Un programmatore molto produttivo, Qohen, vive nell'eterna attesa di una fantomatica chiamata telefonica che possa definire finalmente il senso della sua vita. Pur di non mancarla, si autoemargina dal resto del mondo, disumanizzandosi psicologicamente tanto da arrivare ad usare il plurale maiestatis parlando di se stesso con altri. Domanda ai suoi superiori il permesso di poter continuare a lavorare da casa e così gli viene assegnato il compito di dimostrare un teorema essenzialmente indimostrabile: il teorema zero. Col passar del tempo, penetrano nella sua quotidianità delle persone che riescono a far breccia nel suo cuore, rivitalizzando la sua umanità: il giovane Bob e la dolce Bainsley. Soprattutto la fanciulla lo destabilizzerà parecchio, portandolo alla rivelazione finale, tanto violenta quanto liberatoria. In questa pellicola si assiste ad una magistrale recitazione del sempre grande Christoph Waltz, ma si viene anche storditi da una sorprendente ed adorabile Mélanie Thierry: eccellente la sua prova.
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lizzy
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sabato 9 dicembre 2023
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il virus della vita...
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Lo ammetto: pur apprezzando da sempre io moltissimo Mister Gilliam mi era sfuggito questo film.
L'ho visto, colpevolmente, solo ieri notte.
Già dalle prime scene sono rimasta colpita (come sempre con i film del regista succitato) e, come sempre, ho trovato sia diverse citazioni che raccordi con altri lavori.
Appunto dalle atmosfere nonsense di "Brazil" ai riferimenti spasmodici al Grande Fratello (ma in versione burtetta) di "1984", così come la evidentissima citazione di Matrix (Il Prescelto annunciato dall'Oracolo).
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Lo ammetto: pur apprezzando da sempre io moltissimo Mister Gilliam mi era sfuggito questo film.
L'ho visto, colpevolmente, solo ieri notte.
Già dalle prime scene sono rimasta colpita (come sempre con i film del regista succitato) e, come sempre, ho trovato sia diverse citazioni che raccordi con altri lavori.
Appunto dalle atmosfere nonsense di "Brazil" ai riferimenti spasmodici al Grande Fratello (ma in versione burtetta) di "1984", così come la evidentissima citazione di Matrix (Il Prescelto annunciato dall'Oracolo).
Eccetera.
Invero ho anche trovato parallelismi col film "Mute", del figlio di Bowie.
Ma tutto, dai colori alle situazioni, dai discorsi alle "filosofie" del film è stato entusiasmante.
Ho letto anche di noia, di cose già viste, addirittura di fesseria...
Beh: sicuramente cose scritte da persone che dalla Vita chissà cosa si aspettano e che non hanno idea di cosa sia un "film" e del lavoro che ci sta dietro.
Le varie considerazioni sulla Vita (che effettivamente non porta a nulla se non alla banale "conservazione della specie") sono realmente azzeccate, ma, di base, resta preponderante l'amore che, alla fine, come sempre, vincerà su tutto. Anche sulla IA.
Insomma..."The Zero Theorem" è un ottimo filmone, anche avviato, come altri di Gilliam, a diventare un bel "pezzo di culto" per i prossimi decenni.
Anatema a me che non ho potuto vederlo prima!
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ennio
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lunedì 31 agosto 2020
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coloratissimo guazzabuglio poco coerente
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Questo film lo ricorderò per l'uso smodato di colori vivacissimi in stile Burano, e la clownesca fantasia dei costumi e dei trucchi scenici, anche tecnologici. Per il resto, "the zero theorem" propone una storia leggermente distopica (30 anni fa sarebbe invece stata pura fantascienza), ma poco intelligibile al comune mortale. Si vorrebbe far filtrare l'ennesimo messaggio sul condizionamento mentale indotto dai massmedia, ma lo si fa in modo caotico, inventando una storia anche godibile da vedere ma senza capo nè coda. La quasi-storia d'amore infilata nel mezzo tra il protagonista e la misteriosa giovane risponde proprio alla necessità di buttare dentro alla storia qualcosa di tipico, di comprensibile allo spettatore medio, per indorare la pillola del non-detto su tutto il resto.
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figliounico
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sabato 15 aprile 2023
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l'unico modo per essere liberi
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Ideale continuazione di Brazil del 1985, dello stesso Gilliam, non per la trama, che è diversa, ma per la visione del mondo estremamente pessimista e soggettivista del suo autore, che è la medesima, The zero Theorem del 2013 è ugualmente ambientato in un mondo distopico governato da una opprimente e pervasiva burocrazia orwelliana ipertecnologica contro cui sono destinate ad infrangersi le illusioni libertarie dell’individuo moderno e non a caso l’ultimo film di Gilliam del 2018, impegnato sullo stesso tema, si ispira al Don Chisciotte di Cervantes. L’unica fuga possibile dal dominio totale del potere è nel mondo fantastico creato dall’immaginazione ed è per questo motivo che il protagonista, Qohen Leth, interpretato magnificamente da Christoph Waltz, rinuncia a scappare con la giovane entraineuse digitale consapevole che non esiste un luogo reale nel mondo che non sia dominato e controllato dall’onnipotente tecnologia che ha preso il posto di Dio nell’immaginario collettivo.
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Ideale continuazione di Brazil del 1985, dello stesso Gilliam, non per la trama, che è diversa, ma per la visione del mondo estremamente pessimista e soggettivista del suo autore, che è la medesima, The zero Theorem del 2013 è ugualmente ambientato in un mondo distopico governato da una opprimente e pervasiva burocrazia orwelliana ipertecnologica contro cui sono destinate ad infrangersi le illusioni libertarie dell’individuo moderno e non a caso l’ultimo film di Gilliam del 2018, impegnato sullo stesso tema, si ispira al Don Chisciotte di Cervantes. L’unica fuga possibile dal dominio totale del potere è nel mondo fantastico creato dall’immaginazione ed è per questo motivo che il protagonista, Qohen Leth, interpretato magnificamente da Christoph Waltz, rinuncia a scappare con la giovane entraineuse digitale consapevole che non esiste un luogo reale nel mondo che non sia dominato e controllato dall’onnipotente tecnologia che ha preso il posto di Dio nell’immaginario collettivo. Nella chiesa che Waltz abita, insieme a topi e colombi, la statua lignea del cristo crocefisso sull’altare ha al posto della testa una telecamera collegata ai nuovi padroni del mondo. La distruzione della macchina neuronale del suo padrone, il direttore, Matt Damon, incarnazione camaleontica di un potere astratto, che prende la forma ed il colore dello sfondo, e la creazione del suo paradiso personale avverrà nella sua mente laddove finalmente ed esclusivamente è consentito all’individuo di essere veramente libero. L’opera di Gilliam è anche una metafora della sua arte di cineasta che gli permette di inventare con il cinema mondi paralleli e personali che sfuggono alle logiche di mercato dei produttori in cui proiettare la propria anima e l’ultima sequenza, difatti, è ambientata su una spiaggetta di un’isola tropicale che richiama alla mente un set cinematografico con un sole finto con il quale il protagonista, attore del suo stesso film mentale, gioca come fosse una palla in attesa della sua compagna ideale, una nuova Eva per un nuovo Adamo per ricominciare l'avventura della creazione.
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paolp78
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sabato 20 maggio 2023
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fantascienza strampalata e immaginifica
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Il talentuoso regista Terry Gilliam, unico membro americano dei mitici Monty Python, per l’ennesima volta con questa pellicola ascrivibile al genere fantascientifico, propone il suo cinema eccentrico, carico di fervida immaginazione e riflessioni profonde.
Le tematiche che vengono trattate sono, tra le altre, quelle della vita virtuale trascorsa davanti allo schermo di un computer, che genera solitudine, alienazione sociale e in definitiva infelicità. A questa si contrappone l’esistenza più classica e naturale, che contempla necessariamente contatti corporei e relazioni sociali e che quindi risulta essere maggiormente complicata e faticosa.
L’opera di Gilliam prevede anche un piano spirituale e riflessivo della narrazione, tramite il quale l’autore compie una specie di ricerca ontologica del senso della vita.
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Il talentuoso regista Terry Gilliam, unico membro americano dei mitici Monty Python, per l’ennesima volta con questa pellicola ascrivibile al genere fantascientifico, propone il suo cinema eccentrico, carico di fervida immaginazione e riflessioni profonde.
Le tematiche che vengono trattate sono, tra le altre, quelle della vita virtuale trascorsa davanti allo schermo di un computer, che genera solitudine, alienazione sociale e in definitiva infelicità. A questa si contrappone l’esistenza più classica e naturale, che contempla necessariamente contatti corporei e relazioni sociali e che quindi risulta essere maggiormente complicata e faticosa.
L’opera di Gilliam prevede anche un piano spirituale e riflessivo della narrazione, tramite il quale l’autore compie una specie di ricerca ontologica del senso della vita.
Il ritmo della narrazione è molto scorrevole, come sempre nei film del regista statunitense naturalizzato britannico, tuttavia la complessità di alcune tematiche e la loro eccessiva astrattezza ed imperscrutabilità allontana lo spettatore, che non riesce a godersi a pieno la pellicola.
Il ruolo del protagonista è affidato al bravo Christoph Waltz che presenta un insolito look con il capo completamente rasato a zero. Attorno all’attore austriaco, costantemente in scena, Gilliam riunisce un eccellente cast in cui spiccano nei tre ruoli in maggior evidenza la sensuale Mélanie Thierry, l’ottimo David Thewlis e il giovane Lucas Hedges, tutti molto convincenti e bene in parte.
Si segnalano poi le partecipazioni in ruoli minori di due attori di nome grande come Matt Damon e Tilda Swinton.
Come tutte le opere di Gillian anche questa ha un eccellente impatto visivo, anche grazie alle solite scenografie eccentriche ed ai vistosi arredi.
Il finale ricorda un po’ quello di “Brazil”, pellicola che Gilliam diresse a metà anni ’80 ed opera di riuscita senz’altro ben superiore a questa.
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vincenzo ambriola
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sabato 9 luglio 2016
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la vanità di terry gilliam
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Qohen vive da alienato in un mondo incomprensibile. Aspetta una telefonata e che dovrebbe spiegargli il senso della sua vita. Per non vivere a contatto con gli altri alienati che lo circondano accetta di affrontare una missione impossibile, dimostrare il teorema zero. Il resto della storia è così confuso che non è possibile raccontarlo oggettivamente. L'informatica ha pervaso la nostra società, trasformando modi di vivere e di agire che si ritenevano essere oramai stabilizzati. Qualcuno dice che non abbiamo più i calcolatori al nostro servizio ma che siamo noi ad essere diventati delle periferiche (abbastanza) intelligenti da svolgere compiti che le stesse macchine si rifiuterebbero di fare.
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Qohen vive da alienato in un mondo incomprensibile. Aspetta una telefonata e che dovrebbe spiegargli il senso della sua vita. Per non vivere a contatto con gli altri alienati che lo circondano accetta di affrontare una missione impossibile, dimostrare il teorema zero. Il resto della storia è così confuso che non è possibile raccontarlo oggettivamente. L'informatica ha pervaso la nostra società, trasformando modi di vivere e di agire che si ritenevano essere oramai stabilizzati. Qualcuno dice che non abbiamo più i calcolatori al nostro servizio ma che siamo noi ad essere diventati delle periferiche (abbastanza) intelligenti da svolgere compiti che le stesse macchine si rifiuterebbero di fare. Questa visione, portata all'estremo, produce film visionari che in alcuni casi appassionano e fanno riflettere. Non solo Blade Runner, con la sua premonizione sugli androidi e sull'impatto dell'intelligenza artificiale robotica sulla nostra vita quotidiana, ma anche Matrix, Minority Report e tanti altri capolavori che hanno lasciato una traccia indelebile nella storia del cinema. In questo film manca tutto, i dialoghi risotti a un vacuo cianciare pseudo filosofico ispirato a tutte le fonti possibili immaginabili, la scenografia a tratti puerile e scontata, i personaggi appiattiti su fragili macchiette senza identità, la trama inesistente e incoerente. Si salva lui, Christoph Waltz, magnifico nella caleidoscopica interpretazione di Qohen, teatrale spesso e ispirato sempre, e la musica protagonista delle (poche) scene che meritano di essere ricordate. Tutto il resto è vanità del regista.
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filibro
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domenica 10 luglio 2016
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banale e noioso
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Film per nulla originale, seppur cerchi in tutti i modi di sembrarlo.
Protagonista misantropo, solitario e semiautistico, che però cerca il senso della vita in un mondo forzatamente e artificialmente colorato e giocoso, controllato da multinazionali e da grandi fratelli.
Il grottesco, il paradosso, la paranoia, il controllo, la realtà virtuale .. tutte cose viste e riviste, condite da un Waltz costretto in un ruolo pesantissimo, intrappolato in una sceneggiatura lenta e inutilmente cervellotica. Tematiche che alla fine si risolvono in un nulla di fatto, come questo film di Gillian di cui vale la pena solo ricordare il cameo di Matt Damon, fantastico nei suoi capelli platinati e coi suoi improbabili completi in corredo con ogni tipo di tappezzeria, e la spigliatezza di Melanie Thierry, unica nota sexy e frizzante di un film fastidiosamente noioso e inutile.
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Film per nulla originale, seppur cerchi in tutti i modi di sembrarlo.
Protagonista misantropo, solitario e semiautistico, che però cerca il senso della vita in un mondo forzatamente e artificialmente colorato e giocoso, controllato da multinazionali e da grandi fratelli.
Il grottesco, il paradosso, la paranoia, il controllo, la realtà virtuale .. tutte cose viste e riviste, condite da un Waltz costretto in un ruolo pesantissimo, intrappolato in una sceneggiatura lenta e inutilmente cervellotica. Tematiche che alla fine si risolvono in un nulla di fatto, come questo film di Gillian di cui vale la pena solo ricordare il cameo di Matt Damon, fantastico nei suoi capelli platinati e coi suoi improbabili completi in corredo con ogni tipo di tappezzeria, e la spigliatezza di Melanie Thierry, unica nota sexy e frizzante di un film fastidiosamente noioso e inutile.
Peccato, perchè il Gillian di Brazil e delle Dodici Scimmie mi era piaciuto
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