Blue Jasmine |
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Un film di Woody Allen.
Con Alec Baldwin, Cate Blanchett, Louis C.K., Bobby Cannavale.
continua»
Commedia drammatica,
Ratings: Kids+13,
durata 98 min.
- USA 2013.
- Warner Bros Italia
uscita giovedì 5 dicembre 2013.
MYMONETRO
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Vicina all'esaurimento nervoso, gioca la sua carta
di Great StevenFeedback: 70028 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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lunedì 13 luglio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
BLUE JASMINE (USA, 2013) diretto da WOODY ALLEN. Interpretato da CATE BLANCHETT, ALEC BALDWIN, SALLY HAWKINS, BOBBY CANNAVALE, LOUIS C. K., ANDREW DICE CLAY, PETER SARSGAARD, MICHAEL STUHLBARG, MAX CASELLA, ALDEN EHRENREICH
La newyorkese Jeanette Fletcher, detta Jasmine, ricca e incasinata, si trasferisce a San Francisco dalla sorella adottiva Ginger, madre di due figli e in procinto di separarsi dal grezzo marito Oggy, per riprendersi da un periodo difficile che l’ha vista al centro della fuga precipitosa di Hal, il marito finanziere, fedifrago e, all’insaputa della consorte, coinvolto in uno scandalo economico che l’ha spinto a rubare milioni di dollari ad un’associazione. Preda degli psicofarmaci e ossessionata da manie incontrollabili, Jasmine cerca di impegnarsi col lavoro di impiegata in uno studio dentistico e con un corso d’informatica che dovrebbe insegnarle ad utilizzare il computer, ma il richiamo del glamour degli eventi trascorsi e i rischi che incontra nella costruzione del suo futuro non le renderanno certo vita facile nel comporre i tasselli di una tranquillità a lungo agognata e mai veramente raggiunta. Nel cinema di Allen è consueto aver a che fare con personaggi nevrotici o comunque impelagati in crisi esistenziali e magagne psichiatriche, e la donna ansiosa ma pur sempre combattiva di una straordinaria C. Blanchett (premiata alla cerimonia del 2014 con l’Oscar alla miglior attrice, il secondo della sua brillantissima carriera) non fa eccezione, con l’aggiunta di una forza di volontà che la contraddistingue fin dal principio per come la stessa viene applicata in circostanze sempre sfavorevoli e in definitiva mai pronte a porre un velo pietoso su un mucchio interminabile di traversie. Dopo gli abituali titoli di testa a ritmo di jazz con i caratteri mai cambiati da trent’anni a questa parte, la maturità di scrittura di Allen e la resa recitativa della protagonista femminile si abbinano perfettamente per fabbricare un prodotto qualitativamente godibile e fruibile non solo dal pubblico di vecchia data che ama le commedie statunitensi firmate dal regista più improbabile e originale capace di metterle sul mercato. Perlomeno l’attore-regista-sceneggiatore, che decide di attribuire alla sua protagonista la sua reale provenienza geografica (egli è infatti nato nella Big Apple), espone con chiarezza ed efficacia le difficoltà che esistono oggi per una donna altolocata nel trovare una serenità interiore e una professionalità quantomeno decente, data l’onnipresenza di una mondializzazione spersonalizzante e la pressione degli stili di vita proposti dai mass media, che riescono immancabilmente a influenzare gli individui più babbei e sprovveduti. L’umorismo, come sempre accade nelle sue opere, non travisa la tristezza di fondo nell’analisi spietata e imperterrita della personalità umana, dei difetti eventuali e pur tuttavia determinanti, dei rapporti che raramente funzionano come ci si aspetta e delle casualità che finiscono puntualmente per rovinare i fragili piani, le idee balzane e i programmi progettati ad hoc. Oltre alla prestazione dell’attrice australiana, che questa volta regala agli spettatori un connubio di forza e vulnerabilità veramente accattivante, sono da ammirare anche le performance di S. Hawkins (sorella indecisa, amante del sesso libero, schifosamente abitudinaria e dalla sensualità imbranata) e di un A. Baldwin più mascalzone che mai, infrollito dagli agi del benessere e circondato da un’aura di intoccabilità dietro la quale cela la sua autentica natura di traditore infedele e gelido manipolatore. Solo una nota di protesta nei confronti del doppiaggio italiano: naturalmente la Blanchett mantiene il suo ardore e la sua espressività anche quando viene doppiata, ma per quale motivo cambiare la sua voce italiana ogni volta? Se solo le si trovasse una doppiatrice ufficiale, il problema verrebbe risolto alla radice una volta per tutte. Il suo dialogo con la macchina da presa, che tira fuori il meglio di sé nel surreale finale sulla panchina, vibra di potenza indiscutibile e sfodera la compassione per sé stessa insieme al gusto sofistico per le scelte interpersonali.
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