mirko
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mercoledì 16 marzo 2022
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visivamente potente , niente più
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Questo film (fanta)scientifico di Cuaron splende nel suo lato tecnico ed estetico (movimenti di camera sapienti , fotografia ottima e sequenze orchestrate molto bene ) .
Anche il comparto sonoro da la sua marcia in più , regalandoci musiche evocative ed emozionanti.
La sceneggiatura splende nel lato scientifico ma per quanto riguarda la trama essa è abbastanza banale e ha un evolversi lineale , con uno svolgimento e una conclusione abbastanza previdibili....sulla costruzione dei dialoghi si poteva dare di più , ma non ci sì può lamentare più di tanto quando in scena (per la maggior parte del tempo) vi è solo una persona.
La recitazione infine accontenta ma non convince sempre pienamente;
Questo Gravity tuttavia ci regala un rappresentazione di una storia vista e rivista ma in un formato visivo potente che sa regalarci emozioni e sa sicuramente intrattenere senza mai annoiare , peccato però perché secondo me questa pellicola poteva avere una spinta in più , perfezionando abilmente la trama e .
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domenica 14 novembre 2021
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ma che stai a di?
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Almeno l hai visto il film? Cioè così fai perdere tempo e denaro alle persone. La prossima volta guardalo. Penso sia il peggior film che io annua mai visto dopo quello dei teletubbies. È patetico, senza una storia, non ha né capo né coda. Un avventura indica che capiti qualcosa ed invece ci sono solo i detriti a farla da padrone. Il momento di climax è quello.
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harroldthebarrel
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domenica 7 febbraio 2021
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ambiziosamente metaforico
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I primi venti minuti sono esteticamente davvero suggestivi. Poi il film prende tutt'altra piega, che non convince. Certo, la condizione della sospensione dell'astronauta nello spazio vorrebbe essere la metafora (resa in fondo in modo straordinariamente materiale) del sentimento di totale estraniazione da un mondo che non ci appartiene più, o meglio del quale non ci sentiamo più parte. E che ci può apparire bello solo se lo guardiamo da lontano se non ne siamo coinvolti sentendo il "peso della gravità". Il percorso della protagonista è quello della riappropriazione del senso dell'esistenza. Tuttavia questo si sviluppa in modo piuttosto scontato (a un certo punto sembra quasi piombare in un altro film, tipo Apollo 13, facendo anche perdere la magia iniziale).
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I primi venti minuti sono esteticamente davvero suggestivi. Poi il film prende tutt'altra piega, che non convince. Certo, la condizione della sospensione dell'astronauta nello spazio vorrebbe essere la metafora (resa in fondo in modo straordinariamente materiale) del sentimento di totale estraniazione da un mondo che non ci appartiene più, o meglio del quale non ci sentiamo più parte. E che ci può apparire bello solo se lo guardiamo da lontano se non ne siamo coinvolti sentendo il "peso della gravità". Il percorso della protagonista è quello della riappropriazione del senso dell'esistenza. Tuttavia questo si sviluppa in modo piuttosto scontato (a un certo punto sembra quasi piombare in un altro film, tipo Apollo 13, facendo anche perdere la magia iniziale). La colpa è forse anche della sfilza di premi incassati da questo film, che creano enormi aspettative, come se si stesse per assistere a un capolavoro. Che, obiettivamente, Gravity non è
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cinephilo
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lunedì 19 novembre 2018
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tutto (ma solo) il tecnicismo di cuarón
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Gravity è quello che si può definire un elegante esercizio di chi sa, a ragione, di essere un fenomeno della regia e del montaggio. Alfonso Cuaròn fa sfoggio delle sue incredibili abilità dietro alla macchina da presa sfociando però in virtuosismi un po' fini a sè stessi. Il film manca di una sceneggiatura all'altezza e di una vera storia da raccontare. Ne risulta un film moderno, sicuramente all'avanguardia ma piuttosto vuoto. L'unica scena degna di nota e ricca di significato è quella in cui vediamo fluttuare nello spazio l'astonauta (Un melenso Clooney) rannicchiato in posizione fetale con il filo stretto in vita (quasi a simboleggiare un cordone ombelicale in una scena che riporta a un tutt'uno tra il creato e l'universo che lo contiene e che gli ha dato vita).
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Gravity è quello che si può definire un elegante esercizio di chi sa, a ragione, di essere un fenomeno della regia e del montaggio. Alfonso Cuaròn fa sfoggio delle sue incredibili abilità dietro alla macchina da presa sfociando però in virtuosismi un po' fini a sè stessi. Il film manca di una sceneggiatura all'altezza e di una vera storia da raccontare. Ne risulta un film moderno, sicuramente all'avanguardia ma piuttosto vuoto. L'unica scena degna di nota e ricca di significato è quella in cui vediamo fluttuare nello spazio l'astonauta (Un melenso Clooney) rannicchiato in posizione fetale con il filo stretto in vita (quasi a simboleggiare un cordone ombelicale in una scena che riporta a un tutt'uno tra il creato e l'universo che lo contiene e che gli ha dato vita). Un po' poco in un'ora e mezzo di film.
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fabio
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martedì 14 agosto 2018
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poco avvincente. convenzionale
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Restiamo ben dentro i canoni del genere con quest'opera di Cuaròn.
Ottimi effetti speciali e bella fotografia. Interpreti all'altezza.
Cosa manca allora? La fantascienza non è un genere facile tutt'altro. Manca la dimensione epica, l'assoluto con cui il piccolo uomo si confronta.
Cosa resta allora? Resta un film ottimo dal punto di vista tecnico che potrà sicuramente interessare gli amanti del genere.
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greatsteven
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giovedì 21 giugno 2018
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sci-fi innovativa e un oceano di creatività.
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GRAVITY (USA/UK, 2013) diretto da ALFONSO CUáRON. Interpretato da SANDRA BULLOCK, GEORGE CLOONEY, ED HARRIS (voce)
La dottoressa Ryan Stone è un’esperta ingegnere biomedico alla sua prima missione spaziale, la STS-157. Assieme a lei sullo Space Shuttle Explorer c’è l’astronauta Matt Kowalski, alla sua ultima missione nello spazio prima del pensionamento. Durante una passeggiata all’esterno dello Shuttle per alcuni lavori di manutenzione sul telescopio spaziale Hubble, vengono avvertiti dal Controllo Missione di Houston che un missile russo ha colpito un satellite ormai in disuso, provocando un’esplosione che a sua volta ha innescato una reazione a catena di detriti che si muovono ad altissima velocità.
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GRAVITY (USA/UK, 2013) diretto da ALFONSO CUáRON. Interpretato da SANDRA BULLOCK, GEORGE CLOONEY, ED HARRIS (voce)
La dottoressa Ryan Stone è un’esperta ingegnere biomedico alla sua prima missione spaziale, la STS-157. Assieme a lei sullo Space Shuttle Explorer c’è l’astronauta Matt Kowalski, alla sua ultima missione nello spazio prima del pensionamento. Durante una passeggiata all’esterno dello Shuttle per alcuni lavori di manutenzione sul telescopio spaziale Hubble, vengono avvertiti dal Controllo Missione di Houston che un missile russo ha colpito un satellite ormai in disuso, provocando un’esplosione che a sua volta ha innescato una reazione a catena di detriti che si muovono ad altissima velocità. Mentre l’equipaggio comincia più in fretta possibile il ritorno nell’Explorer per riatterrare prima che si può, i detriti colpiscono e danneggiano molto gravemente sia lo Shuttle che il telescopio, uccidendo il collega Shariff e gli altri colleghi, lasciando Stone e Kowalski da soli alla deriva nello spazio, poiché anche i ponti radio con Houston che garantivano il collegamento hanno riportato danni. Il comandante Kowalski, l’unico a disporre di uno zaino jet, riesce a recuperare Stone, che fluttuava nel vuoto senza controllo dopo l’incidente e a riagganciarla con un cavo. Con lo Shuttle in frantumi e attendendo la seconda micidiale ondata di detriti, la loro sola speranza è raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale, distante pochi chilometri da dove stavano operando in orbita. Col propellente esaurito i due arrivano a destinazione, tuttavia Kowalski è costretto a sacrificarsi lasciandosi andare alla deriva nello spazio per evitare la medesima sorte anche alla dottoressa. Affranta dal sacrificio di Matt, Ryan, che ha quasi terminato la scorta d’ossigeno, riesce a penetrare nella stazione, lesa, disabitata e piena di oggetti fuori posto. Tenta di raggiungere il veicolo spaziale Sojuz in tutta fretta a causa del divampare di un incendio che la costringe a staccarsi dalla stazione, ma il paracadute di frenata, impigliatosi nella struttura dopo la sua apertura a causa dell’impatto coi detriti, le impedisce di staccarsi. Solo tornando all’esterno potrà liberare il paracadute, ma l’ennesimo getto portentoso di detriti la sorprende mentre cerca di svolgere l’operazione e solo a fatica riesce a re-infilarsi nel Sojuz, mentre la Stazione Spaziale Internazionale viene anch’essa demolita. Con la navetta russa pesantemente compromessa e senza paracadute non può tornare sulla Terra, pertanto ha come ultima risorsa quella di dirigersi verso la stazione cinese Tiangong 1. Dentro il modulo del Sojuz, la dottoressa ottiene un insperato contatto via radio e lancia il mayday, ma le risponde un radioamatore Inuit e non Houston come aveva per un momento auspicato. La donna sente, dall’altra parte, guaiti di cani e il pianto d’un neonato che per qualche istante la rasserenano. Il motore principale del Sojuz non s’attiva e Stone è già pronta a lasciarsi morire serrando l’erogazione d’ossigeno nella capsula. Improvvisamente, fuori dalla stazione, compare Matt – in realtà un’allucinazione dell’ingegnere – che la scuote con bonarietà dalla sua disperazione e le consiglia di adoperare i razzi di atterraggio del modulo della navetta russa per imprimere abbastanza movimento al fine di avvicinarsi alla stazione cinese. La Tiangong 1 viene così raggiunta, ma sta velocemente perdendo quota. A bordo della navetta di salvataggio cinese Shenzhou, sganciata dalla stazione cinese poco prima della sua distruzione all’ingresso nell’atmosfera, Stone affronta l’incandescente discesa nell’atmosfera terrestre e riesce ad ammarare nel lago di una landa desolata presso un luogo imprecisato, dove però stan già arrivando i soccorsi chiamati via radio durante la sua discesa. L’universo non è più l’ultima frontiera, non v’è alcunché da esplorare nell’ottavo film di Cuáron; si resta ad un passo dal pianeta Terra, ma lo scenario non si allontana comunque troppo dai deserti selvaggi del cinema western, un topos talmente straniante da confinare con il mistico, l’unico restato in cui permanga ancora la sensazione che ogni cosa possa avvenire, in cui si avverte la presenza dell’ignoto e dunque viene messa a dura prova l’essenza stessa dell’umanità pura e autentica. C’è tutto ciò nel blockbuster con Bullock e Clooney che Cuáron è riuscito ad imbastire senza spostarsi dalle consuete convenzioni hollywoodiane, quelle che impongono l’inevitabile coincidenza dell’avventura personale con un cambiamento interiore e l’elaborazione del trauma immancabile radicato nel passato. Eppure, al di là dei dialoghi ruffiani e di una tensione obbligatoriamente continua, tenuta con una padronanza della messinscena realizzata per intero in computer graphica che ha del magistrale, non è nemmeno troppo nascosto uno dei film più umanisti dell’annata, in questo agevolato anche dai racconti riportati dagli stessi due protagonisti, la prima che ricorda la figlia morta mentre giocava a scuola con una tenerezza straziante e il secondo che si rammenta di eventi goliardici del suo passato "carnevalesco". La visione prettamente statunitense dell’universo, un luogo di peripezie in cui l’uomo deve affrontare ogni sorta di avversità naturale, questa volta è fusa con quella promossa dal rivale di sempre, il cinema sovietico degli anni 1970, in cui lo spazio è il posto più vicino possibile alla metafisica: il teatro di visioni interiori che diventano realtà e di incontro con il sé più profondo, finché non si tocca addirittura l’idea di origine (o ritorno) proposta in 2001: Odissea nello spazio, quando, in un momento di struggente meraviglia, il corpo di Bullock sembra danzare con leggiadra lentezza. Per il regista e montatore messicano lo spazio può essere tutto questo al tempo stesso, come il suo film può essere tanto un blockbuster quanto un’opera che si ripromette di analizzare la profondità dell’animo umano, realizzata con una sceneggiatura (scritta col figlio Jonás) fitta di conversazioni e molto imperniata sulla recitazione (quale una pellicola a basso budget) e animata dall’immensa fantasia che consente alla già citata messinscena in computer graphica di strabiliare. Un lungometraggio, infine, che abbraccia la fantascienza pur senza trascurare il suo preponderante lato avventuroso, nel quale un uomo e una donna combattono in scenari naturali mozzafiato, capaci di far battere il cuore anche semplicemente quando un raggio di luce penetra dal vetro dell’oblò dell’astronave. 7 Oscar: regia, fotografia (Emmanuel Lubezki), montaggio (A. Cuáron e Mark Sanger), effetti speciali (Tim Webber, Chris Lawrence, David Shirk, Neil Corbould, Nikki Penny), sonoro (Skip Lievsay, Christopher Benstead, Niv Adiri, Chris Munro), montaggio sonoro (Glenn Freemantle), colonna sonora (Steven Price).
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steffa
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domenica 29 aprile 2018
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film d'azione esasperata
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Non adoro il termine ma è proprio il caso di parlare di grande "americanata", un film d'azione portata all'ennesima potenza fino alla nausea, con una lunga concatenazione stechiometrica di eventi che si susseguono senza sosta dall'inizio alla fine. Clooney davvero OK, mentre la Bullock dopo ore di incredibili peripezie sembra sempre appena uscita dalla vasca da bagno. Ricapitolando : Poesia -0, Effetti speciali da 5 +. Per chi ama il genere.
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dandy
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mercoledì 18 ottobre 2017
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scritto probabilmente in assenza d'ossigeno temo..
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Ok,si tratta di un film fatto per emozionare ed entusiasmare lasciando in secondo piano inverosimiglianze e forzature.E ci riesce:la prima mezz'ora è tesa e incalzante,la breve durata funzionale,i 2 interpreti costretti a recitare quasi sempre intutati e col volto seminascosto dai caschi sono bravissimi(la Bullock dovrebbe trovare il modo di sganciarsi dalle commediacce-pattume a cui sembra essersi autocondannata e sforzarsi di trovare più ruoli come questo) e gli effetti speciali(che avrebbero richiesto ben 5 anni di lavorazione)magnifici.Ma dalla seconda parte in poi il film si spinge veramente troppo oltre nel inanellare piogge di detriti che sembrano arrivare a comando,e insistendo un personaggio che da novellino e spaurito riesce sempre per pura fortuna a trovare la soluzione ai problemi.
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Ok,si tratta di un film fatto per emozionare ed entusiasmare lasciando in secondo piano inverosimiglianze e forzature.E ci riesce:la prima mezz'ora è tesa e incalzante,la breve durata funzionale,i 2 interpreti costretti a recitare quasi sempre intutati e col volto seminascosto dai caschi sono bravissimi(la Bullock dovrebbe trovare il modo di sganciarsi dalle commediacce-pattume a cui sembra essersi autocondannata e sforzarsi di trovare più ruoli come questo) e gli effetti speciali(che avrebbero richiesto ben 5 anni di lavorazione)magnifici.Ma dalla seconda parte in poi il film si spinge veramente troppo oltre nel inanellare piogge di detriti che sembrano arrivare a comando,e insistendo un personaggio che da novellino e spaurito riesce sempre per pura fortuna a trovare la soluzione ai problemi.Lo scivolone peggiore,veramente imperdonabile,è l'allucinazione con annessi "consigli".Sul serio,ma cosa s'era bevuto lo sceneggiatore quando ha partorito questa trovata?Che fosse in orbita pure lui?Un vero peccato,perchè l'idea in questione era veramente azzeccata,e i momenti toccanti non mancano(gli ultimi dialoghi a distanza tra i protagonisti;la "conversazione" tra Ryan e il cinese sulla terra).Bellissime le musiche di Steve Price.Grande successo,decisamente troppo,con 10 nominations e ben 7 premi Oscar(regia;effetti speciali;fotografia;montaggio;colonna sonora;sonoro e montaggio sonoro).
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