ninoraffa
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lunedì 4 settembre 2017
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questione di sentire
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I buoni film, forse, più che indicarci qualcosa di nuovo, servono a riflettere su quello che già sappiamo. Così la Sposa Promessa ci dice qualcosa sugli Ebrei Ortodossi, i loro costumi e gli scrupolosi riti che ne scandiscono il quotidiano, ma è soprattutto occasione di tornare su di noi, da loro così distanti.
Tel Aviv. La diciottenne Shira, figlia minore di un rabbino chassidico, è in età di matrimonio; la famiglia sta quindi provvedendo a trovarle marito e anche un supermercato casher può essere un buon posto per un primo contatto, naturalmente accompagnata dalla madre, a debita distanza e senza una parola. Nel tranquillo svolgersi della combinazione tra rabbini, la morte di parto della sorella Esther, sovvertirà ogni piano: la madre di Shira, temendo di perdere il nipotino nato da poco, propone alla figlia di sposare lo stesso Yochai, al quale intanto sono state offerte nuove nozze all’estero.
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I buoni film, forse, più che indicarci qualcosa di nuovo, servono a riflettere su quello che già sappiamo. Così la Sposa Promessa ci dice qualcosa sugli Ebrei Ortodossi, i loro costumi e gli scrupolosi riti che ne scandiscono il quotidiano, ma è soprattutto occasione di tornare su di noi, da loro così distanti.
Tel Aviv. La diciottenne Shira, figlia minore di un rabbino chassidico, è in età di matrimonio; la famiglia sta quindi provvedendo a trovarle marito e anche un supermercato casher può essere un buon posto per un primo contatto, naturalmente accompagnata dalla madre, a debita distanza e senza una parola. Nel tranquillo svolgersi della combinazione tra rabbini, la morte di parto della sorella Esther, sovvertirà ogni piano: la madre di Shira, temendo di perdere il nipotino nato da poco, propone alla figlia di sposare lo stesso Yochai, al quale intanto sono state offerte nuove nozze all’estero.
Brillante e raffinato esordio della regista israeliana Rama Burshtein, La sposa promessa guarda con normalità e sorvegliata simpatia al mondo chassidico che per tutto il film assume le dimensioni dell’universo intero. Un mondo unico e tutto d’un pezzo, fermo a precetti millenari di cui non capiamo il senso, ma che in qualche modo ci tocca attraverso la serena convinzione dei suoi abitanti; ché in fondo separazione tra i sessi, matrimoni combinati e seconde nozze tra cognati in caso di vedovanza, non sono bizzarrie esclusive di chi gira in talled, la barba lunga, trecce e filatteri in testa, ma furono usi correnti tra i nostri nonni.
Shira viene formalmente lasciata libera di scegliere. Una sua zia invalida, in gioventù ha rifiutato un buon partito semplicemente perché non le piaceva. Shira è benestante, istruita, informata, ben consapevole di ciò che perde sposando Yochai. In uno dei loro incontri rivendica lucidamente che con queste nozze lei sta rinunciando a ciò che di meraviglioso e nuovo accade tra due giovani che s’incontrano e amano per la prima volta. A lei, invece, si chiede soprattutto di essere una buona madre per il piccolo Mordechai.
Eppure Shira accetterà. Influenzata dalla madre-matriarca, certamente. Possiamo pure aggiungere il condizionamento di una rigida educazione religiosa basata sull’etica del sacrificio, specie femminile; e la soggezione assoluta alla (per noi, molto presunta) volontà di Dio; per non parlare della svalutazione del sé rispetto alla comunità, inculcata sin da piccola. Tutto ciò fa di Shira una vittima, e l’ultima inquadratura dopo le nozze, lo sguardo sospeso, sola con Yochai in un angolo della camera da letto, sembra confermarlo. Shira è una che chiede a Dio la forza di alzarsi; lo stesso Yochai cerca di leggere nella preghiera i segni che dirigano i suoi passi incerti. Per noi sono debolezze. Noi abituati a cavarcela da soli, ad anteporre noi stessi, ad amare per il nostro bene, a cercare la libertà nel senso assoluto e inevitabilmente egoistico del termine.
Interrogata dal rabbino prima delle nozze sui suoi sentimenti Shira dice: non è questione di sentire. E questi risponde: è solo questione di sentire. E lei ancora: c’è un compito da svolgere e vorrei che tutti fossero soddisfatti. Fare ciò che si deve, eppure secondo un sentimento: amare per dovere; dovere che torna a diventare amore. Sembra questo l’insensato senso del mondo di Rama Burshtein. Eppure libertà, amore e sentimento non necessariamente devono avere l’unico significato che piace a noi. La sposa promessa è quel significato diverso.
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stefanocapasso
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lunedì 22 maggio 2017
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scelte d'amore
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La diciottenne Shira, figlia del rabbino della comunità ortodossa di Tel Aviv, sta per conoscere il fidanzato propostole dalla famiglia. I suoi sogni vengono infranti dalla morte durante il parto della sorella Esther. Rimasto solo con il figlio, Yochay, marito della sorella, valuta la possibilità di sposare una donna che vive in Belgio per dare una famiglia al figlio. Per evitare questo distacco la famiglia di Shira le chiede di sposare Yochay cosi che possa rimanere con loro insieme al bambino
Film molto bello, intenso e suggestivo questo di Rama Burshtein che ci porta dentro le tradizioni intime delle famiglie e delle comunità ebraiche. C’è sempre una luce bianca sulla scena che sembra simboleggiare la presenza di Dio, in nome del quale tutti i personaggi compiono le loro scelte.
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La diciottenne Shira, figlia del rabbino della comunità ortodossa di Tel Aviv, sta per conoscere il fidanzato propostole dalla famiglia. I suoi sogni vengono infranti dalla morte durante il parto della sorella Esther. Rimasto solo con il figlio, Yochay, marito della sorella, valuta la possibilità di sposare una donna che vive in Belgio per dare una famiglia al figlio. Per evitare questo distacco la famiglia di Shira le chiede di sposare Yochay cosi che possa rimanere con loro insieme al bambino
Film molto bello, intenso e suggestivo questo di Rama Burshtein che ci porta dentro le tradizioni intime delle famiglie e delle comunità ebraiche. C’è sempre una luce bianca sulla scena che sembra simboleggiare la presenza di Dio, in nome del quale tutti i personaggi compiono le loro scelte. Condizione che pone in bilico tra la costrizione e la possibilità di scelte che sono d’amore e che lasciano spazio anche alle contraddizioni personali, ai dubbi e ai ripensamenti. Perché quando si opera per un bene superiore la scelta giusta è stata già fatta.
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arnaco
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giovedì 21 aprile 2016
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amore
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Nonostante tutto congiuri a suo favore non riesco a provare empatia per Shira che pure è vittima di una cultura in cui sopravvivono molti rituali odiosi (ma è un giudizio soggettivo) tra cui quello del matrimonio combinato, per altro diffuso in altre comunità, non solo del passato. Il matrimonio combinato non significa necessariamente assenza di amore, che a volte può nascere dopo, ma anche durante il fidanzamento. Mi domando: Shira è innamorata del suo promesso sposo (non molto attraente in verità)? Non sembra proprio, almeno come spettatori non ce ne viene data nessuna evidenza; durante il colloquio con il cognato reclama solo di avere il diritto di sposare un suo coetaneo e va bene, la si potrebbe anche capire se il cognato fosse un vecchio repellente, ma invece ha solo qualche anno di più ed è pure belloccio.
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Nonostante tutto congiuri a suo favore non riesco a provare empatia per Shira che pure è vittima di una cultura in cui sopravvivono molti rituali odiosi (ma è un giudizio soggettivo) tra cui quello del matrimonio combinato, per altro diffuso in altre comunità, non solo del passato. Il matrimonio combinato non significa necessariamente assenza di amore, che a volte può nascere dopo, ma anche durante il fidanzamento. Mi domando: Shira è innamorata del suo promesso sposo (non molto attraente in verità)? Non sembra proprio, almeno come spettatori non ce ne viene data nessuna evidenza; durante il colloquio con il cognato reclama solo di avere il diritto di sposare un suo coetaneo e va bene, la si potrebbe anche capire se il cognato fosse un vecchio repellente, ma invece ha solo qualche anno di più ed è pure belloccio. E poi non è vero che l'amore non ha età? In quanto a lui, il cognato, pare che fosse innamoratissimo della moglie (quella che muore partorendo il bambino che diventerà la causa involontaria di tutto il dramma), ma di Shira? Direi di no; è vero che lo si vede piangere, ma è solo per il suo orgoglio di uomo respinto. Alla fine l'unico amore è quello, un po' demenziale, della nonna per il nipotino neonato che non vuole le venga allontanato. E per impedirlo non si fa scrupolo di fare soffrire la figlia. Insomma, per farla breve, non direi che è un film d'amore, ma piuttosto un film sulla mancanza di amore. E non è a caso che l'unica persona a capire e cercare di evitare la sofferenza di Shira è la zia mutilata, che non ha mai conosciuto l'amore. A parte questo è un film molto interessante e, per quel che ne capisco, tecnicamente valido.
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filippo catani
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giovedì 10 marzo 2016
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la difficile scelta di una ragazza
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La comunità di ebrei ortodossi è sconvolta dalla prematura morte della moglie di un importante membro della comunità che si ritrova solo con un figlio appena nato. La famiglia della moglie, davanti alla possibilità che lui si trasferisca all'estero, gli propone di sposare la sorella.
Un film intenso ambientato nella comunità di ebrei ortodossi con i loro riti e i loro luoghi dove per esempio andare a fare la spesa. Ecco che una giovanissima ragazza che vive gli sconvolgimenti dei primi amori si trova improvvisamente catapultata in una situazione più grande di lei. E' giusto sposare il cognato rimasto vedovo? Soprattutto è giusto mettere da parte la propria vita e i propri sentimenti per obbedire a un comando della famiglia? La famiglia stessa è dilaniata dal dubbio; la madre è l'artefice dell'operazione, il padre non è convintissimo mentre la zia (zitella) è assolutamente contraria.
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La comunità di ebrei ortodossi è sconvolta dalla prematura morte della moglie di un importante membro della comunità che si ritrova solo con un figlio appena nato. La famiglia della moglie, davanti alla possibilità che lui si trasferisca all'estero, gli propone di sposare la sorella.
Un film intenso ambientato nella comunità di ebrei ortodossi con i loro riti e i loro luoghi dove per esempio andare a fare la spesa. Ecco che una giovanissima ragazza che vive gli sconvolgimenti dei primi amori si trova improvvisamente catapultata in una situazione più grande di lei. E' giusto sposare il cognato rimasto vedovo? Soprattutto è giusto mettere da parte la propria vita e i propri sentimenti per obbedire a un comando della famiglia? La famiglia stessa è dilaniata dal dubbio; la madre è l'artefice dell'operazione, il padre non è convintissimo mentre la zia (zitella) è assolutamente contraria. Un film che nel giro di ottanta minuti scarsi parla al cuore e non solo ed è impossibile non partecipare al dramma vissuto dalla bravissima protagonista premiata a Venezia.
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puttore57
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lunedì 9 febbraio 2015
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film banale
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povero di contenuto, banale e senza mordente. decisamente scadente.
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rita branca
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venerdì 29 novembre 2013
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la sfortuna di non essere occidentale oggi
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La sposa promessa, film israeliano (2012) diretto da Rama Burshtein, con Hads Yaron, Yiftach Klein, Irit Sheleg, Chayim Sharir, Razia Israeli, Hila Feldman, Renana Raz, Ido Samuel.
Malinconico e interessantissimo film che apre uno squarcio sulla cultura ebraica, sui suoi rituali familiari e religiosi.
Il ritmo lento in cui la narrazione si dispiega sembra accentuare l’intensità della pena sofferta da Shila, una diciottenne che è stata chiesta in sposa dalla famiglia di un giovane, tenuto però in stand-by dai genitori di lei a causa della giovane età, nonostante il favorevole atteggiamento della ragazza che già sogna di sposarlo.
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La sposa promessa, film israeliano (2012) diretto da Rama Burshtein, con Hads Yaron, Yiftach Klein, Irit Sheleg, Chayim Sharir, Razia Israeli, Hila Feldman, Renana Raz, Ido Samuel.
Malinconico e interessantissimo film che apre uno squarcio sulla cultura ebraica, sui suoi rituali familiari e religiosi.
Il ritmo lento in cui la narrazione si dispiega sembra accentuare l’intensità della pena sofferta da Shila, una diciottenne che è stata chiesta in sposa dalla famiglia di un giovane, tenuto però in stand-by dai genitori di lei a causa della giovane età, nonostante il favorevole atteggiamento della ragazza che già sogna di sposarlo.
Quest’opera permette di affacciarsi su un contesto sociale in cui, come anche in occidente prima del XX secolo, l’unica ambizione femminile era quella del matrimonio, possibilmente con un uomo che consentisse di vivere una vita priva di preoccupazioni economiche, visto che l’unico ambito destinatole era quello domestico.
I sogni di Shila, ancora appena accennati, sono però tragicamente infranti quando la sorella maggiore perde la vita durante il parto del suo primo bambino e sua madre, nell’intento di tenere il piccolo vicino, manovra gli eventi in maniera tale da obbligarla a sposare il cognato rimasto vedovo.
Shila non si rassegna facilmente, ma alla fine, con la morte nel cuore, accetta la crudele ed egoistica imposizione materna.
Belle la fotografia e la colonna sonora, acuta e accurata l’analisi dell’animo femminile che la regista Rama Burshteincompie, stimolando riflessioni sulla differenza fra la vita femminile di oggi e di ieri nel mondo.
Da diffondere nella scuola.
Rita Branca
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jacopo b98
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giovedì 18 luglio 2013
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un esordio di rara bellezza
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Una ragazza (Yaron) appartenente ad una famiglia di ebrei ortodossi è in attesa di sposarsi. Quando la sorella muore mettendo al mondo il figlio, i genitori le chiedono di sposare il vedovo (Klein) della sorella e di fare da madre al nipote. Esordio alla regia della Burshtein, anche sceneggiatrice, questo splendido film d’amore e sull’amore, molto al femminile, è uno dei migliori prodotti presentati a Venezia 69, dove ha vinto la Coppa Volpi, data ad un’attrice che ci regala un’interpretazione così straordinaria che persino gli Oscar avrebbero dovuto accorgersene. Naturalmente così non è stato. In realtà, visto che il Leone d’Oro è andato a Pietà di Kim Ki-Duk, forse la giuria avrebbe fatto meglio a premiare questo splendido film israeliano.
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Una ragazza (Yaron) appartenente ad una famiglia di ebrei ortodossi è in attesa di sposarsi. Quando la sorella muore mettendo al mondo il figlio, i genitori le chiedono di sposare il vedovo (Klein) della sorella e di fare da madre al nipote. Esordio alla regia della Burshtein, anche sceneggiatrice, questo splendido film d’amore e sull’amore, molto al femminile, è uno dei migliori prodotti presentati a Venezia 69, dove ha vinto la Coppa Volpi, data ad un’attrice che ci regala un’interpretazione così straordinaria che persino gli Oscar avrebbero dovuto accorgersene. Naturalmente così non è stato. In realtà, visto che il Leone d’Oro è andato a Pietà di Kim Ki-Duk, forse la giuria avrebbe fatto meglio a premiare questo splendido film israeliano. Diversissimo dal terribile film del coreano, per registro e delicatezza. Un esordio così fresco, originale e dolce non si vedeva da tempo. È la testimonianza di un cinema al femminile che può essere testimonianza di originalità e intelligenza. È un film su una società rimasta indietro, molto, che però può essere lo spunto per la nascita di un amore. E nel finale, quando Shira chiede a Yohai di sposarla, rimane il dubbio che sia per dovere o per vero amore. Bellissimo, da non perdere.
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fabiana dantinelli
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martedì 11 giugno 2013
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l'incerto esordio di rama burshtein
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Una giovane donna in una comunità patriarcale, un lutto improvviso e una scelta difficile, le premesse per un dramma filmico interessante c'erano tutte, per di più viste le istanze narrative non originalissime, ci si poteva aspettare l'inaspettato, perchè no, un intreccio sorprendente, un finale non scontato. Ma l'opera prima della regista Rama Burshtein deludicchia e nemmeno poco e dire che la “director” in questione è nata a New York e ha studiato in una scuola di cinema a Gerusalemme, anche qui un’anteprima niente male. Eppure questa versione intimista di una comunità rabbinica di Tel Aviv, dove l’acerba Shira si trova pressata a sostituire il ruolo di moglie e madre della defunta sorella Esther, sembra proprio non spiccare il volo.
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Una giovane donna in una comunità patriarcale, un lutto improvviso e una scelta difficile, le premesse per un dramma filmico interessante c'erano tutte, per di più viste le istanze narrative non originalissime, ci si poteva aspettare l'inaspettato, perchè no, un intreccio sorprendente, un finale non scontato. Ma l'opera prima della regista Rama Burshtein deludicchia e nemmeno poco e dire che la “director” in questione è nata a New York e ha studiato in una scuola di cinema a Gerusalemme, anche qui un’anteprima niente male. Eppure questa versione intimista di una comunità rabbinica di Tel Aviv, dove l’acerba Shira si trova pressata a sostituire il ruolo di moglie e madre della defunta sorella Esther, sembra proprio non spiccare il volo. Eh sì perché fra amiche e parenti in trepidante attesa di sospiratissime nozze combinate, anche qui un’occasione sprecata nel personaggio di Frida, la storia accenna ad un crescendo d’inquietudine interiore nella protagonista che però finisce per non coinvolgere né convincere lo spettatore, forse anche perché accenna e basta. Sorvolando sulla tristezza di certe convenzioni un po’ primitive, ma ahinoi non ci si metta pure il giudizio teoretico o non se ne esce più, quello che poteva essere un costrutto di malessere, fragilità, magari segreti oscuri inevitabilmente fatali sulla parabola esistenziale della “sposa promessa”, si riduce infine ad un sempliciotto melange religioso dove cupi riccioloni barbuti non fanno che cantare, pregare e decidere delle sorti di figlie, sorelle, zie e compagini femminili varie. Sarà che quando una donna con questa formazione e con quelle origini, si mette dietro la macchina da presa, forse le aspettative sono già alte, a prescindere, dopotutto non è certo un brutto film, semplicemente non ha niente da dire, o forse “Fill in the void”, riempire il vuoto, questo il titolo originale della pellicola, banalmente esplicativo, ha già detto tutto. Bella la fotografia, ottima l’interpretazione di Hadas Yaron, peccato per la mancata complicità con la bravissima Razia Israeli, la zia monca e zitella che poteva darci più soddisfazioni. Due stellette, avide avide.
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giurg 63
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lunedì 29 aprile 2013
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noia promessa e mantenuta
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Confesso di aver resistito poco più di mezzora alla visione di questo film la cui estrema lentezza e stata per me esasperante. E' probabile che io non sia abituato a stili di regia (in questo caso si tratta di un'opera prima) che non siano europei o americani (sebbene abbia visto più films orientali, quali "Poetry" o mediorientali, come "La donna che canta"). Mi permetto di suggerire la visione de "La sposa siriana," il cui ritmo è decisamente meno lento di questa sposa promessa.
Giurg 63
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archipic
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giovedì 7 marzo 2013
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una realtà diversa
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L'interesse che suscita questo film risiede, soprattutto, nella descrizione molto ben calibrata dello scorrere della vita nella comunità ebreo-ortodossa israeliana. Usi e costumi che scandiscono le giornate: gerarchie rigorose, donne escluse da qualsiasi manifestazione collettiva, matrimoni combinati (anche al buio), copricapo alquanto improbabili, pasti accompagnati sempre da canti, ovviamente, maschili. Il mio è un giudizio un pò controcorrente rispetto agli altri, ma il film non mi ha preso più di tanto. Un primo tempo godibile con buoni spunti narrativi e ritmo sufficientemente cadenzato. Secondo tempo che rallenta drasticamente il racconto e che ne inficia il godimento.
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L'interesse che suscita questo film risiede, soprattutto, nella descrizione molto ben calibrata dello scorrere della vita nella comunità ebreo-ortodossa israeliana. Usi e costumi che scandiscono le giornate: gerarchie rigorose, donne escluse da qualsiasi manifestazione collettiva, matrimoni combinati (anche al buio), copricapo alquanto improbabili, pasti accompagnati sempre da canti, ovviamente, maschili. Il mio è un giudizio un pò controcorrente rispetto agli altri, ma il film non mi ha preso più di tanto. Un primo tempo godibile con buoni spunti narrativi e ritmo sufficientemente cadenzato. Secondo tempo che rallenta drasticamente il racconto e che ne inficia il godimento. Troppe ripetizioni, troppi ripetuti silenzi, dialoghi estremamente ridotti e, a volte, inutili. Di interesse rimangono le interpretazioni dei due protagonisti, i costumi e la fotografia essenziale, oltre al merito di aver fatto conoscere a noi occidentali un mondo non ancora svelato.
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