ennas
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lunedì 19 novembre 2012
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riti e promesse
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Il film ci rivela un mondo sconosciuto, una comunità ermetica scandita da una liturgia onnipresente con riti codificati e pervasivi. In essa la giovane Shira , guidata dalla madre, vede per la prima volta, a debita distanza, il giovane promesso, pregustando con eccitazione i brividi di un matrimonio che verrà, predisposto dalla sua famiglia.
Già in questo primo passaggio del film, vediamo quanto, all’interno di una comunità chiusa, i comportamenti ma anche i sentimenti siano marcati da un’appartenenza che modella le persone.
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Il film ci rivela un mondo sconosciuto, una comunità ermetica scandita da una liturgia onnipresente con riti codificati e pervasivi. In essa la giovane Shira , guidata dalla madre, vede per la prima volta, a debita distanza, il giovane promesso, pregustando con eccitazione i brividi di un matrimonio che verrà, predisposto dalla sua famiglia.
Già in questo primo passaggio del film, vediamo quanto, all’interno di una comunità chiusa, i comportamenti ma anche i sentimenti siano marcati da un’appartenenza che modella le persone.
La regia ci presenta un film molto suggestivo sul piano formale: è girato egregiamente, con un’ottima fotografia e una cura dei dettagli che lo rendono visivamente bello e raffinato: insieme all’angelica protagonista ( Hadas Yaron Coppa Volpi a Venezia 2012) , altri personaggi curatissimi si muovono all’interno ( gli esterni girati sono sporadici) di un’ambientazione satura di una ritualità costante ma anche da un ritmo di vita tranquillo che trasuda, accanto alla cura dello spirito, un senso di opulenza materiale. Tutte le vicende della comunità, nascite, matrimoni, morti, vedovanze fino all’acquisto di un bene, un forno, ad esempio, vengono sottoposte all’autorità per eccellenza, il rabbino capo. La regia ci mostra persino una sorta di “redistribuzione del reddito” da parte del rabbino: una specie di comunismo fra benestanti.
Questo mondo di rituale vicinanza e di granitiche certezze può anche affascinare molti di noi, abitanti della società globale, dove “ prossimità” e “sicurezza” sono in via d’estinzione, travolti dal prevalere di un modello di individuo in cui la libertà di essere oscilla tra il tutto è permesso-niente è possibile.
Nella fascinazione estetica che il film procura , la “scelta” di Shira di accollarsi l’ingiunzione ricattatoria della madre di sposare il vedovo della figlia maggiore morta di parto (se Yohai se ne andrà col bambino per sposare una donna lontana io non sopravviverò, dice alla figlia)a qualcuno può persino sembrare plausibile, il sacrificio della ragazza, per il bene di tutti, mantenendo il piccolo Mordechai all’interno della famiglia e allevandolo, potrebbe infine forse essere contenta. La regia però ci mostra, anche se con delicatezza, le incertezze, i dubbi ed anche i meccanismi che porteranno la giovane alla meta prefissata.
In questa comunità dove le gerarchie sono ferree, i maschi sono dominanti le donne sottomesse, un ruolo chiave è quello della madre di Shira ( molto brava l’attrice Irit Sheleg) : si è colpiti dal suo potere occulto e dominante che viene esercitato sull’intera famiglia. In altre società chiuse si è riscontrato questo fenomeno: le donne anziane del gruppo che diventano veicoli dell’oppressione delle più giovani, nonché le custodi dei valori di autoritarismo del gruppo. Nel film la madre di Shira, dopo aver tessuto la tela del destino della figlia le consegna una libertà di scegliere svuotata di senso.
Da quel punto in poi la figlia si persuaderà che questo matrimonio col cognato s’ha da fare, e la sua “scelta” diventerà accettazione e identificazione con la figura materna. Questo processo rimodella anche i suoi sentimenti più profondi: l’attenzione verso il cognato si fa via via più tenera ( la regia aiuta questo passaggio avendo scelto nel ruolo del cognato un giovane uomo molto attraente.) Anche nell’amore, ciò che siamo non prescinde da ciò che ci circonda.
Per me, è da vedere questo film, soprattutto come documento girato dall’interno, sulla vita e i modelli di una comunità : modelli da discutere, ammirare o rifiutare e perciò da conoscere.
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zoom e controzoom
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lunedì 19 novembre 2012
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non facile da apprezzare e tecnicamente eccentrico
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Il mio gusto personale, non corrisponde a questo film, ma ciò non toglie che ne abbia potuto valutare gl’indubbi pregi peculiari ed apprezzarli.
E’ un film che persegue quasi fino alla fine, un ritmo notevolmente lento ottenuto non solo con una lunga permanenza sulla scena, ma anche con silenzi o dialoghi lenti e con una dialettica rallentata.
La fotografia si avvale di molti primi piani che pur non riempiendo lo schermo, anzi, proprio perché posizionati ad una delle estremità e a volte parzialmente eccedendo oltre il campo, creano un senso d’incombenza pesante.
Alcune inquadrature sono eccessivamente ricercate senza avere una logica o un effetto che corrisponde all’economia del racconto, delle emozioni che si vogliono suscitare e che i fatti del racconto perseguono egregiamente, ma molto valide le luci che disegnano i profili o gli scorgi tra i corpi dei personaggi coinvolti nella scena.
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Il mio gusto personale, non corrisponde a questo film, ma ciò non toglie che ne abbia potuto valutare gl’indubbi pregi peculiari ed apprezzarli.
E’ un film che persegue quasi fino alla fine, un ritmo notevolmente lento ottenuto non solo con una lunga permanenza sulla scena, ma anche con silenzi o dialoghi lenti e con una dialettica rallentata.
La fotografia si avvale di molti primi piani che pur non riempiendo lo schermo, anzi, proprio perché posizionati ad una delle estremità e a volte parzialmente eccedendo oltre il campo, creano un senso d’incombenza pesante.
Alcune inquadrature sono eccessivamente ricercate senza avere una logica o un effetto che corrisponde all’economia del racconto, delle emozioni che si vogliono suscitare e che i fatti del racconto perseguono egregiamente, ma molto valide le luci che disegnano i profili o gli scorgi tra i corpi dei personaggi coinvolti nella scena.
La terza cosa - che invece è funzionale al racconto - è la grande apertura del diaframma, in modo tale da ottenere uno sfocamento graduale, ma totale in modo rapido nel passaggio ai piani secondari, tranne che nel punto esatto scelto dalla regia per il fuoco.
Così, l’attenzione va alla ricerca del dove il tratto dell’immagine nella scena è più nitido – e questo può essere in un personaggio anche molto decentrato – ma quando la scena è comprensiva di più di un personaggio, si perdono parti del racconto che rimane in zona molto ma molto dissolta. Questo dunque pilota l'attenzione e corrisponde a ciò che accade all'interno della griglia filmica voluta.
Queste caratteristiche tecniche indubbiamente ricercate, posso piacere o meno, certo è che sono molto estremizzate e non facilitano la fluidità del film, anzi, lo rallentano maggiormente.
Per quel che riguarda l’intreccio del racconto, la resa di quel particolare strato sociale israeliano, implica grande competenza ricreando il senso d’impotenza accettato ed esempio dalle donne, ma anche dagli uomini che pur apparendo coloro che hanno in mano la gestione degli affari anche privati, devono sottostare alle leggi “interpretate” e confermate dal Rabbino di turno.
Anche la colonna sonora contribuisce notevolmente a immergersi in quel clima che, cercando, potrebbe essere trovato anche nella vita di alcuni professanti estremisti sia cattolici che di altre religioni in qualsiasi parte del mondo.
Splendidamente confezionati i costumi e ottima la scelta del casting, il film presenta un’ultima sorpresa tecnica – che è annunciata con l’abbagliante immersione nel morbido, candido e fluente tulle che pare uscire dallo schermo - quando alla fine, viene totalmente mutata la tipologia della ripresa, che passa ad essere “a spalla” esattamente al un plot della storia che poi non potremo seguire.
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renato volpone
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domenica 18 novembre 2012
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il chiuso pensiero della religione
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Un mondo piccolo dove uomini e donne, in nome di Dio, giocano con i sentimenti degli altri. Shira non può scegliere, non può vivere la propria libertà di donna, ma deve subire le responsabilità e le sofferenze degli altri. Il suo desiderio di amore e la sua speranza di una giovinezza felice vengono infranti dalla sorella che morendo mette alla luce un bambino. Così la madre chiede a Shira di sposare il cognato per non veder allontanare il bambino. Ma tutto, perfetto come i canti delle preghiere, consuma l'imperfezione di una esistenza dove uomini e donne non sono padroni di se stessi e del proprio destino. Una realtà straziante in questo terzo millennio dove la ragione e il progredire sono ancora sopraffatti da antichissimi retaggi religiosi.
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Un mondo piccolo dove uomini e donne, in nome di Dio, giocano con i sentimenti degli altri. Shira non può scegliere, non può vivere la propria libertà di donna, ma deve subire le responsabilità e le sofferenze degli altri. Il suo desiderio di amore e la sua speranza di una giovinezza felice vengono infranti dalla sorella che morendo mette alla luce un bambino. Così la madre chiede a Shira di sposare il cognato per non veder allontanare il bambino. Ma tutto, perfetto come i canti delle preghiere, consuma l'imperfezione di una esistenza dove uomini e donne non sono padroni di se stessi e del proprio destino. Una realtà straziante in questo terzo millennio dove la ragione e il progredire sono ancora sopraffatti da antichissimi retaggi religiosi. Il regista, riuscendo a dare una grande interpretazione alla protagonista, ci disegna i contorni della religione ebraica e li rinchiude in un momento fuori dal tempo e dalla realtà, isolandone il contesto e svelandone tutta la triste drammatica irragionevolezza. Il pianto della sposa bagna il bianco vestito che non le appartiene, bagna il destino di una donna che ancora oggi non può essere libera da miti e credenze che la relegano in un piano diverso da quello dell'uomo, negando cosi il libero sviluppo della mente e la naturale essenza dell'essere.
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56mad
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domenica 18 novembre 2012
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nuovo e notevole
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il primo pensiero da occidentale è di fastidio e repulsione :è possibile che queste donne abbiano in mente solo il matrimonio? non potrebbero svegliarsi,studiare e andare a trovarsi un lavoro bello e soddisfacente?ma la regista è bravissima a farci entrare con dolcezza ed incisività nel suo particolarissimo mondo. non é un film sull'amore,è un discorso che riguarda la capacità di fidarsi e di affidarsi,a Dio,alla propria tradizione culturale e alla propria comunità.è questa capacità di accudimento e tenerezza reciproca(avreste mai immaginato un gesto di profondo rispetto ed accoglienza come quello del rabbino che accompagna la vecchia donna sola nella propria cucina per aiutarla a scegliere un nuovo forno?)che salva dal dolore che accompagna ogni vita.
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il primo pensiero da occidentale è di fastidio e repulsione :è possibile che queste donne abbiano in mente solo il matrimonio? non potrebbero svegliarsi,studiare e andare a trovarsi un lavoro bello e soddisfacente?ma la regista è bravissima a farci entrare con dolcezza ed incisività nel suo particolarissimo mondo. non é un film sull'amore,è un discorso che riguarda la capacità di fidarsi e di affidarsi,a Dio,alla propria tradizione culturale e alla propria comunità.è questa capacità di accudimento e tenerezza reciproca(avreste mai immaginato un gesto di profondo rispetto ed accoglienza come quello del rabbino che accompagna la vecchia donna sola nella propria cucina per aiutarla a scegliere un nuovo forno?)che salva dal dolore che accompagna ogni vita.E'il loro mondo,naturalmente,non il nostro.questa concezione di vita richiede di pagare prezzi troppo alti alla nostra indipendenza .ma ha indubitabili valori .
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violettaaa
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domenica 18 novembre 2012
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un’incantevole e delicata introspezione all’intern
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La vicenda si svolge a Tel Aviv, all’interno di una comunità ebraica ultra-ortodossa, della corrente chassidica. Siamo ai nostri giorni ma lo spettatore se ne rende conto solo da particolari come i cellulari o le automobili. Per il resto gli usi e costumi di questa comunità sembrano emergere dal passato. Religione, spiritualità e costumi sociali sono così strettamente interconnessi da fondersi. La comunità è interamente pervasa dall’osservanza di rigidi schemi comportamentali, da una ritualità non solo religiosa ma anche sociale. Il rabbino non rappresenta solo una figura religiosa bensì una figura di riferimento spirituale e materiale, fondamentale in ogni aspetto della vita degli individui (indicativa la scena in cui una vecchietta, senza parenti né amici, chiede ed ottiene la consulenza del rabbino per la scelta di una cucina a gas).
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La vicenda si svolge a Tel Aviv, all’interno di una comunità ebraica ultra-ortodossa, della corrente chassidica. Siamo ai nostri giorni ma lo spettatore se ne rende conto solo da particolari come i cellulari o le automobili. Per il resto gli usi e costumi di questa comunità sembrano emergere dal passato. Religione, spiritualità e costumi sociali sono così strettamente interconnessi da fondersi. La comunità è interamente pervasa dall’osservanza di rigidi schemi comportamentali, da una ritualità non solo religiosa ma anche sociale. Il rabbino non rappresenta solo una figura religiosa bensì una figura di riferimento spirituale e materiale, fondamentale in ogni aspetto della vita degli individui (indicativa la scena in cui una vecchietta, senza parenti né amici, chiede ed ottiene la consulenza del rabbino per la scelta di una cucina a gas). In tale contesto i matrimoni, rappresentando la formazione di una nuova famiglia e quindi di una nuova articolazione della struttura sociale, non sono un affare solo dei due futuri sposi, né un affare che si allarga semplicemente alle famiglie di appartenenza dei futuri sposi, bensì una decisione che può arrivare a coinvolgere il capo religioso della comunità. Le ragioni del cuore non vengono però ignorate e l’ultima parola spetta sempre agli sposi. Shira ha 18 anni e vive con serenità ed emozione la proposta di matrimonio che le arriva da un coetaneo, dopo che le famiglie hanno svolto le trattative di rito. Ma la tragedia che colpisce la famiglia di Shira, che vede morire la sorella mentre dà alla luce il suo primogenito, sconvolge a tal punto la dinamica degli equilibri in gioco, da indurre la madre di Shira a proporla in sposa al genero rimasto vedovo Yochay. La famiglia d Yochay, infatti, preoccupata di garantire al figlio ed al nipotino un nuovo nucleo famigliare, gli propone di prendere in moglie una vedova, appartenente alla comunità chassidica trasferitasi in Belgio. La prospettiva di perdere il nipotino che rappresenta l’unico legame rimastole con la figlia morta induce la madre di Shira a decidere di proporla in sposa a Yochay. L’idea del matrimonio tra genero e cognata viene vissuta dai destinatari dapprima con repulsione, dopo come una possibile scelta di buon senso, quindi come una dovuta scelta di dovere, per arrivare, solo alla fine, a trasformarsi in una piena scelta d’amore. L’amore, grande escluso all’interno di un matrimonio combinato, entra in scena gradualmente, per pervadere man mano l’intero film, sino a diventarne il leitmotive. La comunità chassidica che appare inizialmente troppo presa da ragioni di convenienza pratica per occuparsi delle ragioni del cuore si rivela alla fine attenta ai sentimenti tanto da far coincidere,con un tantino di intervento mirato della regista RAMA BURSHTEIN, che ha aderito da adulta e per libera scelta al chassidismo, il rigore della forma con il rispetto della sostanza. Emblematica Shira che dice al rabbino: “ Non è questione di sentire” per sentirsi rispondere: “E’ solo questione di sentire”. La lenta elaborazione della proposta di matrimonio da parte di Shira, con il vortice di sentimenti, emozioni e sensazioni che le scatena, configura in definitiva il film come un’incantevole e delicata introspezione all’interno dell’animo umano
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melania
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sabato 17 novembre 2012
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bello!
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Film bello,interessante,che ci fa conoscere altre culture e che,quindi,ci arricchisce.Ottimi attori e ottima regia.Davvero consigliabile!
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lukemisonofattotuopadre
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martedì 4 settembre 2012
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notevole: dramma claustrofobico
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Ho visto uno dei migliori debutti di sempre. Fill the Void parla delle difficoltà e dei problemi che le persone devono sopportare quando la religione (portata all'estremo) e la tradizione della e nella loro comunità (chassidica in questo caso) li soffoca.
E' solo a causa di regole rigorose, vecchie e stupide che Shira non può sposare l'uomo che ama ( viene rifiutata dai genitori) di sposare Yochai, marito in lutto e padre che vorrebbe stare da solo nel dolore . Ma le regole sono regole e deve sposarsi di nuovo. Ester, la moglie morta, deve (o almeno questo è quello che accade) essere dimenticata molto rapidamente. Ed è solo per via della meravigliosa, rigorosa, perfetta regia di Rama Burshtein che ci si può godere il film, giudicare per proprio conto, vedere buoni attori, ascoltare buona musica, imparare cose su una religione sconosciuta (per quanto odiosa), capire che le persone che hanno il potere lo usano tutti allo stesso modo, fino a capire di aver visto un film davvero buono.
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Ho visto uno dei migliori debutti di sempre. Fill the Void parla delle difficoltà e dei problemi che le persone devono sopportare quando la religione (portata all'estremo) e la tradizione della e nella loro comunità (chassidica in questo caso) li soffoca.
E' solo a causa di regole rigorose, vecchie e stupide che Shira non può sposare l'uomo che ama ( viene rifiutata dai genitori) di sposare Yochai, marito in lutto e padre che vorrebbe stare da solo nel dolore . Ma le regole sono regole e deve sposarsi di nuovo. Ester, la moglie morta, deve (o almeno questo è quello che accade) essere dimenticata molto rapidamente. Ed è solo per via della meravigliosa, rigorosa, perfetta regia di Rama Burshtein che ci si può godere il film, giudicare per proprio conto, vedere buoni attori, ascoltare buona musica, imparare cose su una religione sconosciuta (per quanto odiosa), capire che le persone che hanno il potere lo usano tutti allo stesso modo, fino a capire di aver visto un film davvero buono.
Vorrei sottolineare due cose che ho apprezzato di più:
1) Io non sono esperto di tradizioni ebraiche o di ortodossi ebrei: questo film mi dice di più e, dato che sono curioso, questo è molto piacevole;
2) Mi viene permesso di pensare ciò che più mi aggrada di questa comunità e delle sofferenze di Shira e Yochai, i due protagonisti: condanno la comunità per il suo fanatismo, la madre di Shira per la sua stupida gelosia e simpatizzo con il dolore di entrambi i personaggi. Alcuni hanno visto semplicemente una storia d'amore: per me c'è di più.
È interessante notare che questi ebrei ortodossi sono ipocriti come dei cattolici! Per tutto il film, continuano a dire a Shira che lei non è costretta a sposare Yochai, ma lo è! In alcuni paesi musulmani le donne sono costrette a fare quello che le viene detto, non possono neanche a parlare in presenza di uomini (questo accade anche in questo film mentre gli uomini cantano -le donne non possono, perché essere una donna è una cattiva scelta in ogni religione), sono spesso picchiate, ma anche qui il risultato è simile, più o meno lo stesso.
Quindi, credo che questo è ciò che il film dice - tutto sommato Bursthein Rama è una donna.
Ricorderò sempre il finale: Yochai e Shira, sposato da poco, entrano sorridenti nella loro camera da letto, si guardano l'un l'altro - e il loro sorriso è sparito.
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[+] luke, penso che tu fraintenda
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peer gynt
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lunedì 3 settembre 2012
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dal dovere all'amore
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La diciottenne Shira, ansiosa di sposarsi, è promessa dai suoi genitori (ebrei osservanti della corrente chassidica, caratterizzata da un rigore dottrinario e rituale estremo) ad un coetaneo. Ma quando sua sorella muore dando alla luce un bambino, ed è evidente che il vedovo dovrà a breve risposarsi per dare una madre all'orfano, a Shira si chiede di sacrificarsi per la famiglia e sposare lei il cognato. Ritratto psicologicamente profondo di una giovane donna e della sua progressiva presa di coscienza della differenza fra dovere e amore. Il passaggio fra il subire un destino imposto dall'alto e l'accettarlo con sincera partecipazione comporta una lenta e sofferta introspezione, che il personaggio di Shira affronta con serena maturità.
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La diciottenne Shira, ansiosa di sposarsi, è promessa dai suoi genitori (ebrei osservanti della corrente chassidica, caratterizzata da un rigore dottrinario e rituale estremo) ad un coetaneo. Ma quando sua sorella muore dando alla luce un bambino, ed è evidente che il vedovo dovrà a breve risposarsi per dare una madre all'orfano, a Shira si chiede di sacrificarsi per la famiglia e sposare lei il cognato. Ritratto psicologicamente profondo di una giovane donna e della sua progressiva presa di coscienza della differenza fra dovere e amore. Il passaggio fra il subire un destino imposto dall'alto e l'accettarlo con sincera partecipazione comporta una lenta e sofferta introspezione, che il personaggio di Shira affronta con serena maturità. Hadas Yaron, l'attrice che veste i panni di Shira, presta il suo volto pulito e la sua intensa partecipazione a questo bel percorso di auto-consapevolezza.
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