mio federica
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venerdì 25 agosto 2023
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difetti
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Non è un film per bambini perché gli argomenti sono difficili. Bisognerebbe rifare la traduzione. Certe parole e certe frasi sono stonate e con troppi arzigogoli.
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g_andrini
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martedì 17 gennaio 2017
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intenso
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I colori sono sgargianti, frutto di ricercatezza. La storia in sé è un po' superata secondo i canoni moderni ma si lascia apprezzare.
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m.barenghi
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domenica 19 luglio 2015
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....ed è volo pindarico
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Per fortuna ci sta ripensando, il grande Miyazaki, sull'intenzione di interrompere la carriera artistica con questo ultimo film, cje è in realtà un grande omaggio alla vita, al sogno, al volo (tema privilegiato dell'A.), all'amore, ed anche al nostro conte G.Caproni. Jiro Hirikoshi, che nella storia reale diventerà il progettista degli aerei Mitsubishi sui quali centinaia di giovani giapponesi troveranno la morte come kamikaze, lo incontra in sogno fin da bambino: e sarà proprio il conte Caproni ad ispirare e guidare il suo percorso di progettista di aerei.
Ma il film è anche la tenerissima ed idillica storia di un grande amore "coup-de foudre" nato, non a caso, nel segno del volo di un cappello e fiorito e poi alimentatosi con altri poeticissimi voli.
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Per fortuna ci sta ripensando, il grande Miyazaki, sull'intenzione di interrompere la carriera artistica con questo ultimo film, cje è in realtà un grande omaggio alla vita, al sogno, al volo (tema privilegiato dell'A.), all'amore, ed anche al nostro conte G.Caproni. Jiro Hirikoshi, che nella storia reale diventerà il progettista degli aerei Mitsubishi sui quali centinaia di giovani giapponesi troveranno la morte come kamikaze, lo incontra in sogno fin da bambino: e sarà proprio il conte Caproni ad ispirare e guidare il suo percorso di progettista di aerei.
Ma il film è anche la tenerissima ed idillica storia di un grande amore "coup-de foudre" nato, non a caso, nel segno del volo di un cappello e fiorito e poi alimentatosi con altri poeticissimi voli. Saranno proprio queste sequenze che daranno spazio all'altro immenso omaggio del film: quello per la grande pittura europea di fine '800, dal Monet citato direttamente nelle sequenze in cui l'amata sta dipingendo "en plein air", al Magritte de "L'impero delle luci", allo Chagall dei tanti capolavori in cui vola con la sua Bella nel cielo di Vitebsk, tenendola per mano. Si instaura uno splendido gioco di citazioni ed indovinelli rivolti allo spettatore, che ne appagano il senso estetico e risvegliano dei "déjà-vu" fantastici che ci fanno sentire "a casa".
Nella parte centrale il film è un po' lento e a volte si perde nei meandri del racconto, lasciando talora inconclusi alcuni spunti narrativi (Vv l'episodio della polizia politica) che divengono così superflui ed intralciano la scorrevolezza della storia. E' comunque un film imperdibile, godibile anche da un pubblico infantile anche se -tanto per cambiare, trattandosi di Miyazaki- il vero destinatario dell'opera è il pubblico adulto, nonostante la forma scelta, abituale per il grande regista che Miyazaki è.
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zeruel97
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venerdì 3 luglio 2015
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la giusta conclusione
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Non può certo essere considerato un capolavoro come altri film dello stesso miyazaki (vedi il mio vicino totoro o la città incantata) ma sicuramente la giusta e probabile conclusione di carriera del re dell'animazione nipponica è ottima. Miyazaki porta sul grande schermo la vita di un progettista giapponese di aerei da guerra diviso tra il lavoro frenetico nella sua azienda e l'amore per la dolce naoko.
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jackiechan90
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giovedì 14 maggio 2015
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hikoukigumo, il vento della nostalgia
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Non si può vedere questo film né giudicarlo in quanto tale senza considerare il fatto che fin da subito, prima della sua uscita in sala, si sapeva che sarebbe stato l'ultimo film del Maestro dell'animazione giapponese, fattore che ha influenzato in maniera decisamente notevole la sua ricezione da parte del pubblico. C'è, dall'inizio alla fine della storia, un evidente sentimento di decadenza che accompagna la visione e si inserisce tra le pieghe della narrazione.
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Non si può vedere questo film né giudicarlo in quanto tale senza considerare il fatto che fin da subito, prima della sua uscita in sala, si sapeva che sarebbe stato l'ultimo film del Maestro dell'animazione giapponese, fattore che ha influenzato in maniera decisamente notevole la sua ricezione da parte del pubblico. C'è, dall'inizio alla fine della storia, un evidente sentimento di decadenza che accompagna la visione e si inserisce tra le pieghe della narrazione. Nulla, infatti, viene lasciato al caso da Miyazaki, a cominciare dalla scelta del periodo, la Seconda Guerra Mondiale, uno spartiacque naturale della storia contemporanea, alla ricostruzione degli ambienti, usi e costumi dell'epoca, fino alla realizzazione degli aeroplani che, per l'occasione, vengono "doppiati" dagli stessi disegnatori (ascoltando i rumori si capisce che sono fatti con la bocca). Per Myiazaky, infatti, gli aeroplani sono qualcosa di vivo, frutto del lavoro dell'uomo e quindi parte di lui e della sua anima. Per questo vengono trattati al pari dei personaggi protagonisti, anzi si può benissimo affermare che gli aeroplani siano gli "effettivi" protagonisti della storia. La metafora del volo che rimanda alla vita è ripresa di continuo dalla citazione che apre e chiude il film, un verso del poeta Paul Valery (guarda caso, un decadente): "Si alza il vento, bisogna tentare di vivere". Questa racchiude anche tutto il senso dell'opera: esprime la potenza e la forza dei sogni che plasmano la realtà (non il contrario) e possono vincere anche la morte rendendola solo un'illusione, un sogno appunto. Con questo film Miyazaki chiude brillantemente una carriera di "ingegnere di sogni aerei" dopo aver dato vita a universi e personaggi immaginari che, cavalcando le ali della fantasia, hanno sempre cercato di rincorrere le loro illusioni sconfiggendo la morte rappresentata dalla guerra (che in questo film, al contario di quel che si dice, viene aspramente criticata) e dai vizi umani. Chiude il film la splendida colonna sonora di Joe Hisaishi (storico collaboratore di Miyazaki) con la canzone Hikoukigumo che parla del ricordo e della nostalgia. Quella dei film di un Maestro che ha insegnato molto ai bambini, ma soprattutto agli adulti e che ha scritto una pagina di storia del cinema di animazione mondiale.
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sabrina lanzillotti
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venerdì 13 marzo 2015
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il testamento nascosto di hayao miyazaki
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Ci troviamo nel Giappone del 1918 e Jirō Horikoshi, un ragazzino di provincia affetto da una grave miopia, sogna di diventare un progettista d’aerei come Giovanni Battista Caproni, il famoso ingegnere aeronautico italiano, con il quale il protagonista ha modo di confrontarsi durante i suoi sogni.
Un giorno, nel ’22, mentre si trova su un treno diretto a Tokyo conosce Nahoko, una fanciulla destinata a diventare molto importante per il protagonista.
Intanto gli anni passano e Jirō ha la fortuna di lavorare per un breve periodo in Germania, studiando da vicino la più avanzata tecnologia tedesca. L’arretratezza della tecnologia giapponese crea non pochi problemi a Jirō, che vorrebbe realizzare un aereo in grado di far competere l’aviazione nipponica con quella europea.
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Ci troviamo nel Giappone del 1918 e Jirō Horikoshi, un ragazzino di provincia affetto da una grave miopia, sogna di diventare un progettista d’aerei come Giovanni Battista Caproni, il famoso ingegnere aeronautico italiano, con il quale il protagonista ha modo di confrontarsi durante i suoi sogni.
Un giorno, nel ’22, mentre si trova su un treno diretto a Tokyo conosce Nahoko, una fanciulla destinata a diventare molto importante per il protagonista.
Intanto gli anni passano e Jirō ha la fortuna di lavorare per un breve periodo in Germania, studiando da vicino la più avanzata tecnologia tedesca. L’arretratezza della tecnologia giapponese crea non pochi problemi a Jirō, che vorrebbe realizzare un aereo in grado di far competere l’aviazione nipponica con quella europea.
Ma proprio quando lo sconforto sta per prendere il sopravvento, Caproni gli appare nuovamente in sogno mostrandogli un aereo di ultima generazione e sfidandolo a progettarlo.
“Si alza il vento” è un altro piccolo gioiello nello scrigno di Hayao Miyazaki, il maestro dell’animazione e autore di capolavori come “Il castello errante di Howl”, “Principessa Mononoke ” “La città incantata” e la trilogia delle avventure di Lupin III.
Questo film è stato subito definito il “testamento” di Miyazaki e non soltanto perché è l’ultimo lavoro della sua carriera, ma anche perché è colmo di riferimenti alla vita personale del regista, dalla tubercolosi che afflisse la madre per tanti anni, alla fabbrica d’aerei posseduta realmente dal padre.
La storia con la quale il “Walt Disney nipponico” ha deciso di dire addio al suo pubblico è un agglomerato di emozioni spesso contrastanti e portavoce di valori ormai dimenticati.
“Si alza il vento” è una mosca bianca nel panorama cinematografico attuale, uno dei pochi film per il quale valga ancora la pena correre al cinema.
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kyotrix
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giovedì 25 dicembre 2014
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l'arte spesso è noiosa
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Questo film potrà essere anche una perla, ma durante la visione ho sbadigliato parecchio ( adoro tutti gli altri film di Miyazaki ).
A differenza degli altri suoi film, sicuramente non avrò voglia di rivederlo in futuro.
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catcarlo
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mercoledì 17 dicembre 2014
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si alza il vento
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L’annuncio del ritiro dopo l’uscita de ‘La principessa Mononoke’ fu clamorosamente smentito da ‘La città incantata’, ma questa volta le parole di Miyazaki vanno con ogni verosimiglianza prese sul serio: la ferale notizia risulta infatti confermata dalla visione di quest’ultima opera che più di uno, a ragione, ha avvicinato a ‘8 ½’. Si tratta infatti di un film per molti versi autobiografico che unisce gli echi della giovinezza e delle passioni del regista (il cui padre era a capo un’azienda che fabbricava aeroplani) con una riflessione sul travaglio faticoso ma esaltante della creazione. La conseguenza è che nel racconto, che sviluppa un manga dello stesso Miyazaki, manca del tutto la sempre fantasiosa componente sovrannaturale che caratterizza i lungometraggi precedenti e limitatissima è la parte di commedia, riservata quasi solo all’ipercinetico Kurokawa: al loro posto, viene favorita una delicata dimensione onirica che fa da contraltare a uno svolgimento della storia estremamente concreto sia che si tratti dello sviluppo emotivo del protagonista, sia che si discetti dell’evoluzione tecnica dei velivoli, con tanto di precisi dettagli ingegneristici.
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L’annuncio del ritiro dopo l’uscita de ‘La principessa Mononoke’ fu clamorosamente smentito da ‘La città incantata’, ma questa volta le parole di Miyazaki vanno con ogni verosimiglianza prese sul serio: la ferale notizia risulta infatti confermata dalla visione di quest’ultima opera che più di uno, a ragione, ha avvicinato a ‘8 ½’. Si tratta infatti di un film per molti versi autobiografico che unisce gli echi della giovinezza e delle passioni del regista (il cui padre era a capo un’azienda che fabbricava aeroplani) con una riflessione sul travaglio faticoso ma esaltante della creazione. La conseguenza è che nel racconto, che sviluppa un manga dello stesso Miyazaki, manca del tutto la sempre fantasiosa componente sovrannaturale che caratterizza i lungometraggi precedenti e limitatissima è la parte di commedia, riservata quasi solo all’ipercinetico Kurokawa: al loro posto, viene favorita una delicata dimensione onirica che fa da contraltare a uno svolgimento della storia estremamente concreto sia che si tratti dello sviluppo emotivo del protagonista, sia che si discetti dell’evoluzione tecnica dei velivoli, con tanto di precisi dettagli ingegneristici. Il risultato è un lavoro composto di tanti piani che si intersecano l’uno nell’altro rivolgendosi in special modo a un pubblico adulto: la sua complessità va a scapito dell’immediatezza e non mi ha stupito che i tre bambini abbastanza piccoli presenti alla proiezione si siano annoiati a seguire le peripezie della vita di Horikoshi Jiro dai sogni infantili di volo (già peraltro segnati da presenze inquietanti) alla progettazione del Mitsubishi A6M, ovvero il micidiale caccia Zero protagonista della guerra nel Pacifico. Con una notevole abnegazione nello studio e sul lavoro (oltre che fumando una vagonata di sigarette), Jiro compie tutti i passaggi che alla fine, malgrado gli inciampi del percorso, lo condurranno al successo amareggiato però dalla constatazione che dei suoi aerei ‘nessuno è tornato indietro’ mentre sullo schermo le carcasse dei velivoli scorrono grigie e ammucchiate: per ‘aggiungere colore’ (ipse dixit) alla storia, il regista vi ha aggiunto i frequenti sogni in cui il protagonista dialoga con il suo idolo conte Caproni – Ghibli era il soprannome del Caproni Ca.309 – e una tenera storia d’amore senza speranza. I primi consentono di sbrigliare la fantasia celebrando la capacità di vedere oltre il reale e si svolgono tra prati verdi e cieli di un impossibile azzurro, quando nella parte ‘reale’ sono spesso le nuvole, caratterizzate magari da sfumature cupe oppure rossastre, ad avere il sopravvento. La seconda è una tematica non nuova in Miyazaki, anche se svolta anch’essa con toni più adulti, tra baci e la (comunque pudica) rappresentazione della prima notte di nozze. Nei confronti della dedizione di Nahoko, l’atteggiamento di Jiro, tutto dedito alla progettazione, risulta egoistico, ma va tenuto conto che il modo di porsi giapponese nei confronti del proprio impiego è diverso da quello occidentale: in ogni caso, meravigliosa è la scena in cui lui si porta il lavoro a casa e poi lo fa tutto con una mano sola essendo l’altra occupata a stringere quella della moglie malata. Sullo sfondo della storia principale c’è l’accurata ricostruzione del Giappone tra le due guerre, un mondo ancora arretrato e dedito al tabagismo che è però anche il tempo dell’infanzia di Miyazaki: a far da contrappeso spicca una certa fascinazione per l’Occidente, non solo in una sorta di Patto Tripartito del progresso aeronautico, ma anche per una serie di riferimenti culturali che partono sin dal titolo, preso in prestito da una poesia di Paul Valéry (‘Si alza il vento!.../Bisogna tentare di vivere’). Oltre agli accenti classicheggianti dell’azzeccata partitura di Joe Hisaishi, è addirittura esplicito il riferimento a ‘La montagna incantata’ nell’episodio della vacanza montana in cui un personaggio si chiama Castorp come il protagonista del romanzo di Mann – il cui titolo viene tradotto, chissà perché, nel più letterale ma meno canonico ‘La montagna magica’. Questo segmento, benché molto bello oltre che fondamentale, può essere usato anche come esempio per uno dei pochi difetti del film, ovvero la tenuità dei legami tra un momento e l’altro che è causa di alcuni stacchi temporali o svolte della storia davvero bruschi, specie nella prima parte. L’altra lamentela che si può forse fare è quella dell’eccessiva lunghezza, ma è meglio tenere presente che questo è destinato a essere l’ultimo Miyazaki e non è male stare qualche minuto in più in compagnia delle sue avvolgenti atmosfere e, soprattutto, degli splendidi disegni frutto del lavoro dello studio Ghibli (alla raccolta delle sequenze indimenticabili vanno aggiunte almeno quelle del terremoto del Kanto, anno 1923, con le sue onde del terreno che seguono una sorta di urlo dall’abisso): da non perdere, perciò, anche i titoli di coda lungo i quali si alternano come delicati quadri gli sfondi che si sono succeduti lungo tutta la pellicola accompagnati da una canzone di sfrontato e appiccicosissimo appeal pop.
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flaviomarco
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giovedì 16 ottobre 2014
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autobiografico?
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Ho letto nella biografia di Miyazaki che è figlio di un ingegnere che progettava aerei. Sembra quindi che questo film sia un riferimento autobiografico centrato sulla figura del padre. Per il resto, che dire? Disegni splendidi, maestosi, di livello artistico elevatissimo per realizzare un'autentica poesia narrativa. Il capolavoro del maestro dei capolavori.
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kyototemple
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giovedì 25 settembre 2014
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a malincuore una delusione
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Mi costa molto scrivere un commento negativo su un regista che amo e che ho amato in tutti i suoi film, ma in questa che è stata l'ultima (purtroppo) sua creazione mancava il miyazaki della città incantata e dei film storici. C'era troppo realismo e poca magia; mancava la strega delle lande, mancava Calcifer nelle vesti di fuoco, mancava totoro con il suo sorriso gigante nascosto nell'albero, mancava quel tocco di fantasia che ti fa sognare. Un film con una trama trita e ritrita (molto boheme di Puccini) che però ci àncora troppo alla realtà e ci mantiene con i piedi fermi al suolo.
Elementi positivi: la passione che spinge gli animi, l'inseguire un sogno sin da piccolo; e ovviamente la capacità narrativa del maestro.
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Mi costa molto scrivere un commento negativo su un regista che amo e che ho amato in tutti i suoi film, ma in questa che è stata l'ultima (purtroppo) sua creazione mancava il miyazaki della città incantata e dei film storici. C'era troppo realismo e poca magia; mancava la strega delle lande, mancava Calcifer nelle vesti di fuoco, mancava totoro con il suo sorriso gigante nascosto nell'albero, mancava quel tocco di fantasia che ti fa sognare. Un film con una trama trita e ritrita (molto boheme di Puccini) che però ci àncora troppo alla realtà e ci mantiene con i piedi fermi al suolo.
Elementi positivi: la passione che spinge gli animi, l'inseguire un sogno sin da piccolo; e ovviamente la capacità narrativa del maestro.
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