mauro.t
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domenica 23 settembre 2012
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aiutare a morire può essere un atto d'amore
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Attorno al caso di Eluana Englaro si muovono:
un senatore Pdl che non vuole votare secondo le indicazioni di partito per un vissuto personale;
sua figlia, militante del Movimento per la vita, che si innamora di un ragazzo del fronte opposto;
un’attrice che dedica tutte le sue attenzioni alla figlia in coma, viva solo perché attaccata ad una macchina;
una tossicodipendente che incontra un medico che le impedisce di suicidarsi.
Il messaggio di Bellocchio è semplice ed evidente: anche aiutare a morire, un’assunzione di tremenda responsabilità, può essere un atto d’amore, proprio come impedire a qualcuno di togliersi la vita, o come occuparsi di un fratello pazzoide. Né più né meno. Mentre l’accanimento terapeutico no.
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Attorno al caso di Eluana Englaro si muovono:
un senatore Pdl che non vuole votare secondo le indicazioni di partito per un vissuto personale;
sua figlia, militante del Movimento per la vita, che si innamora di un ragazzo del fronte opposto;
un’attrice che dedica tutte le sue attenzioni alla figlia in coma, viva solo perché attaccata ad una macchina;
una tossicodipendente che incontra un medico che le impedisce di suicidarsi.
Il messaggio di Bellocchio è semplice ed evidente: anche aiutare a morire, un’assunzione di tremenda responsabilità, può essere un atto d’amore, proprio come impedire a qualcuno di togliersi la vita, o come occuparsi di un fratello pazzoide. Né più né meno. Mentre l’accanimento terapeutico no. L’attrice è così presa dalla sua missione di “far vivere” la figlia, ormai morta, che trascura chi ha veramente bisogno di lei, ovvero il figlio e il marito. Le storie sono coerenti con questo messaggio. Non tutto funziona bene nel film, come il colpo di fulmine tra Maria e Roberto, troppo asciutto e poco dialogato, ma vi sono alcune perle come: il bagno turco e lo psichiatra dei parlamentari. La battuta migliore: "La vita è una condanna a morte, qundi non c'è tempo da perdere". Strepitosa Maya Sansa, eccellenti come sempre Isabelle Huppert, Toni Servillo e Roberto Herlitzka. Meno gli altri.
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nigel mansell
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domenica 23 settembre 2012
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classico ed ineccepibile
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La maestria di Bellocchio anche qui non è in discussione nè gli attori tutti di ottimo livello. L'ho trovato solo un pò troppo classico, dalla regia alla colonna sonora...
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favolaela
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domenica 23 settembre 2012
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bellocchio studi un po' fuori italia non critichi
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Bellocchio non ha capito che i film italiani sono tutti uguali,MERITATISSIMO L'OSCAR A PIETA'.PESSIMO NON MERITATO PREMIO A GARRONE
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writer58
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domenica 23 settembre 2012
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stato vegetativo permanente
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Il film di Bellocchio non mi è piaciuto. Mi è parso recitato male, pieno di situazioni improbabili e imbarazzanti (il rapporto amoroso tra la figlia ultracattolica del senatore e il ragazzo pro eutanasia: il dialogo tra la tossicodipendente e il medico), con una sceneggiatura raffazzonata (anche se firmata, tra altri, da Rulli) e una narrativa frammentaria, anche se ispirata da fatti reali e recenti. Ho deciso quindi di pubblicare il testo di un racconto breve da me scritto ispirato al caso Englaro. Non è un capolavoro di narrativa, ma almeno mantiene un'ispirazione unitaria... :)
“Tra poco verranno a prendermi”, mormorò Gianni. Guardò verso le montagne, il riverbero della luce del sole sui vetri della clinica era quasi abbacinante.
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Il film di Bellocchio non mi è piaciuto. Mi è parso recitato male, pieno di situazioni improbabili e imbarazzanti (il rapporto amoroso tra la figlia ultracattolica del senatore e il ragazzo pro eutanasia: il dialogo tra la tossicodipendente e il medico), con una sceneggiatura raffazzonata (anche se firmata, tra altri, da Rulli) e una narrativa frammentaria, anche se ispirata da fatti reali e recenti. Ho deciso quindi di pubblicare il testo di un racconto breve da me scritto ispirato al caso Englaro. Non è un capolavoro di narrativa, ma almeno mantiene un'ispirazione unitaria... :)
“Tra poco verranno a prendermi”, mormorò Gianni. Guardò verso le montagne, il riverbero della luce del sole sui vetri della clinica era quasi abbacinante. Si sentiva stanchissimo, svuotato, ma stranamente sereno. Sapeva benissimo che non l’avrebbe fatta franca. In un paese in cui pagano solo gli immigrati clandestini, i tossicodipendenti, gli operai vittime delle morti bianche e quasi mai i corrotti, i corruttori, gli evasori, i politici condannati con sentenza definitiva, i finanzieri collusi con la mafia, lui rientrava nella ristretta categoria delle persone condannabili.
“Ipocriti, schifosi. Questo sono. Capaci solo di blaterare sulla sacralità della vita di chi è in stato vegetativo permanente e non dicono una parola, neanche una sillaba, sulle centinaia di bambini massacrati a Gaza, sui milioni di morte per fame, sete, Hiv, tifo, influenza, diarrea, mine. Un intero universo di persone a cui viene sottratta alimentazione e idratazione mentre sono ancora in vita, mentre si affacciano alla vita, a cui la vita e la giovinezza vengono rubate”.
Questo pensava Gianni, mentre svolgeva le sue mansioni di infermiere nella clinica affacciata sulle montagne. Lavorava con scrupolo, cambiava i cateteri, metteva le flebo, somministrava le terapie, chiacchierava con gli ammalati, almeno con quelli che non giacevano in coma farmacologico, a volte permetteva che i parenti si fermassero un po’ dopo l’orario previsto.
Di malati senza speranza ne aveva visti tanti, allettati, in agonia, intubati, con gli occhi chiusi, con lo sguardo sbarrato, a fissare un punto imprecisato. Ma quella ragazza che arrivò con un seguito di medici e volontari lo sorprese. Era un esserino di non più di 35 chili, sembrava una bambina che avesse saltato la giovinezza e la maturità per approdare direttamente alla vecchiaia. Gli arti rigidi, gli occhi spalancati sul nulla, era un circuito cuore-polmoni tenuto in funzione da un respiratore, un corpo alimentato da un sondino naso gastrico che permetteva la continuazione dello stato vegetativo, che la teneva aggrappata a una non vita. Quando Gianni chiese al primario da quanto tempo la donna fosse in quello stato, rimase di stucco e pensò di aver udito male.
“Sedici anni”, rispose il dottore con voce atona.
“Sedici anni!” ripetè Gianni incredulo.
Quasi seimila giorni, scanditi dall’alimentazione e dalla idratazione forzata. “E pensare che bastano trenta giorni consecutivi per definire lo stato vegetativo come permanente”. Poi seppe che intorno a quell’essere martoriato si stava combattendo una battaglia dura, tra giudizi di primo grado, ricorsi alla cassazione, sentenze definitive, diktat di membri del governo che prospettavano conseguenze per le strutture sanitarie che avessero interrotto le cure, la prospettiva di un decreto legge “ad hoc” per impedire che la ragazza potesse seguire la sua strada. E intanto, la ragazza continuava a vegetare attaccata al respiratore, mentre liquidi e alimenti fluidi passavano dal suo naso allo stomaco, in attesa che una mano pietosa la strappasse a ciò che quattro ipocriti continuavano a chiamare “vita”, quelli stessi che sostenevano che i bambini di Gaza erano stati massacrati da Hamas più che dall’aviazione Israeliana.
Sembrava giunto il giorno dell’ interruzione delle cure, in reparto c’era effervescenza, movimento di operatori, telefoni che squillavano a ripetizione. L’inizio del protocollo era previsto da lì a due ore. Il primario si apprestava a rimuovere il collegamento al respiratore e a diminuire l’alimentazione forzata. Mezz’ora prima dell’avvio della procedura arrivò un carabiniere con una busta voluminosa. Il primario sapeva già di cosa si trattava. Tutto sospeso in attesa di ulteriori accertamenti e sequestro cautelativo della strumentazione terapeutica.
Fu in quel momento che Gianni capì che non l’avrebbero fatta morire, che l’avrebbero tenuta in quello stato per sempre, come un mostruoso feticcio alla loro cattiva coscienza, alla loro mancanza di pietà travestita da difesa della vita.
E avevano vinto ancora una volta, non solo si doveva vivere come volevano loro, ma anche la morte era soggetta alle loro leggi. La ragazza doveva tornare nella casa di riposo dove aveva vegetato per sedici anni.
La sera prima del suo ritorno, Gianni si avvicinò al suo letto. La guardò, le prese un braccio tra le mani, spiò un qualunque segno di riconoscimento, solcò con le sue dita le vene sottili, in rilievo, che percorrevano l’arto scheletrito. Prese una siringa, la riempì di un farmaco ipnotico, cercò con attenzione un punto iniettabile e premette con dolcezza lo stantuffo. Stette per un po’ a guardare la ragazza, poi si diresse a passi lenti verso la vetrata che guardava sulle montagne avvolte dall’oscurità.
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(di paolo_89)
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kronos
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giovedì 20 settembre 2012
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troppo stretti quei pugni
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Bellocchio ha pensato per anni a un film sul caso Englaro, sostiene di averlo scritto a distanza di tempo per non farsi trascinare dalle emozioni di quei giorni ... ma proprio non si direbbe valutando i risultati.
La sensazione che si prova innanzi a "Bella addormentata" è di una tediosa lezione di catechismo laico, piena di buone intenzioni ma dispersiva e affogata in un mare d'inutili chiacchiere. Una brutta sorpresa da un regista abitualmente visionario.
Può darsi che i pugni in tasca del maestro piacentino fossero troppo stretti e abbiano finito per implodere: tre storie intrecciate attorno ad Eluana sono troppe, frammentano la narrazione e impediscono al film d'avere un baricentro emotivo.
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Bellocchio ha pensato per anni a un film sul caso Englaro, sostiene di averlo scritto a distanza di tempo per non farsi trascinare dalle emozioni di quei giorni ... ma proprio non si direbbe valutando i risultati.
La sensazione che si prova innanzi a "Bella addormentata" è di una tediosa lezione di catechismo laico, piena di buone intenzioni ma dispersiva e affogata in un mare d'inutili chiacchiere. Una brutta sorpresa da un regista abitualmente visionario.
Può darsi che i pugni in tasca del maestro piacentino fossero troppo stretti e abbiano finito per implodere: tre storie intrecciate attorno ad Eluana sono troppe, frammentano la narrazione e impediscono al film d'avere un baricentro emotivo. E appaiono oltremodo didascaliche.
Gli attori saranno pure bravi, ma come spesso capita quando le chiacchiere abbondano, il sonoro in presa diretta diventa una montagna insormontabile. Quanto ci manchi caro vecchio doppiaggio: quella cosa che permetteva perfino a gente come Terence Hill, Franco Nero e Fabio Testi (doppiati da veri professionisti) di sembrar grandi interpreti!
I teatrini ispirati alla politica italiana sono divertenti e piuttosto creativi, ma poi non ci si lamenti se le giurie dei grandi festival non li capiscono e tacciano i films italiani di provincialismo.
Una lode alla splendida fotografia di Ciprì, ma l'ultima fatica di Bellocchio non è decisamente tra quelle memorabili della sua carriera.
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rosmersholm
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mercoledì 19 settembre 2012
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pessima sceneggiatura
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Spiace dirlo, ma pur apprezzando Bellocchio e rispettandone lo sforzo profuso nel film ed anche la sua ambizione nel volersi misurare con un tema così alto, il film è rovinato da una pessima sceneggiatura. Praticamente tutte le storie parallele che si muovono attorno al tema principale, sono di una banalità sconcertante. Se non fosse per il montaggio, che si affanna a ricreare un minimo di tensione drammatica ai vari episodi, emergerebbe la mediocrità sconcertante della scrittura. La mano di Rulli si sente...
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erostrato
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mercoledì 19 settembre 2012
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il tema è l'accudimento, non l'eutanasia
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Chi è entrato in sala per vedere un film sul tema dell'eutanasia e per cercare risposte, credo abbia mancato il bersaglio. leggo molti commenti negativi, spettatori perplessi e delusi; mi permetto di suggerire un'altra chiave di lettura del film. Se prendiamo singolarmente le quattro vicende che ruotano attorno alla vicenda Englaro, ci accorgiamo che il tema unificante è "l'accudimento". Ognuno dei protagonisti vive una situazione in cui, il prendersi cura dell'altro, va a cozzare violentemente con l'essere pro o contro l'eutanasia, creando quel corto circuito che rende difficile e, a volte contraddittorio, il proprio agire. Dal mio punto di vista, è qui racchiusa la forza di quest'opera.
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Chi è entrato in sala per vedere un film sul tema dell'eutanasia e per cercare risposte, credo abbia mancato il bersaglio. leggo molti commenti negativi, spettatori perplessi e delusi; mi permetto di suggerire un'altra chiave di lettura del film. Se prendiamo singolarmente le quattro vicende che ruotano attorno alla vicenda Englaro, ci accorgiamo che il tema unificante è "l'accudimento". Ognuno dei protagonisti vive una situazione in cui, il prendersi cura dell'altro, va a cozzare violentemente con l'essere pro o contro l'eutanasia, creando quel corto circuito che rende difficile e, a volte contraddittorio, il proprio agire. Dal mio punto di vista, è qui racchiusa la forza di quest'opera. Non ci sono risposte preconfezionate, non cercatele nel film, vi si sta dicendo che la vita vissuta è un'altra cosa.
erostrato
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lo schiavo taita
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mercoledì 19 settembre 2012
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e' tutto qui
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Il film è in due parti ben distinte. Nella prima c'è l'attesa. Il politico coi suoi dubbi, la figlia del politico che va a manifestare contro l'eutanasia ed incontra una persona della parte avversa, la madre che prega, la tossica che non ha più voglia di vivere, il medico cinico contro il medico coscienzioso.
Nella seconda, il politico che scioglie i suoi dubbi, la figlia del politico che scopre di non essere più tanto sicura di ciò in cui ha creduto, perché scopre l'amore, la tossica che si redime, il medico coscienzioso che si scopre cinico (tu puoi anche ammazzarti, ma se ci sono io cerco d'impedirtelo, rivolto alla tossica suicida), la madre della "Bella Addormentata" (una ragazza nelle stesse condizioni della Englaro), che prega perché non le resta altro da fare.
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Il film è in due parti ben distinte. Nella prima c'è l'attesa. Il politico coi suoi dubbi, la figlia del politico che va a manifestare contro l'eutanasia ed incontra una persona della parte avversa, la madre che prega, la tossica che non ha più voglia di vivere, il medico cinico contro il medico coscienzioso.
Nella seconda, il politico che scioglie i suoi dubbi, la figlia del politico che scopre di non essere più tanto sicura di ciò in cui ha creduto, perché scopre l'amore, la tossica che si redime, il medico coscienzioso che si scopre cinico (tu puoi anche ammazzarti, ma se ci sono io cerco d'impedirtelo, rivolto alla tossica suicida), la madre della "Bella Addormentata" (una ragazza nelle stesse condizioni della Englaro), che prega perché non le resta altro da fare. In mezzo ci sono i giorni, anzi le ore, le ultime, di Eluana. Il regista ha messo in campo, o almeno ha cercato di farlo, ogni possibile sfaccettatura sull'argomento che in quei giorni hanno spaccato l'Italia. Lui, un suo parere lo da, lui dice quello che pensa, senza alzare mai la voce. Lo fa capire, mantenendo sempre i toni pacati. Il messaggio di fondo è comunque un'inno alla libertà; di scelta, di amare, di vivere o di morire. Bellissimi i monologhi di Maya Sansa (la tossica) e Roberto Herlitzka (lo psichiatra). Dire bello ad un film del genere, è comunque sbagliato, come per altri film, ad esempio Diaz, non si può dare un giudizio di bellezza ad un film che definirei un documentario sceneggiato. Un po' troppo lenta la prima parte. Brenno Placido, nella parte del fratello della "Bella Addormentata", un po' troppo carico, non naturale. Da vedere sicuramente.
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[+] perché placido è "troppo carico, poco naturale"?
(di marezia)
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(di lo schiavo taita)
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marezia
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martedì 18 settembre 2012
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un gioiello che brilla solo per chi ha orecchi...
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Invito lo spettatore a SEGUIRE PAROLA PER PAROLA tutti i dialoghi che il film offre perché IMPORTANTISSIMI non solo per la sua comprensione ma perché di ALTISSIMO VALORE. Se riuscirete a collegare immagini e suono assaporerete un modo nuovo di innescare una polemica: attraverso l'esempio. Tanti esempi per tante vite, ciascuna UNICA. Bisogna solo ASCOLTARE LASCIANDOSI TRASPORTARE dalle atmosfere. A Venezia evidentemente c'erano troppo caos perché una giuria (il pubblico in sala ha riservato 16' di applausi COMMOSSI, chiaro?) potesse riuscirci e troppa voglia di premiare un qualcosa di intellettualmente atipico ma festivaliero e quindi, ahimè.
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Invito lo spettatore a SEGUIRE PAROLA PER PAROLA tutti i dialoghi che il film offre perché IMPORTANTISSIMI non solo per la sua comprensione ma perché di ALTISSIMO VALORE. Se riuscirete a collegare immagini e suono assaporerete un modo nuovo di innescare una polemica: attraverso l'esempio. Tanti esempi per tante vite, ciascuna UNICA. Bisogna solo ASCOLTARE LASCIANDOSI TRASPORTARE dalle atmosfere. A Venezia evidentemente c'erano troppo caos perché una giuria (il pubblico in sala ha riservato 16' di applausi COMMOSSI, chiaro?) potesse riuscirci e troppa voglia di premiare un qualcosa di intellettualmente atipico ma festivaliero e quindi, ahimè...
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(di marezia)
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gigiesse
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lunedì 17 settembre 2012
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pretenzioso
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Intorno alla vicenda Englaro si sviluppano numerose storie problematiche: un senatore che non se la sente di votare controla sua coscienza, sua figlia che va a pregare davanti alla Quiete con delle amiche e si innamora di un attivista con un fratello con disturbi comportamentali, una madre che si ostina a tenere in vita sua viglia autouccidendo se stessa, un medico che salva una suicida. Queste storie, che hanno degli spunti interessanti, a mio modo di vedere potevano essere sviluppate molto meglio. Inoltre non pone domande, nè da risposte su quello che dovrebbe essere il tema centrale del film: l'eutanasia.
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