piris
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martedì 12 febbraio 2013
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che sorpresa
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E' un film di una forza e una bellezza davvero disarmanti. Ti fa entrare dentro una comunità ebrea ortodossa di Tel Aviv, con uno sguardo partecipe e non giudicante, ti fa affezionare ai personaggi, e capire quanto ogni regola antropologica sia poi euqivalente, quando si tratta di amore.
la nascita di un vero amore nel modo più tormentato e originale: il matrimonio combinato.
Un piccolo film capolavoro, un gioiello di fineszza introspettiva e di grande impatto figurativo.
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adelio
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martedì 5 febbraio 2013
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you can see there's growing, filling the void
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E’ veramente difficile rimanere motivato se non hai uno scopo da perseguire. Lavorare per raggiungere un obiettivo aiuta molto a trovare valore nella tua vita. L’assenza di un traguardo a cui arrivare può certamente causare problemi di tipo emotivo e farti percepire la sensazione di vuoto interiore.
Ma la comunita’ Chassidica questo vuoto non lo vuol conoscere perché la vita che scorre nei rapporti tra uomini e donne è fatta di solidarietà e comune senso dell’obiettivo da raggiungere: lo sviluppo della spiritualità interiore e il rispetto degli altri mostrano l’autenticità della cultura ebraica ancorchè esasperata da un’ortodossia integralista mai però irrispettosa dell’uomo sia esso anima o corpo.
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E’ veramente difficile rimanere motivato se non hai uno scopo da perseguire. Lavorare per raggiungere un obiettivo aiuta molto a trovare valore nella tua vita. L’assenza di un traguardo a cui arrivare può certamente causare problemi di tipo emotivo e farti percepire la sensazione di vuoto interiore.
Ma la comunita’ Chassidica questo vuoto non lo vuol conoscere perché la vita che scorre nei rapporti tra uomini e donne è fatta di solidarietà e comune senso dell’obiettivo da raggiungere: lo sviluppo della spiritualità interiore e il rispetto degli altri mostrano l’autenticità della cultura ebraica ancorchè esasperata da un’ortodossia integralista mai però irrispettosa dell’uomo sia esso anima o corpo.
Il film è un gioiello cesellato, raffinato e curato in ogni dettaglio come si addice alle regole meticolose e antiche di una comunità che si vuole raccontare e che si distingue dal materialismo rumoroso, superficiale e consumistico circostante. Tant’è che nel film nemmeno viene raccontato come gli appartenenti a questa comunità si mantengano, che lavoro facciano…i problemi materiali non sono veri problemi!...si risolvono in fretta con la ridistribuzione della ricchezza e con pragmatismo.
Una comunità che fa dell’espressione “Fill the Void” il principale elemento di vita: si devono preparare argomenti di conversazione per affrontare i momenti di silenzio (dice Esther alla sorella Shira in vista del suo fidanzamento), non si può rimandare il fidanzamento anche se il momento è delicato (si dicono i 2 capi famiglia), non ci si distrae nemmeno quando si aspetta l’autobus, c’è il lutto della sorella e…. Shira deve riempire il vuoto affettivo immenso che ha colpito Mamma, Babbo, Cognato e …un po’ tutti.
Insomma c’è un dovere sociale da svolgere, scandito da regole che probabilmente hanno scritto gli uomini ma che sono le donne (quali depositarie) a far osservare con un certo zelo e con la maestria del sottile ricatto affettivo.
Il benessere sociale della comunità è dato dalle regole e ognuno ha la libertà di rigettarle o accettarle ma difficilmente di contestarle. Osservate la zia senza braccia che nel messaggio filmico altro non è che la rappresentazione della contestazione (lei menomata che rifiuta un promesso marito “zoppo”) ovvero della persona che dentro di sé ha la forza per dire qualcosa di diverso dalle regole (anche rispetto alla vicenda sofferta di Shira) ma che alla fine…..non ha “le braccia” per farlo materialmente.
È un film intimista e per questo girato prevalentemente negli interni come se fossero gli antri dell’anima delle persone, la società altra è lontana, non si vede, si sente con suoni attutiti e spesso disturbanti.
Il film ha una fotografia molto incisiva ed efficace, le musiche sono molto belle e perfettamente assonanti con le immagini.
Le lacrime finali di Shira nella loro valenza catartica commuovono e invitano lo spettatore a meditare se la decisione della giovane donna sia sacrificio o felicità….ad ogni buon conto reputo il film eccellente.
Sconfiggi la tua sensazione di vuoto interiore e vivrai abbondantemente!
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adesso cinema
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martedì 4 dicembre 2012
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evviva i buoni film!
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La regista e tutto il cast ci hanno regalato un’opera di grande spessore.
Sono sempre curiosa quando si propongono mondi sconosciuti, modi di vivere di altre culture, insomma la diversità mi affascina e rapisce, sempre.
La pellicola ci fa entrare nella comunità yiddish e così, lentamente, con un ritmo in punta di piedi scopriamo comportamenti per noi desueti proprio perché ambientati ai giorni nostri.
I genitori di Shira desiderano, dopo la morte per parto della sorella maggiore, che la ragazza- già promessa a un coetaneo - sposi il cognato Yochay per evitare che i’uomo possa contrarre un nuovo matrimonio portando con sé il figlio appena nato e nel frattempo curato amorevolmente dalla stessa Shira e da sua madre.
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La regista e tutto il cast ci hanno regalato un’opera di grande spessore.
Sono sempre curiosa quando si propongono mondi sconosciuti, modi di vivere di altre culture, insomma la diversità mi affascina e rapisce, sempre.
La pellicola ci fa entrare nella comunità yiddish e così, lentamente, con un ritmo in punta di piedi scopriamo comportamenti per noi desueti proprio perché ambientati ai giorni nostri.
I genitori di Shira desiderano, dopo la morte per parto della sorella maggiore, che la ragazza- già promessa a un coetaneo - sposi il cognato Yochay per evitare che i’uomo possa contrarre un nuovo matrimonio portando con sé il figlio appena nato e nel frattempo curato amorevolmente dalla stessa Shira e da sua madre.
E’ vero che la nonna del piccolo preme perché quest’unione matrimoniale abbia la conclusione da lei sperata, ciononostante dal comportamento di tutti i familiari si palesa un sincero interessamento per i sentimenti della ragazza la quale è tormentata e confusa per la difficile situazione e mortificata per non voler deludere i propri cari.
Rappresentativa è la scena dell’incontro con il Rabbino, dove Shira dice: ”Non è questione di sentimenti, c’è un compito da svolgere e vorrei che tutti fossero soddisfatti di me.”
Il rabbino risponde: ”E’ solo una questione di sentimenti.”
Da queste parole s’intuisce che il rabbino che è soprattutto un capo spirituale comunica a Shira e a tutti i presenti, che il bene che si persegue nell’ atto di voler formare una famiglia è prima di ogni altra cosa un benessere individuale, e questo stato di grazia che poi porterà gioia, serenità, equilibrio e pace.
Se ci sarà quindi pieno e consapevole appagamento, questa condizione si rifletterà su tutta la comunità.
Quest’organizzazione religiosa, a mio giudizio, solo a uno sguardo poco attento può apparire maschilista, al contrario, ci mostra quanto si cerca di favorire una scelta attenta e giudiziosa della donna proprio perché è a lei sarà affidato più che all’uomo il governo e il timone della casa . Maria f.
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dario bottos
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lunedì 3 dicembre 2012
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estranea tra noi?
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Il film (mi) dà un senso di angoscia e di claustrofobia, perchè lo rapporto costantemente alla mia società e alle mie regole del gioco. Mi rendo conto che nella società rappresentata (che conosco abbastanza bene) ci sono regole diverse, ma non posso vivere questo film in modo catartico. Rifletto che viene rappresentata una vita completamente eterodiretta, da princìpi estranei alla volontà del singolo: siano essi la "Tradizione", il verdetto del rabbino, la presunta volontà dell'Onnipresente o la pressione sociale, non importa. Non esiste l'individualità se non nella sofferenza e nell'introspezione (un continuo esame di coscienza anche di cattolica memoria).
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Il film (mi) dà un senso di angoscia e di claustrofobia, perchè lo rapporto costantemente alla mia società e alle mie regole del gioco. Mi rendo conto che nella società rappresentata (che conosco abbastanza bene) ci sono regole diverse, ma non posso vivere questo film in modo catartico. Rifletto che viene rappresentata una vita completamente eterodiretta, da princìpi estranei alla volontà del singolo: siano essi la "Tradizione", il verdetto del rabbino, la presunta volontà dell'Onnipresente o la pressione sociale, non importa. Non esiste l'individualità se non nella sofferenza e nell'introspezione (un continuo esame di coscienza anche di cattolica memoria). Questa continua introspezione è però qualcosa che arricchisce i personaggi, e dà loro una profondità che contrasta con la superficialità del "libero" occidente. Società arcaica? Per molti versi sì, ma che importa il nostro giudizio: si tratta di universi chiusi e incommensurabili in cui vigono diverse geometrie.
Per un certo aspetto si può parlare di una "educazione sentimentale" nella quale il sentimento o la volizione sono sostituite dalle regole, come in un gioco di ruolo.
Una fotografia molto bella che ricorda la pittura di Vermeer, una ricerca sugli sguardi veramente notevole, sguardi liberi che bucano un mondo di parole e di gesti istituzionalizzati.
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dario bottos
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domenica 2 dicembre 2012
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estranei tra noi?
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Il film (mi) dà un senso di angoscia e di claustrofobia, perchè lo rapporto costantemente alla mia società e alle mie regole del gioco. Mi rendo conto che nella società rappresentata (che conosco abbastanza bene) ci sono regole diverse, ma non posso vivere questo film in modo catartico. Rifletto che viene rappresentata una vita completamente eterodiretta, da pricipi estranei alla volontà del singolo: che sia la "tradizione", il verdetto del rabbino, la presunta volontà dell'Onnipresente o la pressione sociale, non importa. Non esiste l'individialità se non nella sofferenza e nell'introspezione (un continuo esame di coscienza anche di cattolica memoria).
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Il film (mi) dà un senso di angoscia e di claustrofobia, perchè lo rapporto costantemente alla mia società e alle mie regole del gioco. Mi rendo conto che nella società rappresentata (che conosco abbastanza bene) ci sono regole diverse, ma non posso vivere questo film in modo catartico. Rifletto che viene rappresentata una vita completamente eterodiretta, da pricipi estranei alla volontà del singolo: che sia la "tradizione", il verdetto del rabbino, la presunta volontà dell'Onnipresente o la pressione sociale, non importa. Non esiste l'individialità se non nella sofferenza e nell'introspezione (un continuo esame di coscienza anche di cattolica memoria). Questa continua introspezione è però qualcosa che arricchisce i personaggi, e dà loro una profondità che contrasta con la superficialità del "libero" occidente. Società arcaica? Per molti versi sì, ma che importa il nostro giudizio: si tratta di universi chiusi in cui vigono diverse geometrie.
Per un certo aspetto si può parlare di una "educazione sentimentale" nella quale il sentimento o la volizione sono sostituite dalle regole, come in un gioco di ruolo.
Una fotografia molto bella che ricorda la pittura di Vermeer, una ricerca sugli sguardi veramente notevole, sguardi liberi che bucano un mondo di parole e di gesti istutuzionalizzati.
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aloisa clerici
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sabato 1 dicembre 2012
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amare oggi a tel aviv
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Il film d’esordio di Rama Burshtein, La sposa promessa è innanzitutto, un’interessante documento sociale, un lungometraggio che racconta un mondo a noi occidentali quasi sconosciuto, quello della comunità ebraica.
Dalla prospettiva proposta dal film, si rileva sin dalle prime immagini la stridente forza di una realtà sociale chiusa e rigida, opprimente e severa, all’interno del quale i matrimoni sono ancora combianti dalle famiglie e la condizione femminile è legata alla presenza/dipendenza della figura di uomo-patriarca. La storia si svolge nella Tel Aviv dei giorni nostri, all’interno della comunità ebraica ortodossa di corrente chassidica, ma la stato di “attualità” è individuabile solamente dalla presenza di oggetti di tecnologia moderna, mentre usi e costumi ricordano atmosfere di mezzo secolo fa.
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Il film d’esordio di Rama Burshtein, La sposa promessa è innanzitutto, un’interessante documento sociale, un lungometraggio che racconta un mondo a noi occidentali quasi sconosciuto, quello della comunità ebraica.
Dalla prospettiva proposta dal film, si rileva sin dalle prime immagini la stridente forza di una realtà sociale chiusa e rigida, opprimente e severa, all’interno del quale i matrimoni sono ancora combianti dalle famiglie e la condizione femminile è legata alla presenza/dipendenza della figura di uomo-patriarca. La storia si svolge nella Tel Aviv dei giorni nostri, all’interno della comunità ebraica ortodossa di corrente chassidica, ma la stato di “attualità” è individuabile solamente dalla presenza di oggetti di tecnologia moderna, mentre usi e costumi ricordano atmosfere di mezzo secolo fa.
La Burshtein fa strada allo spettatore tra la polvere di città e, con indiscutibile eleganza, lo invita ad entrare nella casa di una famiglia e a conoscerne gerarchia, componenti, riti e usanze, fino a far emergere i sentimenti più intimi dei personaggi, smascherandone fragilità e paure dettate dall’obbligo di riferirsi ai costrittivi schemi comportamentali di una comunità.
Il personaggio centrale è la diciottenne Shira, sorella minore di Esther, che attende un figlio dal marito Yochai. Shira è figlia di un rabbino della comunità ortodossa ed è stata promessa in sposa ad un coetaneo che non ha ancora conosciuto. Ma Esther muore di parto e la serenità della famiglia si spegne immancabilmente per trasformarsi in uno stato angoscioso di cordolgio e disperazione che porterà a rivoluzionare i progetti futuri di ognuno. La moglie del rabbino, nell’ipotesi che Yochai se ne vada in Belgio col nipotino Mordechai e si crei un nucleo familiare lontano da lei, gli propone di considerare la piccola Shira come futura sposa, che sarà a causa di questa difficole scelta da compiere, investita di una abnorme responsabilità nei confronti delle aspettative delle famiglia, della memoria della sorella, del rispetto di se stessa e di Yochai.
La narrazione è fluida e lenta, scandita da lunghi silenzi in cui i primi piani riempiono la maggior parte delle scene. I dialoghi sono succinti ed essenziali, ma mai casuali o inutili, e spesso la parola è demandata all’intensità degli sguardi che diventano rivelatori di emozioni la cui forza è alla continua ricerca di una forma espressiva che risulti socialmente congrua. L’altrenanza di diverse messe a fuoco non sono poi così funzionali, sembrano più sperimentazioni registiche che scelte precise; nonostrante ciò, non disturbano, ma accompagnano semplicemente lo scorrere della vicenda.
L’aspetto religioso non è il cuore del film, e anche se la figura del rabbino padre è un riferimento di spiritualità elevata e solonne, a tratti riesce a svelare un’ironia e una dolcezza assolutamente inaspettati, che spezzano il ritmo fisso e clausfrofobico che emana l’elaborazione filmica.
I personaggi di Shira e Yochai inoltre, nonostante la rigidità della partitura monocorde che sono portati a percorrere, finiscono per diventare portavoce di sentimenti profondi come comprensione umana e solidarietà.
Per questo La sposa promessa è da considerarsi una storia dl’amore, o meglio di un certo tipo di amore che non appartiene alla nostra cultura, ma spinge a considerare una volta in più il valore dei sentimenti umani e delle sue misteriose e poetiche forme.
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angelo umana
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venerdì 30 novembre 2012
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riti e regole nella società ebraica
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Film dei riti e delle norme, familiari e religiose, da queste ultime sovente le prime dipendono e il risultato è che le donne stanno più spesso davanti ai fornelli o accudiscono i bambini, camminano dietro agli uomini in alcune circostanze e le vengono scelti, o proposti, i mariti. Gli uomini invece vanno in sinagoga, si dedicano alla preghiera e perciò affidano i bambini, come fagotti, a mani femminili; sono pure i maggiori attori, così sembra, di quei riti, nei canti ma anche nelle bevute.
Proprio le regole familiari non scritte creano la trama del film (e del libro da cui deriva) e le relative tensioni e struggimenti. Soprattutto da parte di Shira, diciottenne desiderosa di convolare a nozze: molto espressivo il suo viso nell’ansia di conoscere, in un supermercato, il fidanzato designato.
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Film dei riti e delle norme, familiari e religiose, da queste ultime sovente le prime dipendono e il risultato è che le donne stanno più spesso davanti ai fornelli o accudiscono i bambini, camminano dietro agli uomini in alcune circostanze e le vengono scelti, o proposti, i mariti. Gli uomini invece vanno in sinagoga, si dedicano alla preghiera e perciò affidano i bambini, come fagotti, a mani femminili; sono pure i maggiori attori, così sembra, di quei riti, nei canti ma anche nelle bevute.
Proprio le regole familiari non scritte creano la trama del film (e del libro da cui deriva) e le relative tensioni e struggimenti. Soprattutto da parte di Shira, diciottenne desiderosa di convolare a nozze: molto espressivo il suo viso nell’ansia di conoscere, in un supermercato, il fidanzato designato. Nei disegni della madre c’è però per lei un’unione strategica con Yochai, uomo avvenente rimasto vedovo della sorella di Shira, Esther, morta nel parto che ha dato la luce al piccolo Mordechai. A questo modo il bambino resterà nella famiglia, di lui già si occupa con successo la stessa Shira (la sua fisarmonica lo tranquillizza) e la nonna non lo perderà di vista.
E’ un film principalmente di silenzi e di sguardi, tutti più eloquenti dei dialoghi, soprattutto quelli tra Yochai e Shira, che risultano spesso banali, solo funzionali alle complicazioni e all’attesa che tra i due si crea. A Shira appariva dapprima sacrilego occupare il posto che è stato di sua sorella, dice al rabbino che vuole conoscere le sue intenzioni: “Non è una questione di sentimenti, c’è un compito da svolgere e vorrei che tutti fossero soddisfatti di me”. Questo “compito” diventerà pian piano attesa e attrazione, coronata da un emozionatissimo prematrimonio e dalla promettente scena finale dei due che la sera delle nozze si trovano per la prima volta del tutto soli nella stanza da letto.
Potrebbe risultare insussistente il film, per una trama molto semplice, salvo che per i costumi e gli usi ebraici che ci fa conoscere, per i quali bisogna avere rispetto senza contrapporvi sbrigativamente comportamenti occidentali: una società dove sono più gli uomini a rappresentare e a rappresentarsi, ma dove le donne guidano. Risulta invece emozionante attraverso gli occhi trepidanti di Shira (Coppa Volpi al Festival di Venezia per la migliore interprete femminile), il vuoto della trama viene colmato dal suo viso che attende, ma non sarà per questo che il titolo originale sia “Fill the void”.
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gabriele.vertullo
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martedì 20 novembre 2012
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elegante ritratto di una storia borghese
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La Sposa Promessa è un film che colpisce per la sua sottile delicatezza e conquista per la sua estrema raffinatezza. Questa straordinaria ricerca estetica non è mai fine a se stessa, ma si stende come un velo a celare le radicate ipocrisie di un sistema immobile e regolato, che non può permettersi deviazioni. La storia si sviluppa in sequenze di soave luminosità e musicalità, improvvisamente ottenebrate dalle ombre di un destino ineluttabile, così che quando le immagini sembrano raggiungere il più alto grado d’evanescenza, lo spettatore viene precipitato nuovamente nei cinici meccanismi della realtà.
Shira è una giovane ragazza ebrea cha attende con entusiasmo ed emozione il giorno delle nozze con il suo futuro sposo presceltole dalla famiglia.
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La Sposa Promessa è un film che colpisce per la sua sottile delicatezza e conquista per la sua estrema raffinatezza. Questa straordinaria ricerca estetica non è mai fine a se stessa, ma si stende come un velo a celare le radicate ipocrisie di un sistema immobile e regolato, che non può permettersi deviazioni. La storia si sviluppa in sequenze di soave luminosità e musicalità, improvvisamente ottenebrate dalle ombre di un destino ineluttabile, così che quando le immagini sembrano raggiungere il più alto grado d’evanescenza, lo spettatore viene precipitato nuovamente nei cinici meccanismi della realtà.
Shira è una giovane ragazza ebrea cha attende con entusiasmo ed emozione il giorno delle nozze con il suo futuro sposo presceltole dalla famiglia. La situazione si complica drasticamente quando sua sorella maggiore, gravida al nono mese, muore durante il parto. I genitori di Shira, per evitare che il loro nipote venga portato via dal padre destinato in nuove nozze ad una donna belga, intimano la giovane figlia di sposare il cognato e di crescere il piccolo bambino. Da questo momento tutte le aspettative e le gioie fantasticate da Shira si dissolvono, innescando un turbamento interno sulla legittimità delle linee familiari.
Il teatro di La Sposa Promessa è il mondo dell’alta “borghesia” ebraica, configurata con tutte le convenzioni e i canoni che la regolano, che non rinuncia alle menzogne e agli inganni pur di preservare un equilibrio cercato più che prestabilito, e che vede nel matrimonio il traguardo ultimo della stabilità e della felicità della vita; emblematico si inserisce il personaggio dell’amica di Shira, che polarizza la compassione di tutte le donne poiché ignorata dai ragazzi.
La storia è supportata e sostanziata da immagini di notevole eleganza visiva: la regista gioca con i colori, sperimentando efficacissime e ardite combinazioni cromatiche, che si traducono in atmosfere evocative e suggestive. Straordinario è il vastissimo repertorio dei costumi dei personaggi, e di come gli abiti si caricano di valenza e si adeguano ad ogni circostanza.
La Sposa Promessa è la storia della precoce maturazione di una giovane donna in una realtà che acquista i tratti dell’anti-fiaba, l’odissea di un’anima nobile e sensibile, che tra liturgie e riti religiosi cela tutte le sue tensioni e i dolori, che occasionalmente si esternano in lacrime e solchi sul dolce viso della bravissima protagonista.
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flyanto
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martedì 20 novembre 2012
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quando il matrimonio diventa un dovere
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Film sulla difficile scelta che una giovane donna, gia' promessa sposa ad un suo coetaneo, deve prendere riguardo il fatto di sposare o meno il cognato più anziano di lei ormai rimasto vedovo dopo la morte di parto della sorella. Molto ben girato, nonostante sia un'opera prima da parte del regista, e molto toccante per il travaglio interno sofferto dalla protagonista, cosi' ligia alle tradizioni della comunità' ebraica ortodossa in cui ella vive e di cui fa parte. Un'ottimo spunto al fine di riflettere sulle assurde ed ormai desuete leggi che regolano certe comunità'.
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flyanto
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martedì 20 novembre 2012
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quando il matrimonio diventa un dovere
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Film sulla difficile scelta che una giovane donna, gia' promessa sposa ad un suo coetaneo, deve prendere riguardo il fatto di sposare o meno il cognato più anziano di lei ormai rimasto vedovo dopo la morte di parto della sorella. Molto ben girato, nonostante sia un'opera prima da parte del regista, e molto toccante per il travaglio interno sofferto dalla protagonista, cosi' ligia alle tradizioni della comunità' ebraica ortodossa in cui ella vive e di cui fa parte. Un'ottimo spunto al fine di riflettere sulle assurde ed ormai desuete leggi che regolano certe comunità'.
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