paride86
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domenica 28 ottobre 2012
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un'occasione sprecata
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La tragica vicenda di Eluana Englaro fa da catalizzatore ad alcune storie; un senatore alle prese con il voto sulla questione, sua figlia che manifesta coi cattolici contro l'eutanasia, una madre con una figlia attaccata ad una macchina, una tossicodipendente che ruba per vivere.
Il film di Bellocchio fallisce su tutta la linea perché le storie che racconte sono superficiali e inverosimili:
La tragica vicenda di Eluana Englaro fa da catalizzatore ad alcune storie; un senatore alle prese con il voto sulla questione, sua figlia che manifesta coi cattolici contro l'eutanasia, una madre con una figlia attaccata ad una macchina, una tossicodipendente che ruba per vivere.
Il film di Bellocchio fallisce su tutta la linea perché le storie che racconte sono superficiali e inverosimili:
- un senatore del pdl che si dimette per una crisi di coscienza? Solo al cinema!
- un uomo che stacca il respiratore alla moglie appena lei glielo chiede, senza neanche pensarci su? Ma stiamo scherzando?
- una ragazza che si innamora del fratello di uno che gli butta l'acqua in faccia, solo dopo averci scambiato due parole ed esserci andata a letto insieme?
- perché il tizio dell'acqua è così esaltato? E' forse un pazzo?
- un medico che, senza un particolare motivo, si accolla una tossicodipendente che prima tenta di derubarlo e poi tenta il suicidio? Ma quando mai!
La vicenda Englaro si sarebbe prestata perfettamente per riflessioni su diversi temi: la vita, la morte, l'ingerenza della politica nella vita dei cittadini, il contrasto tra fede e ragione, l'ingerenza della Chiesa nello Stato, ecc, ma Bellocchio li sfiora solamente, preferendo raccontare storie che lasciano il tempo che trovano, inconcludenti e inconcluse.
come reagirà Maria sapendo che il padre ha staccato il respiratore a sua madre? Il film ci nega questa parte della storia.
Per quanto riguarda la questione dell'eutanasia pare che Bellocchio sia contrario, visto che i personaggi di quest'opinione sono, per la maggior parte, degli esaltati.
Nel cast si distingue Isabelle Huppert, bella e brava come sempre, ed è una perla in una collana di bigiotteria.
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paolo pasetti
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lunedì 8 ottobre 2012
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bellocchio, inguaribile ottimista
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Confesso di essere da sempre un ammiratore del cinema di Bellocchio, nonostante (anzi, forse proprio per) i risultati discontinui della sua lunga carriera di cineasta. Però, devo ammettere che stavolta proprio non ci siamo. Vedendo “Bella addormentata”, un film decisamente non riuscito, se cerchiamo di andare al di là suo debole risultato artistico, bisogna riconoscere a Bellocchio almeno un merito: la sua volontà, invero quasi commovente, di INTERVENIRE nel miserabile dibattito (dibattito?) politico-culturale italiano. Bellocchio, come del resto tutti i veri sessantottini (ne ho conosciuti, purtroppo, parecchi…), rimane in questo un ottimista impenitente.
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Confesso di essere da sempre un ammiratore del cinema di Bellocchio, nonostante (anzi, forse proprio per) i risultati discontinui della sua lunga carriera di cineasta. Però, devo ammettere che stavolta proprio non ci siamo. Vedendo “Bella addormentata”, un film decisamente non riuscito, se cerchiamo di andare al di là suo debole risultato artistico, bisogna riconoscere a Bellocchio almeno un merito: la sua volontà, invero quasi commovente, di INTERVENIRE nel miserabile dibattito (dibattito?) politico-culturale italiano. Bellocchio, come del resto tutti i veri sessantottini (ne ho conosciuti, purtroppo, parecchi…), rimane in questo un ottimista impenitente. Invece di provare un normale senso di disgusto di fronte ai temi di cui tratta il film (li sappiamo, inutile ripeterli) e a come sono ridotti in Italia, come un moderno Robespierre, Bellocchio “prende sul serio” ciò che rimane della politica in Italia, ed è probabilmente l’unico. Non sono riuscito a trattenere un sorriso di compatimento osservando le lunghe sequenze girate nel (finto) Senato della Repubblica: qualcuno, onestamente, può ancora pensare che anche solo un briciolo del vero potere (inteso soprattutto nel senso “buono”, cioè di “poter-essere”) risieda ancora in quelle aule? Suvvia, non scherziamo. Bellocchio, poi, esagera: mostra un senatore (per giunta un ex socialista: no, è troppo!) in preda a una terribile crisi di coscienza.
Il film, poi, non è riuscito anche per motivi strettamente stilistici: il meccanismo delle “storie intrecciate” è espediente facile, ma è altrettanto difficile che dia buoni risultati. Io personalmente ho sempre odiato questi meccanismi, perché l’autore è fatalmente portato a imporre un nesso tra le storie (altrimenti, perché avrebbe dovuto intrecciarle?), mentre io – i nessi – preferisco trovarli da solo. Molto, molto meglio in questo senso i film a episodi (ma perché non li fanno più?).
Certo, il film è disseminato di alcune soluzioni narrative e cinematografiche molto felici (è pur sempre Bellocchio): la ragazza in coma rappresentata come la statua di una santa (di quelle da processione, per intenderci) è un’immagine forte, interessante. Nel complesso, però, il film è discontinuo, sfilacciato, a tratti noioso: il meccanismo etico-estetico, tipico del miglior cinema di Bellocchio, sfugge quasi sempre. Non è un caso, forse, che l’”episodio” più riuscito sia proprio quello più vicino ai tradizionali motivi di Bellocchio: l’abbozzo di storia d’amore tra i due giovani – “ideologicamente” nemici – sbocciato tra i due lati opposti della strada. Qui Bellocchio è ancora ottimista, ma stavolta il suo discorso diventa finalmente credibile: al di là di stupide dispute ideologiche (per giunta assai inattuali per i veri giovani dell’Italia di oggi, il cui problema principale è non morire di fame), è un principio di “futuro” quello che agisce nei due ragazzi (il “principio-speranza” di Bloch), è la “politica” (quella vera, non quella dei “simulacri” di partiti che dobbiamo ancora sopportare) che si esprime prepotentemente attraverso i corpi. Esattamente come accadeva ad Alessandro, il protagonista de “I pugni in tasca”, diretto quarantasette anni fa da un imberbe (25 anni) Marco Bellocchio.
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paolo pasetti
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giovedì 4 ottobre 2012
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bellocchio, inguaribile ottimista
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Confesso di essere da sempre un ammiratore del cinema di Bellocchio, nonostante (anzi, forse proprio per) i risultati discontinui della sua lunga carriera di cineasta. Però, devo ammettere che stavolta proprio non ci siamo. Vedendo “Bella addormentata”, un film decisamente non riuscito, se cerchiamo di andare al di là suo debole risultato artistico, bisogna riconoscere a Bellocchio almeno un merito: la sua volontà, invero quasi commovente, di INTERVENIRE nel miserabile dibattito (dibattito?) politico-culturale italiano. Bellocchio, come del resto tutti i veri sessantottini (ne ho conosciuti, purtroppo, parecchi…), rimane in questo un ottimista impenitente.
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Confesso di essere da sempre un ammiratore del cinema di Bellocchio, nonostante (anzi, forse proprio per) i risultati discontinui della sua lunga carriera di cineasta. Però, devo ammettere che stavolta proprio non ci siamo. Vedendo “Bella addormentata”, un film decisamente non riuscito, se cerchiamo di andare al di là suo debole risultato artistico, bisogna riconoscere a Bellocchio almeno un merito: la sua volontà, invero quasi commovente, di INTERVENIRE nel miserabile dibattito (dibattito?) politico-culturale italiano. Bellocchio, come del resto tutti i veri sessantottini (ne ho conosciuti, purtroppo, parecchi…), rimane in questo un ottimista impenitente. Invece di provare un normale senso di disgusto di fronte ai temi di cui tratta il film (li sappiamo, inutile ripeterli) e a come sono ridotti in Italia, come un moderno Robespierre, Bellocchio “prende sul serio” ciò che rimane della politica in Italia, ed è probabilmente l’unico. Non sono riuscito a trattenere un sorriso di compatimento osservando le lunghe sequenze girate nel (finto) Senato della Repubblica: qualcuno, onestamente, può ancora pensare che anche solo un briciolo del vero potere (inteso soprattutto nel senso “buono”, cioè di “poter-essere”) risieda ancora in quelle aule? Suvvia, non scherziamo. Bellocchio, poi, esagera: mostra un senatore (per giunta un ex socialista: no, è troppo!) in preda a una terribile crisi di coscienza.
Il film, poi, non è riuscito anche per motivi strettamente stilistici: il meccanismo delle “storie intrecciate” è espediente facile, ma è altrettanto difficile che dia buoni risultati. Io personalmente ho sempre odiato questi meccanismi, perché l’autore è fatalmente portato a imporre un nesso tra le storie (altrimenti, perché avrebbe dovuto intrecciarle?), mentre io – i nessi – preferisco trovarli da solo. Molto, molto meglio in questo senso i film a episodi (ma perché non li fanno più?).
Certo, il film è disseminato di alcune soluzioni narrative e cinematografiche molto felici (è pur sempre Bellocchio): la ragazza in coma rappresentata come la statua di una santa (di quelle da processione, per intenderci) è un’immagine forte, interessante. Nel complesso, però, il film è discontinuo, sfilacciato, a tratti noioso: il meccanismo etico-estetico, tipico del miglior cinema di Bellocchio, sfugge quasi sempre. Non è un caso, forse, che l’”episodio” più riuscito sia proprio quello più vicino ai tradizionali motivi di Bellocchio: l’abbozzo di storia d’amore tra i due giovani – “ideologicamente” nemici – sbocciato tra i due lati opposti della strada. Qui Bellocchio è ancora ottimista, ma stavolta il suo discorso diventa finalmente credibile: al di là di stupide dispute ideologiche (per giunta assai inattuali per i veri giovani dell’Italia di oggi, il cui problema principale è non morire di fame), è un principio di “futuro” quello che agisce nei due ragazzi (il “principio-speranza” di Bloch), è la “politica” (quella vera, non quella dei “simulacri” di partiti che dobbiamo ancora sopportare) che si esprime prepotentemente attraverso i corpi. Esattamente come accadeva ad Alessandro, il protagonista de “I pugni in tasca”, diretto quarantasette anni fa da un imberbe (25 anni) Marco Bellocchio.
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paolo pasetti
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giovedì 4 ottobre 2012
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bellocchio, inguaribile ottimista
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Confesso di essere da sempre un ammiratore del cinema di Bellocchio, nonostante (anzi, forse proprio per) i risultati discontinui della sua lunga carriera di cineasta. Però, devo ammettere che stavolta proprio non ci siamo. Vedendo “Bella addormentata”, un film decisamente non riuscito, se cerchiamo di andare al di là suo debole risultato artistico, bisogna riconoscere a Bellocchio almeno un merito: la sua volontà, invero quasi commovente, di INTERVENIRE nel miserabile dibattito (dibattito?) politico-culturale italiano. Bellocchio, come del resto tutti i veri sessantottini (ne ho conosciuti, purtroppo, parecchi…), rimane in questo un ottimista impenitente.
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Confesso di essere da sempre un ammiratore del cinema di Bellocchio, nonostante (anzi, forse proprio per) i risultati discontinui della sua lunga carriera di cineasta. Però, devo ammettere che stavolta proprio non ci siamo. Vedendo “Bella addormentata”, un film decisamente non riuscito, se cerchiamo di andare al di là suo debole risultato artistico, bisogna riconoscere a Bellocchio almeno un merito: la sua volontà, invero quasi commovente, di INTERVENIRE nel miserabile dibattito (dibattito?) politico-culturale italiano. Bellocchio, come del resto tutti i veri sessantottini (ne ho conosciuti, purtroppo, parecchi…), rimane in questo un ottimista impenitente. Invece di provare un normale senso di disgusto di fronte ai temi di cui tratta il film (li sappiamo, inutile ripeterli) e a come sono ridotti in Italia, come un moderno Robespierre, Bellocchio “prende sul serio” ciò che rimane della politica in Italia, ed è probabilmente l’unico. Non sono riuscito a trattenere un sorriso di compatimento osservando le lunghe sequenze girate nel (finto) Senato della Repubblica: qualcuno, onestamente, può ancora pensare che anche solo un briciolo del vero potere (inteso soprattutto nel senso “buono”, cioè di “poter-essere”) risieda ancora in quelle aule? Suvvia, non scherziamo. Bellocchio, poi, esagera: mostra un senatore (per giunta un ex socialista: no, è troppo!) in preda a una terribile crisi di coscienza.
Il film, poi, non è riuscito anche per motivi strettamente stilistici: il meccanismo delle “storie intrecciate” è espediente facile, ma è altrettanto difficile che dia buoni risultati. Io personalmente ho sempre odiato questi meccanismi, perché l’autore è fatalmente portato a imporre un nesso tra le storie (altrimenti, perché avrebbe dovuto intrecciarle?), mentre io – i nessi – preferisco trovarli da solo. Molto, molto meglio in questo senso i film a episodi (ma perché non li fanno più?).
Certo, il film è disseminato di alcune soluzioni narrative e cinematografiche molto felici (è pur sempre Bellocchio): la ragazza in coma rappresentata come la statua di una santa (di quelle da processione, per intenderci) è un’immagine forte, interessante. Nel complesso, però, il film è discontinuo, sfilacciato, a tratti noioso: il meccanismo etico-estetico, tipico del miglior cinema di Bellocchio, sfugge quasi sempre. Non è un caso, forse, che l’”episodio” più riuscito sia proprio quello più vicino ai tradizionali motivi di Bellocchio: l’abbozzo di storia d’amore tra i due giovani – “ideologicamente” nemici – sbocciato tra i due lati opposti della strada. Qui Bellocchio è ancora ottimista, ma stavolta il suo discorso diventa finalmente credibile: al di là di stupide dispute ideologiche (per giunta assai inattuali per i veri giovani dell’Italia di oggi, il cui problema principale è non morire di fame) è un principio di “futuro” quello che agisce nei due ragazzi (il “principio-speranza” di Bloch), è la “politica” (quella vera, non quella dei “simulacri” di partiti che dobbiamo ancora sopportare) che si esprime prepotentemente attraverso i corpi. Esattamente come accadeva ad Alessandro, il protagonista de “I pugni in tasca”, diretto quarantasette anni fa da un imberbe (25 anni) Marco Bellocchio.
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lalli
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domenica 30 settembre 2012
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poteva essere più....
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poteva essere più....ma complimenti a Bellocchio. e Sì ALLA LIBERTA'...A TUTTE....
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cineandre
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domenica 30 settembre 2012
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belli addormentati
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Il film di Bellocchio parte subito con una zavorra: il peso delle aspettative, che solo parzialmente riesce a soddisfare.
Di apprezzabile c'è il tentativo di dimostrare che per ogni situazione non c'è una "verità assoluta" che vale per tutti: c'è chi vuole e può essere salvato e c'è chi non vuole alcun salvatore ma solo un "traghettatore" che li aiuti ad approdare a miglior vita. Non ci può essere quindi né imposizione, né condanna. Ci sono solo tante storie, tanti vissuti differenti che portano l'uomo ad avere punti di vista e modi diversi di vivere la vita e la morte.
Nel film questi vissuti emergono a volte in modo un po' grottesco e non sempre chiaro.
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Il film di Bellocchio parte subito con una zavorra: il peso delle aspettative, che solo parzialmente riesce a soddisfare.
Di apprezzabile c'è il tentativo di dimostrare che per ogni situazione non c'è una "verità assoluta" che vale per tutti: c'è chi vuole e può essere salvato e c'è chi non vuole alcun salvatore ma solo un "traghettatore" che li aiuti ad approdare a miglior vita. Non ci può essere quindi né imposizione, né condanna. Ci sono solo tante storie, tanti vissuti differenti che portano l'uomo ad avere punti di vista e modi diversi di vivere la vita e la morte.
Nel film questi vissuti emergono a volte in modo un po' grottesco e non sempre chiaro. La caratterizzazione di alcuni personaggi risulta un po' forzata (come la madre che si ritira dalle scena per seguire la figlia) a tratti banale, oppure incompiuta, non particolarmente approfondita ( come la figlia del senatore).
Il vero peccato origninale del film, però, è la lentezza soporifera. Una lentezza che si avverte pesantamente soprattutto verso la fine.E quando si arriva alla fine, rimane nello spettatore un senso di insoddisfazione. Il chiarimento finale tra il padre ,senatore Pdl, e la figlia presenta un dialogo molto superficiale (più simile alle soap opera) rispetto allo stile generale del film.
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alex2044
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sabato 29 settembre 2012
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per non dimenticare
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Un bel film. Un film che senza essere militante dichiara da che parte sta. Bellocchio ha escogitato un ottimo artificio drammaturgico per parlare del caso di Eluana senza la sua presenza .
Il film scoorre veloce ,gli attori sono (quasi) tutti bravi . Una segnalazione particolare per il grande Servillo ed Alba rohrwacher ed un moto di simpatia in più per GianMarco Tognazzi. Però che grande disgusto ascoltare ancora certe frasi e vedere certe scene reali . Con la morte di Eluana una parte d'Italia ha mostrato il suo lato peggiore fino a giungere alla ferocia. Grazie Bellocchio per aiutarci a non dimenticare.
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miapia
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venerdì 28 settembre 2012
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finalmente!
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Finalmente qualcuno ha il coraggio di andare contro "mostri sacri" e argomenti "intoccabili". Sì, NOIA, NOIA E BANALITA', oltre che NEPOTISMO per quanto riguarda il cast. Diciamolo, sono pochi gli attori italiani bravi, ma esistono, allora questa scelta di FIGLI-DI, incapaci, è comprensibile solo in termini di favoritismi. E la Rorhvacher? sempre la stessa faccia inespressiva da coniglio albino raffreddato, basta, se serve una nevrotica/traumatizzata eccola lì, pronta...Peccato, gran bel tema a voler avere più coraggio, soprattutto artistico (o talento vero). Mi aspettavo, e speravo, molto molto di più.
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mauro.t
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giovedì 27 settembre 2012
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anche aiutare a morire è un atto d'amore
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Attorno al caso di Eluana Englaro si muovono: un senatore Pdl che non vuole votare secondo le indicazioni di partito per un vissuto personale; sua figlia, militante del Movimento per la vita, che si innamora di un ragazzo del fronte opposto; un’attrice che dedica tutte le sue attenzioni alla figlia in coma, viva solo perché attaccata ad una macchina; una tossicodipendente che incontra un medico che le impedisce di suicidarsi. Il messaggio di Bellocchio è semplice ed esplicito: anche aiutare a morire può essere un atto d’amore, proprio come impedire a qualcuno di togliersi la vita, o come occuparsi di un fratello pazzoide. Al contrario, l’accanimento terapeutico non sempre lo è.
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Attorno al caso di Eluana Englaro si muovono: un senatore Pdl che non vuole votare secondo le indicazioni di partito per un vissuto personale; sua figlia, militante del Movimento per la vita, che si innamora di un ragazzo del fronte opposto; un’attrice che dedica tutte le sue attenzioni alla figlia in coma, viva solo perché attaccata ad una macchina; una tossicodipendente che incontra un medico che le impedisce di suicidarsi. Il messaggio di Bellocchio è semplice ed esplicito: anche aiutare a morire può essere un atto d’amore, proprio come impedire a qualcuno di togliersi la vita, o come occuparsi di un fratello pazzoide. Al contrario, l’accanimento terapeutico non sempre lo è. L’attrice è così presa dalla sua missione di “far vivere” la figlia, ormai morta, che trascura chi ha veramente bisogno di lei, ovvero il figlio e il marito. Le storie che si intrecciano sono coerenti con questo messaggio. Non tutto funziona bene nel film, come il colpo di fulmine tra Maria e Roberto, eccessivamente asciutto e poco dialogato, o la storia tra il medico e la tossica, dove appare troppo evidente l’intenzione del regista, ma vi sono alcune perle come: il bagno turco e lo psichiatra dei parlamentari. La battuta migliore del film: “La vita è una condanna a morte, quindi non c’è tempo da perdere”. Strepitosa Maya Sansa, eccellenti come sempre Isabelle Huppert, Toni Servillo e Roberto Herlitzka.
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brunilde56
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lunedì 24 settembre 2012
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un'occasione di riflessione
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Con un taglio quasi documentaristico il regista Bellocchio apre finestre sulla vita e le sofferenze di persone accomunate dalla difficile opzione della "dolce morte". Sullo sfondo la vicenda emblematica di Eluana Englaro e il vivace dibattito innescato dalla battaglia condotta da suo padre. Le storie si intrecciano, a tratti è difficile seguirne le evoluzioni ma l'insieme lascia un segno e fa riflettere, dando nuova attualità a tutto il tema dell'eutanasia e della nostra libertà di scegliere. Un film da vedere una seconda volta per coglierne appieno le sfumature.
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