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Un film inchiesta venato di poesia che è, al contempo, una denuncia del degrado del parco Saraceno a Castel Volturno ed un appassionata dichiarazione d’amore per il popolo di diseredati e di resistenti che lo abita. Il fattore umano a Napoli e dintorni è insidioso, empatizzare è facile con i personaggi reali del docufilm e rischia di sviare allontanando dalla questione. Purtroppo serve a poco, il colore ed il calore non risolvono nulla. Le cose restano invariate nonostante le chiacchiere e le promesse dei politici, nonostante l’impegno civile di artisti e di registi, come appunto Montesarchio, che tutt’al più possono fare da cassa di risonanza o trarne spunto per un’opera significativa. Al di là delle palazzine fatiscenti e diroccate, delle finestre murate, degli allacci abusivi di luce e di acqua, ci sono le storie di personaggi che il soprannome rende mitologici. O’ Mericano, Lapide, o’ Sceicco, la Cinese, sono creature divine che abitano un inferno di cemento costruito sulle rive del mare, nato per essere una meta turistica negli anni sessanta, requisito in parte per accogliere i terremotati dell’80, quindi occupato dai senzatetto ed infine totalmente abbandonato dalle istituzioni. Quei luoghi saranno in seguito scelti come location di film più fortunati commercialmente come il bellissimo Dogman di Garrone, per raccontare tuttavia una storia che si è svolta altrove, ed Il vizio della speranza di Edoardo De Angelis. In questi film però si parla d’altro ed il luogo nella sua suggestività è funzionale alla narrazione. In Ritratti abusivi il luogo e le persone che ci vivono non sono lo sfondo per un’altra rappresentazione, sono invece i protagonisti assoluti, tragici e reciprocamente inscindibili, della storia di un pezzo di territorio italiano di cui lo Stato si è colpevolmente dimenticato.
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