La sposa promessa |
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Un film di Rama Burshtein.
Con Hadas Yaron, Yiftach Klein, Irit Sheleg, Chayim Sharir, Razia Israeli.
continua»
Titolo originale Lemale Et Ha'Chalal.
Drammatico,
durata 90 min.
- Israele 2012.
- Lucky Red
uscita giovedì 15 novembre 2012.
MYMONETRO
La sposa promessa
valutazione media:
3,38
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Amare oggi a Tel Avivdi Aloisa ClericiFeedback: 500 | altri commenti e recensioni di Aloisa Clerici |
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sabato 1 dicembre 2012 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il film d’esordio di Rama Burshtein, La sposa promessa è innanzitutto, un’interessante documento sociale, un lungometraggio che racconta un mondo a noi occidentali quasi sconosciuto, quello della comunità ebraica. Dalla prospettiva proposta dal film, si rileva sin dalle prime immagini la stridente forza di una realtà sociale chiusa e rigida, opprimente e severa, all’interno del quale i matrimoni sono ancora combianti dalle famiglie e la condizione femminile è legata alla presenza/dipendenza della figura di uomo-patriarca. La storia si svolge nella Tel Aviv dei giorni nostri, all’interno della comunità ebraica ortodossa di corrente chassidica, ma la stato di “attualità” è individuabile solamente dalla presenza di oggetti di tecnologia moderna, mentre usi e costumi ricordano atmosfere di mezzo secolo fa. La Burshtein fa strada allo spettatore tra la polvere di città e, con indiscutibile eleganza, lo invita ad entrare nella casa di una famiglia e a conoscerne gerarchia, componenti, riti e usanze, fino a far emergere i sentimenti più intimi dei personaggi, smascherandone fragilità e paure dettate dall’obbligo di riferirsi ai costrittivi schemi comportamentali di una comunità. Il personaggio centrale è la diciottenne Shira, sorella minore di Esther, che attende un figlio dal marito Yochai. Shira è figlia di un rabbino della comunità ortodossa ed è stata promessa in sposa ad un coetaneo che non ha ancora conosciuto. Ma Esther muore di parto e la serenità della famiglia si spegne immancabilmente per trasformarsi in uno stato angoscioso di cordolgio e disperazione che porterà a rivoluzionare i progetti futuri di ognuno. La moglie del rabbino, nell’ipotesi che Yochai se ne vada in Belgio col nipotino Mordechai e si crei un nucleo familiare lontano da lei, gli propone di considerare la piccola Shira come futura sposa, che sarà a causa di questa difficole scelta da compiere, investita di una abnorme responsabilità nei confronti delle aspettative delle famiglia, della memoria della sorella, del rispetto di se stessa e di Yochai. La narrazione è fluida e lenta, scandita da lunghi silenzi in cui i primi piani riempiono la maggior parte delle scene. I dialoghi sono succinti ed essenziali, ma mai casuali o inutili, e spesso la parola è demandata all’intensità degli sguardi che diventano rivelatori di emozioni la cui forza è alla continua ricerca di una forma espressiva che risulti socialmente congrua. L’altrenanza di diverse messe a fuoco non sono poi così funzionali, sembrano più sperimentazioni registiche che scelte precise; nonostrante ciò, non disturbano, ma accompagnano semplicemente lo scorrere della vicenda. L’aspetto religioso non è il cuore del film, e anche se la figura del rabbino padre è un riferimento di spiritualità elevata e solonne, a tratti riesce a svelare un’ironia e una dolcezza assolutamente inaspettati, che spezzano il ritmo fisso e clausfrofobico che emana l’elaborazione filmica. I personaggi di Shira e Yochai inoltre, nonostante la rigidità della partitura monocorde che sono portati a percorrere, finiscono per diventare portavoce di sentimenti profondi come comprensione umana e solidarietà. Per questo La sposa promessa è da considerarsi una storia dl’amore, o meglio di un certo tipo di amore che non appartiene alla nostra cultura, ma spinge a considerare una volta in più il valore dei sentimenti umani e delle sue misteriose e poetiche forme.
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