La sposa promessa |
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Un film di Rama Burshtein.
Con Hadas Yaron, Yiftach Klein, Irit Sheleg, Chayim Sharir, Razia Israeli.
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Titolo originale Lemale Et Ha'Chalal.
Drammatico,
durata 90 min.
- Israele 2012.
- Lucky Red
uscita giovedì 15 novembre 2012.
MYMONETRO
La sposa promessa
valutazione media:
3,38
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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L'incerto esordio di Rama Burshteindi Fabiana DantinelliFeedback: 750 | altri commenti e recensioni di Fabiana Dantinelli |
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martedì 11 giugno 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Una giovane donna in una comunità patriarcale, un lutto improvviso e una scelta difficile, le premesse per un dramma filmico interessante c'erano tutte, per di più viste le istanze narrative non originalissime, ci si poteva aspettare l'inaspettato, perchè no, un intreccio sorprendente, un finale non scontato. Ma l'opera prima della regista Rama Burshtein deludicchia e nemmeno poco e dire che la “director” in questione è nata a New York e ha studiato in una scuola di cinema a Gerusalemme, anche qui un’anteprima niente male. Eppure questa versione intimista di una comunità rabbinica di Tel Aviv, dove l’acerba Shira si trova pressata a sostituire il ruolo di moglie e madre della defunta sorella Esther, sembra proprio non spiccare il volo. Eh sì perché fra amiche e parenti in trepidante attesa di sospiratissime nozze combinate, anche qui un’occasione sprecata nel personaggio di Frida, la storia accenna ad un crescendo d’inquietudine interiore nella protagonista che però finisce per non coinvolgere né convincere lo spettatore, forse anche perché accenna e basta. Sorvolando sulla tristezza di certe convenzioni un po’ primitive, ma ahinoi non ci si metta pure il giudizio teoretico o non se ne esce più, quello che poteva essere un costrutto di malessere, fragilità, magari segreti oscuri inevitabilmente fatali sulla parabola esistenziale della “sposa promessa”, si riduce infine ad un sempliciotto melange religioso dove cupi riccioloni barbuti non fanno che cantare, pregare e decidere delle sorti di figlie, sorelle, zie e compagini femminili varie. Sarà che quando una donna con questa formazione e con quelle origini, si mette dietro la macchina da presa, forse le aspettative sono già alte, a prescindere, dopotutto non è certo un brutto film, semplicemente non ha niente da dire, o forse “Fill in the void”, riempire il vuoto, questo il titolo originale della pellicola, banalmente esplicativo, ha già detto tutto. Bella la fotografia, ottima l’interpretazione di Hadas Yaron, peccato per la mancata complicità con la bravissima Razia Israeli, la zia monca e zitella che poteva darci più soddisfazioni. Due stellette, avide avide.
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