rita branca
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martedì 24 settembre 2013
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poveri anche di buon senso
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E’ stato il figlio, film (2012) di Daniele Ciprì con Toni Servillo, Giselda Volodi, Fabrizio Falco, Aurora Quattrocchi, Benedetto Ranelli, Mauro Spitaleri, Piero Misuraca, Alfredo Castro, Alessia Zammitti
Intenso film drammatico, dal forte sapore neorealista, ispirato al romanzo omonimo di Roberto Alajmo e ad un fatto di cronaca risalente alla Palermo degli anni settanta, quando la poverissima famiglia Ciraulo, costituita da padre, madre, il figlio ventenne, Serenella, una bambina intorno agli 8 anni e vecchi genitori paterni è colpita dalla tragica morte della piccola durante una sparatoria mafiosa, evento che cambia radicalmente la vita di queste creature in lunga attesa del risarcimento predisposto dallo stato.
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E’ stato il figlio, film (2012) di Daniele Ciprì con Toni Servillo, Giselda Volodi, Fabrizio Falco, Aurora Quattrocchi, Benedetto Ranelli, Mauro Spitaleri, Piero Misuraca, Alfredo Castro, Alessia Zammitti
Intenso film drammatico, dal forte sapore neorealista, ispirato al romanzo omonimo di Roberto Alajmo e ad un fatto di cronaca risalente alla Palermo degli anni settanta, quando la poverissima famiglia Ciraulo, costituita da padre, madre, il figlio ventenne, Serenella, una bambina intorno agli 8 anni e vecchi genitori paterni è colpita dalla tragica morte della piccola durante una sparatoria mafiosa, evento che cambia radicalmente la vita di queste creature in lunga attesa del risarcimento predisposto dallo stato.
Tale calvario è raccontato nella prima inquadratura da Busu, un personaggio bizzarro che, seduto all’interno di un ufficio postale, racconta il fatto ai cittadini in attesa del loro turno agli sportelli e che non sembra avere alcuna fretta, infatti lo si vedrà nuovamente alla fine, quando a conclusione della mattinata, l’ufficio postale si svuota e lui si avvicina ad uno sportello con una serie di carte e l’impiegato, che evidentemente lo conosce bene, gli chiede se non si sia ancora stancato…. di raccontare quella storia, che evidentemente è per lui un’ossessione e, a ragion veduta.
Solo alla fine si scopre di chi si tratta.
Quando finalmente, arrivano i sospirati soldi, dopo che si sono indebitati anche grazie a prestiti usurai, il capofamiglia decide che il miglior utilizzo è l’acquisto di una lussuosa Mercedes che permetterà loro di mostrare al mondo il loro nuovo status di ricchi, falso, naturalmente, poiché tutto viene investito nell’acquisto che peggiora la loro esistenza, in quanto il timore che la macchina scompaia o venga danneggiata, diventa un’ossessione che indebolisce anche la voglia di lavorare nell’ottuso e ingenuo padre di famiglia, interpretato magnificamente da Toni Servillo. Ma non è tutto, ciò è solo l’inizio della fine, perché incoraggiato da un cugino coinvolto in affari loschi, il figlio trafuga le chiavi, guida la macchina e ne graffia una fiancata che, una volta scoperta, fa uscire di senno il genitore, il quale prima malmena impietosamente lui e poi il cugino chiamato in suo soccorso e che, offeso per la mancanza di rispetto, non esita a sparare uccidendo l’uomo. Ciò getta nella disperazione le due donne, che sono consapevoli delle difficoltà che tale tragedia porta al nucleo familiare dal punto di vista economico e una soluzione inaspettata e decisamente cinica viene trovata dalla vecchia madre.
Encomiabile la recitazione di tutti gli interpreti, bella fotografia.
Rita Branca
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puntaraisi
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lunedì 3 settembre 2012
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d. ciprì, un siciliano alla mostra
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Dopo aver sfiorato la partecipazione al Festival di Cannes, il primo film di Daniele Ciprì non in coppia con France Maresco, è approdato al Festival del cineme di Venezia.
"E' stato il figlio", liberamente tratto dall' omonimo libro di Roberto Alajmo, ispirato ad una storia vera nello Z.E.N. degli anni '80, dà la possibilità a Cipri di manifestare il suo genio creativo, il suo talento tecnico e il suo profondo, autentico amore verso quell' umanità che vive ai margini della grande città, come in questo caso, o celata nel suo ventre, e che costituisce il cuore della "palermitanità" o della "palermitanitudine", verso cui Ciprì mostra ed ha mostrato sempre una grande attenzione.
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Dopo aver sfiorato la partecipazione al Festival di Cannes, il primo film di Daniele Ciprì non in coppia con France Maresco, è approdato al Festival del cineme di Venezia.
"E' stato il figlio", liberamente tratto dall' omonimo libro di Roberto Alajmo, ispirato ad una storia vera nello Z.E.N. degli anni '80, dà la possibilità a Cipri di manifestare il suo genio creativo, il suo talento tecnico e il suo profondo, autentico amore verso quell' umanità che vive ai margini della grande città, come in questo caso, o celata nel suo ventre, e che costituisce il cuore della "palermitanità" o della "palermitanitudine", verso cui Ciprì mostra ed ha mostrato sempre una grande attenzione.
Il fatto di cronaca, in realtà, serve al nostro come punto di partenza per cogliere, dipanare, sublimare gli elementi tragi-comici di questo universo umano ed ambientale che, pur essendo ricco di paradossi, contraddizioni, metafore, non interessa i più, ma soltanto i pochi, rari artisti capaci, come lui, di coglierli e di tramutarli in arte impegnata, di riflessione e di denuncia.
Da un fatto di cronaca nera, che avrebbe potuto avere una struttura sumplice e un andamento lento, Ciprì riesce a tirare fuori tutta la complessità di questa tipologia umana, dalle dinamiche relazionali ed affettive, alla vera natura della gerarchia familiare, che soltanto formalmente è patriarcale ma che. nella sostanza, è l' esatto opposto.
Valicando i confini del realismo, Ciprì dà al suo film un andamento fantastico, con atmosfere, toni e ritmi surreali: Serenella, la figlia-bambina della famiglia Ciraulo, fonte di cupo e profondo dolore, svanisce, come per incanto, nel nulla, per lasciare posto all'oggetto di desiderio del padre, la "Mercedes", consumistico simbolo dell' apparire e di un agognato, spropositato benessere, che rappresenterà l' inizio e la fine di un sogno vissuto coralmente.
Il film di Ciprì è in realtà un dramma, perchè non è soltanto tragedia, come non è soltanto commedia; infatti, il riso che il film suscita è un riso amaro come la vita, quella vera.
Con i suoi riferimenti a Charles Chaplin, Mario Monicelli, Sergio Leone, "E' stato il figlio", film colto che si presta a numerose chiavi di lettura, è anche un omaggio del regista alla migliore cinematografia.
FRANCESCA MARZILLA
(fmarzilla@hotmail.it)
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eugenio
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venerdì 11 gennaio 2013
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il grottesco secondo cipri’
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Cipri’ torna alla regia con il suo secondo film, dal titolo enigmatico e misterioso. Lo spettatore non si inganni: “E’ stato il figlio”, liberamente ispirato al romanzo dello scrittore palermitano Roberto Alajmo non appartiene al genere spy story ma può essere considerato una commedia umana intinta di surreale vena grottesca.
Il filo conduttore e narratore degli eventi è un giovane apparentemente disadattato che trascorre le sue giornate in un ufficio postale della periferia di Palermo raccontando storie a chi aspetta il proprio turno. Tra queste ve ne è una particolare: quella della famiglia “allargata” Ciraulo dalle reminiscenze quasi verghiane e delle sue traversie all’interno del microcosmo popolare del quartiere Zen di Palermo degli anni 80.
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Cipri’ torna alla regia con il suo secondo film, dal titolo enigmatico e misterioso. Lo spettatore non si inganni: “E’ stato il figlio”, liberamente ispirato al romanzo dello scrittore palermitano Roberto Alajmo non appartiene al genere spy story ma può essere considerato una commedia umana intinta di surreale vena grottesca.
Il filo conduttore e narratore degli eventi è un giovane apparentemente disadattato che trascorre le sue giornate in un ufficio postale della periferia di Palermo raccontando storie a chi aspetta il proprio turno. Tra queste ve ne è una particolare: quella della famiglia “allargata” Ciraulo dalle reminiscenze quasi verghiane e delle sue traversie all’interno del microcosmo popolare del quartiere Zen di Palermo degli anni 80. Nicola (interpretato da un ottimo Toni Servillo) è il capofamiglia e unica fonte di reddito che si arrangia a recuperare rottami dalle navi in disuso abbandonate nella zona portuale. Dal temperamento iroso e avido, condivide il piccolo appartamento con la moglie Loredana, scialba e passiva, il dinoccolato e disoccupato figlio Tancredi (tutt’altro che nobile come l’omonimo di Lampedusa), la dolce Serenella e i due anziani genitori Rosa e Fonzio, rappresentanti della piccola umanità incupita e calcolatrice (i discorsi della “Nonna Rosa” sembrano tratti dal Mastro don Gesualdo).
L’armonia familiare si spezza improvvisamente a causa della morte di Serenella uccisa accidentalmente da un proiettile vagante esploso durante un regolamento di conti. Dinanzi alla famiglia dopo l’iniziale attimo di dolore e rassegnazione (che appunto dura molto poco), si paventa un insperato quanto illusorio benessere economico determinato dal risarcimento economico statale a nome delle vittime della mafia. Sarà solo l’inizio della fine: presi dalla cupidigia e dall’avidità, la famiglia Ciraulo si rovinerà con le sue stesse man, prima indebitandosi con un usuraio strozzino (le scene del prestito e delle condizioni di restituzione sullo sfondo dello sferragliare delle rotaie fanno sorridere amaramente) e successivamente acquistando quella “macchina del diavolo”, la Mercedes dei loro sogni con la quale potrà ostentare quella ricchezza così a lungo ricercata.
Sfruttando il convenzionale mezzo dell’ analessi che occupa buona parte della pellicola, Ciprì descrive con un taglio grottesco la miseria umana e materiale di una realtà degradata, moralmente indegna e pronta a rinunciare anche a quel minimo di celato orgoglio al fine di mostrare con disprezzo la propria superiorità dinanzi a quel popolino invidioso.
Come nei romanzi realisti anche nel film di Cipri’ non c’e’ spazio per i sentimenti: spazzati via come una tempesta di sabbia, i protagonisti abbandonano una parvenza umana preservata da quella pietas tragica ma tutto sommato onesta, divenendo bestie assetate di denaro, pronte a monetizzare una disgrazia per i propri scopi e poco importa se sangue innocente è stato versato. Il pessimismo di cui è permeata la pellicola è stemperato da momenti di surreale comicità che sfociano nel grottesco grazie alla verve di un cast di attori ben caratterizzati cui spicca la “stravagante” disumanità di Nicola (e di Nonna Rosa alla fine) esponente e quasi macchietta caricaturale di una famiglia che ha fatto della maschera il proprio paravento esistenziale. Il regista palermitano convince e risulta molto abile nell’ enfatizzare il desiderio di emancipazione facendo uso di una tecnica registica che alterna il freddo disarmo dei palazzi popolari del quartiere Zen alle espressioni facciali disumane e espressioniste dei protagonisti ripresi spesso con gli occhi spalancati e quasi allucinati a mo’ di maschere che talvolta per l’eccessivo spirito farsesco risultano quasi innaturali e barocche.
Cipri’ è riuscito dignitosamente a dipingere con efficacia i complicati rapporti familiari che albergano in tutte le famiglie anche quelle apparentemente oneste e rispettabili. I “panni sporchi” sono metaforicamente le loro anime, abbruttite dal lato più venale dell’esistenza e cioè quella “roba”, quell’attaccamento ai ben materiali verganiamente parlando, che li condurrà come Mazzaro’ alla rovina. Disperati e travolti da un amaro destino che stravolgerà la loro esistenza, la famiglia Ciraulo è il prototipo della deformata società contemporanea nella quale, molto spesso, l’unione è frantumata e spezzata dalle traversie della vita e lo scotto fisico, altissimo, è pagato solo dal più debole, dal più disgraziato, quello che soccombe alla dura legge del più forte senza più speranza alcuna. A tratti visionario e caricaturale, assurdo e terribile, misero e amaro ma sopratutto, realista.
Cosa che al cinema si sta perdendo.
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gianleo67
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domenica 10 febbraio 2013
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'epos e thanatos' dalle parti della kalsa
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Un anziano signore in attesa in un ufficio postale di Palermo, racconta ogni giorno agli utenti in coda storie stravanganti ed incredibili tra le quali quella di un figlio che uccise il padre con due colpi di pistola 'dentro al petto' a causa di una banale lite per il graffio che aveva provocato all'auto del genitore...
Storia tragicomica e grottesca, quella del geniale autore di 'Cinico TV' è in realtà una parabola surreale che attraverso una cronistoria familiare in un emblematico quartiere popolare, ci racconta delle paradossali contraddizioni di una civiltà dei consumi declinate in un contesto sociale e culturale in cui il sostentamento economico e le relazioni umane scandiscono una quotidianità di miseria e di degrado morale di cui il nucleo familiare rappresenta una sorta paravento per egoismi e meschinità personali, l'unità minima di sopravvivenza per individualità incapaci di relazionarsi con l'altro se non attraverso il sotteso calcolo di una gretta mutualità.
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Un anziano signore in attesa in un ufficio postale di Palermo, racconta ogni giorno agli utenti in coda storie stravanganti ed incredibili tra le quali quella di un figlio che uccise il padre con due colpi di pistola 'dentro al petto' a causa di una banale lite per il graffio che aveva provocato all'auto del genitore...
Storia tragicomica e grottesca, quella del geniale autore di 'Cinico TV' è in realtà una parabola surreale che attraverso una cronistoria familiare in un emblematico quartiere popolare, ci racconta delle paradossali contraddizioni di una civiltà dei consumi declinate in un contesto sociale e culturale in cui il sostentamento economico e le relazioni umane scandiscono una quotidianità di miseria e di degrado morale di cui il nucleo familiare rappresenta una sorta paravento per egoismi e meschinità personali, l'unità minima di sopravvivenza per individualità incapaci di relazionarsi con l'altro se non attraverso il sotteso calcolo di una gretta mutualità. La disgregazione dei valori etici e del concetto stesso di unità familiare è veicolata attraverso il ricorso originale e personale dell'autore ad una estetica del 'degrado' che prende spunto formalmente dalla connotazione fortemente regionalistica (meglio localistica) del contesto sociale e culturale palermitano (potremmo essere similmente a Taranto, Reggio Calabria piuttosto che nel quartiere degradato di una qualunque metropoli settentrionale) ma si estende per analogia al carattere intrinseco di una cultura nazionale in cui è totalmente assente l'idea di progresso e dove l'individuo sembra in balia di preponderanti forze esterne che ne determinano aspettative e destini, soggiogato dal pervicace fatalismo che conduce alle ineluttabili conseguenze di una vita anonima e senza prospettive (il giovane protagonista maschile è il triste e miserabile antierore di una perversa tragedia che echeggia i miti della classicità). Questo impianto da tragedia greca (con tanto di dettagli truculenti e passionali: dalla tragica morte di Serenella, alla figura di 'bello e dannato' del cugino Masino; dalle dissolutezze di un patriarca imbelle al feroce egoismo di un matriarcato degenere) è funzionale ad una rappresentazione di caratteri universali in cui è facile riconoscere la parvenza di una modernità miserabile dove la degradazione del tessuto sociale è solo l'allarmante sirena di una disgregazione delle componenti fondamentali dell'individuo: 'l'assurdo in persona che, già vecchio e cadente, racconta a tutta la gente del suo falso incidente'. La tradizione orale di questo singolare adattamento viene peraltro conservata anche nella scelta di tramandare (da nonno a nipote) il testimone di una consuetudine narrativa che trova nell'apologo e nella parabola le figure retoriche ideali di trasfigurazione della realtà nelle forme universali del mito e della leggenda (dal mito di Colapesce a quello della propria disavventura personale). Opera di indubbio rigore stilistico riesce ad integrare in una perfetta sintesi estetica temi sociali e politici (la mafia, il degrado delle periferie urbane, il dramma occupazionale meridionale, l'usura, i paradossi burocratici,le sirene del consumismo) con una visione universale intrisa di profondo e immendabile pessimismo, giocando sulla contaminazione (strabilianti gli inserti musical-pop) e su una fotografia desaturata e antirealistica (dello stesso Ciprì) pur con un gusto dell'eccesso a volte troppo compiaciuto di sè. Premio per la fotografia alla 69° Mostra del cinema di Venezia. 'Epos e thanatos' dalle parti della Kalsa.
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ultimoboyscout
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sabato 25 maggio 2013
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in mercedes verso il baratro.
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Primo filn di Caprì senza Franco Maresco che narra di una famiglia palermitana rimasta segnata da un delitto di stampo mafioso. La storia è rievocata in flshback dall'anziano Busu, il quale spiega le ingenuità del capofamiglia Nicola nel gestire i rapporti con le istituzioni e la mafia, spendendo anzi sperperando i soldi (tanti) promessi dallo Stato come risarcimento per l'omicidio della figlioletta. Servillo è strepitoso nell'impersonare il personaggio del palermitano Nicola, ruolo per lui inedito, ma la protagonista indiscussa del film è la Mercedes che diventa il simbolo illusorio della ricchezza e l'unico elemento che rimanda all'epoca in cui si sono svolti realmente i fatti, ovvero l'inizio degli anni '80.
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Primo filn di Caprì senza Franco Maresco che narra di una famiglia palermitana rimasta segnata da un delitto di stampo mafioso. La storia è rievocata in flshback dall'anziano Busu, il quale spiega le ingenuità del capofamiglia Nicola nel gestire i rapporti con le istituzioni e la mafia, spendendo anzi sperperando i soldi (tanti) promessi dallo Stato come risarcimento per l'omicidio della figlioletta. Servillo è strepitoso nell'impersonare il personaggio del palermitano Nicola, ruolo per lui inedito, ma la protagonista indiscussa del film è la Mercedes che diventa il simbolo illusorio della ricchezza e l'unico elemento che rimanda all'epoca in cui si sono svolti realmente i fatti, ovvero l'inizio degli anni '80. In un clima di vaghezza, in un non-luogo dal tempo immobile, Ciprì gira una favola nerissima, per molti versi indefinita, aleatoria come il racconto di Busu e l'ufficio postale in cui si trova. La figura del narratore è uno dei punti in cui si differenzia dal romanzo omonimo di Roberto Alajmo da cui è tratto, mentre Ciprì ha fatto più di un passo indietro, attenuando la sua aura snob tipica dei suoi lavori e gli eccessi di moralismo che risultavano presenti e particolarmente fastidiosi nelle sue precedenti opere. Si esalta in diversi cambi di tono e ritmo, che spezzano la storia e spiazzano chi guarda, il suo indubbio talento visivo si mette al servizio di un racconto forte e tragico ma malignamente comico che esprime tanta rabbia civile. Il regista trasforma un delitto di mafia in tragicommedia, aiutato da un Servillo deformato al limite della macchietta, in un film pop, colorato, buffo e miserabile al limite del non reale.
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zoom e controzoom
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sabato 17 novembre 2012
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pietà, la faida e questo: storie di figli
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In un periodo relativamente breve, sono passati sugli schermi alcuni film dalla tematica molto impegnativa tantopiù che riguarda ciò che per eccellenza è il futuro: i figli. Pietà, La faida e questo film.
E’ stato il figlio, soggetto che poggia su di un substrato terribilmente radicato in Italia, la mafia e i suoi sacrificati, è un film che usufruisce della grande forza interpretativa di un eclettico Toni Servillo e dell’imprevedibile capacità fantastica di Daniele Ciprì.
I continui mutamenti di atmosfera – si passa dalla cruda realtà alle scenografie più fantasiose da fantasiland – in modo fluido e tanto gradevole da non notarne quasi mai la svolta se non quando poi si ritorna alle scenografie reali.
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In un periodo relativamente breve, sono passati sugli schermi alcuni film dalla tematica molto impegnativa tantopiù che riguarda ciò che per eccellenza è il futuro: i figli. Pietà, La faida e questo film.
E’ stato il figlio, soggetto che poggia su di un substrato terribilmente radicato in Italia, la mafia e i suoi sacrificati, è un film che usufruisce della grande forza interpretativa di un eclettico Toni Servillo e dell’imprevedibile capacità fantastica di Daniele Ciprì.
I continui mutamenti di atmosfera – si passa dalla cruda realtà alle scenografie più fantasiose da fantasiland – in modo fluido e tanto gradevole da non notarne quasi mai la svolta se non quando poi si ritorna alle scenografie reali.
Gli ambienti sono splendidamente descritti nel loro squallore povero, dai giochi dei bimbi tra immondezza agli interni di una casa dove tutto è squinternatamente misero, agli esterni statici e magari ieratici al di là di un ponte inquadrato dal basso, che permette d’intravvedere solo ciò che svetta verso l’alto, non permette di capire dove tutto ciò nasce.
Nonostante ciò, nonostante la miseria che ovunque toglie speranza, il sogno di una vita migliore si focalizza su di un’inutile auto di grossa cilindrata.
Tutto il ritmo del film procede ineluttabilmente uguale verso un qualche cosa che sembra prevedibile, ma Ciprì sorprende con un ultimo colpo di scena investendo del ruolo da protagonista la nonna che fino ad allora non era stata particolarmente presente ai momenti dell’azione o delle scelte.
Difficile riconoscersi in uno o l’altro dei protagonisti perché di volta in volta, ognuno presenta realisticamente un aspetto plausibile del nostro carattere: chi è debole, chi è vile, chi ha paura, chi ha coraggio e ancora altri aspetti tutti terribilmente umani, impastati però con una povertà pericolosamente deviante.
Fotografia curatissima, si avvale di punti di vista decisamente legati/motivati dal contenuto della scena e ne sottolinea così, ora la staticità, ora il movimento delle persone e delle loro menti, ora l’essenza del personaggio stesso magari parcheggiato nell’ufficio postale.
Il tono coloristico della pellicola, è molto spento, tranne che nel sogno, quasi in contrasto con la forte espressività gergale ed irruente del grande Servillo.
Splendido il drammatico finale che letteralmente trasmette un senso di claustrofobia, comunicandoci l’ineluttabilità del futuro del figlio che pur innocente, pagherà per le piccole povere ambizioni di gente miserabile e il cerchio del sogno svanisce su di lui. Un'altra realtà del futuro dei figli se le cose resteranno in luoghi dove la mafia ancora impera.
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stefanoadm
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mercoledì 6 marzo 2013
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umani in rottamazione
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Come trovare sollievo al dolore più atroce? Monetizzando.
Un uomo dallo sguardo assente, voce che proviene da chissà dove, racconta ad ascoltatori occasionali la storia della famiglia Ciraulo. Vite stentate, passate a recuperare rottami nei cantieri per poi tornare a palazzoni dove l’acqua arriva a stento e la tv è più un rebus di frequenze che un sollievo. La routine è interrotta da mafiosi con la mira approssimativa, buoni solo a generare il peggiore degli effetti collaterali. Di qui le lacrime sincere versate dai parenti della vittima e i tentativi, riusciti, di ricevere un importante indennizzo. I soldi servono a ripianare debiti e quietare strozzini, con quel che resta si compra una Mercedes.
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Come trovare sollievo al dolore più atroce? Monetizzando.
Un uomo dallo sguardo assente, voce che proviene da chissà dove, racconta ad ascoltatori occasionali la storia della famiglia Ciraulo. Vite stentate, passate a recuperare rottami nei cantieri per poi tornare a palazzoni dove l’acqua arriva a stento e la tv è più un rebus di frequenze che un sollievo. La routine è interrotta da mafiosi con la mira approssimativa, buoni solo a generare il peggiore degli effetti collaterali. Di qui le lacrime sincere versate dai parenti della vittima e i tentativi, riusciti, di ricevere un importante indennizzo. I soldi servono a ripianare debiti e quietare strozzini, con quel che resta si compra una Mercedes. Fra i tuguri, l’auto scintilla e non serve a nulla. Eppure concretizza in finestrini, lamiere e aria condizionata ciò che il suo proprietario vuole: un simbolo di ricchezza immeritata, probabilmente già svanita. L’inevitabile ammaccatura scatena il contrappasso: il peccato della volgarità, dell’inutile e della presunzione viene punito.
“E’ stato il figlio” parla di Sicilia e mafia. Ma nell’opera forse più bella e matura di Ciprì c’è molto altro, in primis un’intera Nazione rimasta capricciosa e adolescenziale, incapace di gestire se stessa, assediata dal brutto, in via di rottamazione, socialmente minata da una malintesa concezione di famiglia.
Fra le macerie, i tanti e riusciti contrappunti comici partecipano quasi paradossalmente alla costruzione della tragedia.
Regia e attori ad alti livelli, fotografia intonata. Un neo? Forse la scelta di affidare il ruolo del “cantastorie” a un attore straniero. L’opzione rende il personaggio in qualche modo “alieno”, e si tratta certamente di una precisa volontà, ma il sonoro, meglio, il “contesto vocale” ne risente, seppure in modo lieve.
La camminata impettita, a schiena dritta e occhi sgranati di Toni Servillo è da cineteca.
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rob8
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sabato 28 luglio 2018
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un universo umano tragicomico e sregolato
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In questa pellicola non mancano i toni grotteschi del mondo espressivo di Ciprì, già responsabile con Franco Maresco di un pugno di lungometraggi stranianti e soprattutto di quella Cinico TV (1992-1996) che ospitata all’interno di Raitre sotto le mentite spoglie di brevi episodi dall’umorismo nero, espresse con i suoi personaggi alienati, sullo sfondo di una Sicilia desolata, una feroce critica sociale in tempi di edonismo trionfante.
Vent’anni dopo la vena corrosiva non è esaurita, in un universo umano parimenti sregolato e tragicomico: dove il capofamiglia tira a campare recuperando, con l’aiuto del figlio e del vecchio padre, ferrame dalle navi in disarmo (ancora relitti marini, come ne La grande bellezza) e dove le figure femminili finiscono, ciascuna a suo modo, vittime delle circostanze.
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In questa pellicola non mancano i toni grotteschi del mondo espressivo di Ciprì, già responsabile con Franco Maresco di un pugno di lungometraggi stranianti e soprattutto di quella Cinico TV (1992-1996) che ospitata all’interno di Raitre sotto le mentite spoglie di brevi episodi dall’umorismo nero, espresse con i suoi personaggi alienati, sullo sfondo di una Sicilia desolata, una feroce critica sociale in tempi di edonismo trionfante.
Vent’anni dopo la vena corrosiva non è esaurita, in un universo umano parimenti sregolato e tragicomico: dove il capofamiglia tira a campare recuperando, con l’aiuto del figlio e del vecchio padre, ferrame dalle navi in disarmo (ancora relitti marini, come ne La grande bellezza) e dove le figure femminili finiscono, ciascuna a suo modo, vittime delle circostanze.
Uno strepitoso Toni Servillo, in una canotta sdrucita, che evoca in negativo quella di Brando e di Girotti, dà vita ad un personaggio tra ironia e sgomento, alla ricerca di un riscatto sociale per la sua famiglia: che rimane invece drammaticamente prigioniera del suo destino.
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maria f.
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martedì 26 novembre 2013
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evviva i buoni film!
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Famiglia meridionale che vive arrangiandosi.
Da sempre tirano a campare con un unico introito. Senza grandi pretese.
Si accontentano di quei pochi “piccioli” che il capofamiglia racimola vendendo ferro estratto da imbarcazioni in disuso.
Insomma, sopravvivono.
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Famiglia meridionale che vive arrangiandosi.
Da sempre tirano a campare con un unico introito. Senza grandi pretese.
Si accontentano di quei pochi “piccioli” che il capofamiglia racimola vendendo ferro estratto da imbarcazioni in disuso.
Insomma, sopravvivono.
Serenella di otto anni, la figlia prediletta con un carattere volitivo muore a causa di un proiettile vagante e la famiglia beneficia di un rimborso molto cospicuo messo a disposizione dallo Stato.
Nell’attesa di riscuotere, contraggono debiti, per cui quando finalmente entreranno in possesso del denaro, al netto del dovuto, resterà loro una somma che insieme decidono di investire nell’acquisto di una Mercedes.
Tancredi, il fratello maggiore invece, a causa del suo carattere schivo e discreto non è tenuto in molta considerazione, continuamente vessato dal padre, riesce ad avere una bella intesa solo col nonno, che lo accetta senza giudicarlo rispettando i suoi tempi e non facendolo sentire mai inadeguato per quel suo vivere la vita sempre con la testa fra le nuvole e a un ritmo lento rispetto all’ambiente di adolescenti del quartiere .
La sua autostima è ai minimi termini .
La sola volta che ha voluto dimostrare a se stesso di poter essere in grado di fare qualcosa di diverso, sollecitato a trasgredire dal cugino Masino - apprezzato da tutti per i suoi traffici, ha sottratto al padre le chiavi della Mercedes provocando l’ira selvaggia di questi che accortosi di quanto avvenuto, continuava come un ossesso a inveire e a pestarlo malamente, fino all’intervento di Masino che per interrompere quella violenza uccide l’inviperito padre.
I Ciraulo restano così senza fonte di sostentamento.
I membri della famiglia, rivelandosi tutti famelici, capeggiati dalla cinica nonna decidono che poiché Tancredi non sarebbe in grado di “camparli” dovrà sostituirsi all’assassino Masino che in cambio s’impegnerà a mantenerli tutti per tutta la vita.
La figura del nonno in questa parte finale del film, scompare, facendoci intendere che per quanto amasse il nipote non avrebbe mai rinunciato all’opportunità di continuare a essere sostentato, e così il ragazzo abbandonato dalle persone che avrebbero dovuto proteggerlo, acconsente allo scambio di persona perché incapace di opporsi, e convinto che la sua inadeguatezza a mantenerli tuttti, sia un motivo valido di colpevolezza.
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fabio1957
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mercoledì 12 marzo 2014
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buono
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Film "desolatamente" riuscito, che riporta con grande efficacia lo squallore esistenziale e sociale di un sottoproletariato povero di denaro e di spirito. Ottima la sceneggiatura e la recitazione, anche se a tratti la pellicola è eccessivamente caricaturale e grottesca, come d'altronde è nello stile del regista.
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