marib
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domenica 11 settembre 2011
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le vent nous portera
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L'immagine finale della barca che diventa sempre più piccola e le note di "le vent nous portera" ti lasciano senza respiro... fai il tifo per loro e ti domandi quale sarà il loro destino...bel film, mi è piaciuto.
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melania
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domenica 11 settembre 2011
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poetico
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Bel film,poetico,splendide immagini di un mare strepitoso,il film ricorda per certi versi"i malavoglia".IL tema dell'immigrazione clandestina è trattato con realismo,molto toccante il sentimento di solidarietà che pian piano sorge nell'animo della famiglia isolana nei confronti della immigrata.Un film ricco di sentimenti,da vedere.
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catarella
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domenica 11 settembre 2011
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mah!
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perchè inserire la parte affidata a fiorello in un film che poteva benissimo concentrarsi in tutto il resto?
così crialese ha dato prova di non ascoltare i linosani ed i lampedusani perchè dalla loro bocca MAI s'è detto che "gli immigrati clandestini rovinano il turismo": questa gente semmai li accoglie nella propria casa e lamenta solo di essere abbandonata nel farlo.
torni in quelle isole ma con gli occhi del viaggiatore non quello del turista e capirà che nel suo film avrebbe fatto meglio a portare avanti il suo tema pensando a come si vede la vita ed il mondo in un'isola lontana dalla terra ferma cento e più miglia
[+] e' una denuncia alla società contemporanea italian
(di annalisa.imperiale)
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writer58
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domenica 11 settembre 2011
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mare nostrum
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"Terraferma" è un film basato su contrasti, su antinomie, con un elemento unificante che, insieme, separa e unisce: il mare.
Su un'isola troppo piccola per essere segnata sul mappamondo, vive una famiglia composta da Ernesto, un anziano pescatore legato ai valori dell'etica del mare, una donna che ha perso il marito (Giulietta, interpretata da una brava Finocchiaro)e che desidera rifarsi una vita sul "continente", il figlio ventenne Filippo e suo zio Nino, alfiere della modernità e della miseria spirituale che cinge il nostro paese e il suo mezzogiorno.
L'isola, un tempo luogo di pescatori, sta diventando crocevia di disperati che emigrano dalle coste dell'Africa a bordo di imbarcazioni fatiscenti e di flussi turistici casuali che ne modificano l'economia e obbligano la famiglia a dormire nel garage di casa per ospitare tre studenti in vacanza.
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"Terraferma" è un film basato su contrasti, su antinomie, con un elemento unificante che, insieme, separa e unisce: il mare.
Su un'isola troppo piccola per essere segnata sul mappamondo, vive una famiglia composta da Ernesto, un anziano pescatore legato ai valori dell'etica del mare, una donna che ha perso il marito (Giulietta, interpretata da una brava Finocchiaro)e che desidera rifarsi una vita sul "continente", il figlio ventenne Filippo e suo zio Nino, alfiere della modernità e della miseria spirituale che cinge il nostro paese e il suo mezzogiorno.
L'isola, un tempo luogo di pescatori, sta diventando crocevia di disperati che emigrano dalle coste dell'Africa a bordo di imbarcazioni fatiscenti e di flussi turistici casuali che ne modificano l'economia e obbligano la famiglia a dormire nel garage di casa per ospitare tre studenti in vacanza.
Il conflitto tra i valori solidaristici che caratterizzavano la comunità e la ricerca di profitto sfruttando le risorse naturali dell'isola, tra la tradizione e una modernità priva di anima, è simboleggiata dalle figure di Ernesto e suo figlio Nino, un bravo e odioso Fiorello, che nega la presenza degli immigrati clandestini e organizza tour in barca per masse di turisti in costume da bagno che si dimenano sulle note di ritmi tropicali. In mezzo, il giovane Filippo, diviso tra le due istanze e incerto sulla direzione da prendere.
L'arrivo degli immigrati africani e le leggi sul reato di clandestinità si abbattono sulla famiglia come una mannaia che rischia di stritolare un tessuto fragile, in bilico tra l'emigrazione e la riconversione delle attività produttive.
"Terraferma" rappresenta un po' il negativo fotografico del "Nuovo Mondo". Meno mitico e magico del film precedente, disegna un ritratto potente di un'Italia dolente, sospesa tra l'assenza di prospettive di futuro e le catastrofi umanitarie che si abbattono sulle estreme propaggini del territorio nazionale.
Lo fa con uno stile evocativo e poetico, privo di concessioni retoriche, con immagini simboliche e dense di bellezza, come nella sequenza finale, in cui la barca di nonno Ernesto solca un mare d'argento, con una madre e due figli strappati alla morte, diretta verso terraferma.
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gianmaria.silv
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domenica 11 settembre 2011
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la grande illusione
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Usualmente ho grande rispetto per la Mostra del cinema di Venezia e dei suoi verdetti, ma il premio della critica dato a "Terraferma" mi lascia basito. Il film in questione tratta un tema molto difficile e complesso come quello dell'immigrazione clandestina in Italia. Crialese cerca di dire tutto senza però riuscire a dire nulla. Parla del problema dei pescatori che si trovano a confrontarsi con una realtà nuova e globalizzata - tema per altro solo abbozzato e sfruttato pretestuosamente per introdurre i personaggi - parla del turismo come fonte di lavoro per gli isolani, parla del soccorso ai clandestini dispersi in mare e parla della lotta interiore dei cittadini che si trovano a scegliere tra la legge morale e la legge dello stato.
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Usualmente ho grande rispetto per la Mostra del cinema di Venezia e dei suoi verdetti, ma il premio della critica dato a "Terraferma" mi lascia basito. Il film in questione tratta un tema molto difficile e complesso come quello dell'immigrazione clandestina in Italia. Crialese cerca di dire tutto senza però riuscire a dire nulla. Parla del problema dei pescatori che si trovano a confrontarsi con una realtà nuova e globalizzata - tema per altro solo abbozzato e sfruttato pretestuosamente per introdurre i personaggi - parla del turismo come fonte di lavoro per gli isolani, parla del soccorso ai clandestini dispersi in mare e parla della lotta interiore dei cittadini che si trovano a scegliere tra la legge morale e la legge dello stato. Parla di tutto e forse parla di niente.
Esagera Crialese, ad esempio la madre che viene soccorsa dalla famiglia di pescatori, non solo ha un figlio ed è incinta, ma è anche stata stuprata nelle prigioni in Libia ed è rimasta nuovamente incinta. E' inconsistente Crialese, ad esempio la stessa madre di cui sopra, all'inizio non parla una parola di italiano e dopo qualche giorno invece riesce a parlare come una specie di santone. Forse sarebbe da decidere se l'italiano lo sa oppure no.
I dialoghi sono spesso imbarazzanti e inconcludenti; particolarmente triste un dialogo sul significato della parola "topless" che voleva far trasparire la "ruralità" del ventenne pescatore siciliano che non ne conosceva il significato. I personaggi sono tagliati con l'accetta e il disegno delle loro personalità è a malapena abbozzato. Alcune scene sembrano piovere dall'alto, oppure pare che qualcosa sia saltato nel montaggio.
Forse scegliere un argomento e svilupparlo fino in fondo sarebbe stata una buona scelta, un po' più di coraggio non ci sarebbe stato male e qualche attore che sapesse recitare con convinzione ci sarebbe proprio voluto - si salva Mimmo Cuticchio e in qualche scena anche Beppe Fiorello, gli altri sembrano afferire alla scuola di quelli che pensano che per recitare con naturalezza bisogna cercare di non recitare proprio.
Insomma, una vera e propria delusione che speravo rimanesse circoscritta al film, al regista e agli attori e che invece si estende su tutta la giuria della Mostra. Peccato.
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olgadik
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sabato 10 settembre 2011
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tuttomare
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“I Malavoglia” semplificato e aggiornato, il terzo film che completa la trilogia di Crialese (Respiro, Nuovomondo) con al centro il mare. Di questo elemento il regista conosce avvisi e increspature e le rende con una emozione contagiosa. In questo è aiutato senz’altro dalla fotografia di Fabio Cianchetti che dà potenza evocatrice all’immagine, ricordandoci che il cinema nasce da quella. Dentro, accanto, sull’acqua, si muovono barche, pescherecci, gommoni e persone in un affresco corale che, come dicevo all’inizio, ha un sottofondo verghiano. C’è una casa, una famiglia, c’è la barca Santuzza invece de La Provvidenza, ci sono i pescatori, i vecchi e i giovani, la legge della tradizione e quella dei codici.
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“I Malavoglia” semplificato e aggiornato, il terzo film che completa la trilogia di Crialese (Respiro, Nuovomondo) con al centro il mare. Di questo elemento il regista conosce avvisi e increspature e le rende con una emozione contagiosa. In questo è aiutato senz’altro dalla fotografia di Fabio Cianchetti che dà potenza evocatrice all’immagine, ricordandoci che il cinema nasce da quella. Dentro, accanto, sull’acqua, si muovono barche, pescherecci, gommoni e persone in un affresco corale che, come dicevo all’inizio, ha un sottofondo verghiano. C’è una casa, una famiglia, c’è la barca Santuzza invece de La Provvidenza, ci sono i pescatori, i vecchi e i giovani, la legge della tradizione e quella dei codici. I fatti si svolgono nella contemporaneità, ma tutto appare, nei momenti più felici del racconto, arcaico e mitico. Il vecchio nonno pescatore si trasforma in un Vulcano-fabbro che tra scintille raddrizza sull’incudine l’elica del suo natante; i turisti si muovono su ritmi moderni, ma si tuffano in mare con un movimento armonico che ricorda gli atleti greci; le due donne e madri con le loro debolezze e la forza primigenia che ne emana sono due eroine mitologiche, una bianca, l’altra nera; il giovane nipote è un Eurialo siciliano indeciso nella sua età irrisolta tra il richiamo di una nebulosa sessualità e lo strutturarsi di un’etica personale. Come sempre in Crialese i dialoghi (in dialetto perlopiù) sono scarni; spesso il regista li affida a gesti elementari (vedi i bellissimi primi piani di mani che dissetano o detergono nella scena dell’arrivo di migranti sulla spiaggia piena di turisti) o a silenzi densi come la penombra in cui si svolgono (vedi i dialoghi senza parole tra l’isolana e la clandestina). Circa l’interpretazione degli attori, l’unico sottotono perché non ha molte corde al suo arco espressivo mi è parso Giuseppe Fiorello; gli altri, sono bravi e naturali, cosa non facile per gli attori nostrani che spesso mostrano l’accademia sotto pelle. In particolare per la Finocchiaro e gli altri personaggi femminili, il regista conferma di possedere una sensibilità speciale nel crearli e dirigerli. I paesaggi, l’umanità di qualsiasi colore, i sentimenti sono quelli che davvero emozionano in Terraferma; dove prevale l’intento ideologico il racconto perde invece profondità e incanto, diventando semplicistico per forza di cose.
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mansueto
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sabato 10 settembre 2011
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l'ottava armonia dell'arcobaleno
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L'Etiopia. Due anni e poi il mare. Il prezzo di una vita. Linosa. La paura aggredisce. Il tempo ammutina. La lampara. Le leggi del mare. Il diritto positivo. La negra. L'umore del sangue. La claustrofobia dell'istinto. U mari e il mare... "U pisci r u mari è restinatu cu si l'havi a mangiari"! Il "nuovomondo". Le nuove costellazioni acquatiche. Nere. Il "respiro" del vecchio continente. L'incontinenza del senso di colpa. Per una responsabilità si può chiedere scusa. Per la vergogna, no!
Non è un film sull'immigrazione. Non credete ai parrucconi ingessati. Non è un film sulla paura e sui gradienti umani.
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L'Etiopia. Due anni e poi il mare. Il prezzo di una vita. Linosa. La paura aggredisce. Il tempo ammutina. La lampara. Le leggi del mare. Il diritto positivo. La negra. L'umore del sangue. La claustrofobia dell'istinto. U mari e il mare... "U pisci r u mari è restinatu cu si l'havi a mangiari"! Il "nuovomondo". Le nuove costellazioni acquatiche. Nere. Il "respiro" del vecchio continente. L'incontinenza del senso di colpa. Per una responsabilità si può chiedere scusa. Per la vergogna, no!
Non è un film sull'immigrazione. Non credete ai parrucconi ingessati. Non è un film sulla paura e sui gradienti umani. Non credete alle emozioni e ai pop corn. Non è una solenne lirica alla soglia di confine (l'isola, il mare e i cicli naturali) che separa il tutto dal vuoto. Non si riempie il vuoto con l'inutile. Non è nemmeno un film di Emanuele Crialese e di Vittorio Moroni, dei produttori Tozzi, Chimenz, Stabilini e Conversi (Cattleya, Babe Films, France 2 Cinéma; Rai Cinema, Canal +, Cinecinema, MiBac, CNC, Cinesicilia, Regione Sicilia, Sensi contemporanei Cineam e audiovisivo). Perchè non è un film. E' un "Grand Tour" per pover'uomini; un documentario che sa d'ode di vita.
E quando echeggia. Silenzio.
Laggiù c'è un uomo.
Indietro, sulla terra, un pescatore ormai spento. E l'apologia dell'intera storia umana.
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alien46
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giovedì 8 settembre 2011
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incantevole
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Un film senza fronzoli, dove si riesce a respirare la vita vera. dopo aver visto questo film, ti lasciera la salsedine sulla pelle e le rughe dell'asprezza della terra.
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mcmara
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giovedì 8 settembre 2011
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da vedere
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Non sono un grande estimatore di Crialese, ma questo film mi ha affascinato molto. Memorabile l'ambientazione, i paesaggi marini e, perché no, finalmente una bella vetrina pubblicitaria per Linosa e Lampedusa, se la meritano. Tutti gli argomenti toccati dal film, la crisi della pesca, l'inventarsi una nuova vita, l'arrivo dei clandestini sono affrontati in maniera non scontata, e vedere tutto ciò con gli occhi degli abitanti dell'isola fa riflettere. A tratti prende le sembianze del documentario, la storia non ha cali di tensione, si ride e ci si commuove. Il giovane attore che interpreta FIlippo è molto credibile e spontaneo, i dialoghi in dialetto sono "musica" che si armonizza con le immagini.
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Non sono un grande estimatore di Crialese, ma questo film mi ha affascinato molto. Memorabile l'ambientazione, i paesaggi marini e, perché no, finalmente una bella vetrina pubblicitaria per Linosa e Lampedusa, se la meritano. Tutti gli argomenti toccati dal film, la crisi della pesca, l'inventarsi una nuova vita, l'arrivo dei clandestini sono affrontati in maniera non scontata, e vedere tutto ciò con gli occhi degli abitanti dell'isola fa riflettere. A tratti prende le sembianze del documentario, la storia non ha cali di tensione, si ride e ci si commuove. Il giovane attore che interpreta FIlippo è molto credibile e spontaneo, i dialoghi in dialetto sono "musica" che si armonizza con le immagini.
La canzone che scorre sui titoli di coda, dei Noir Desire interpretata dalla Hunger è il miglior finale che si possa immaginare.
Da vedere, senza dubbio!
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pepito1948
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giovedì 8 settembre 2011
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l'uomo bianco, l'uomo nero ed il mare
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Siamo su una piccola isola siciliana (sappiamo che si tratta di Linosa, ma la sua identità è stata volutamente tenuta nel vago), così piccola che non compare neanche su un comune mappamondo.
E’ il mare che ne determina ed influenza la vita con i suoi umori variabili, apportatore di vita e di morte, di cibo e disperazione, teatro di avventure mirabili o tragiche, mai uguale a se stesso, sempre capace di sorprendere, di stupire, di suscitare emozioni o angosce.
Il mare è stato fino a qualche tempo fa l’unico mezzo di sostentamento dell’isola, dove è ancora maggioranza la vecchia generazione di pescatori poco inclini a cambiare vita ed abitudini.
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Siamo su una piccola isola siciliana (sappiamo che si tratta di Linosa, ma la sua identità è stata volutamente tenuta nel vago), così piccola che non compare neanche su un comune mappamondo.
E’ il mare che ne determina ed influenza la vita con i suoi umori variabili, apportatore di vita e di morte, di cibo e disperazione, teatro di avventure mirabili o tragiche, mai uguale a se stesso, sempre capace di sorprendere, di stupire, di suscitare emozioni o angosce.
Il mare è stato fino a qualche tempo fa l’unico mezzo di sostentamento dell’isola, dove è ancora maggioranza la vecchia generazione di pescatori poco inclini a cambiare vita ed abitudini. Ma i figli, ed i figli dei figli, cominciano a mettere in dubbio le granitiche certezze dei loro padri, soprattutto davanti alle nuove prospettive che la modernità, in forma di torme di turisti affamati di sole e mare e portatori di facili ricchezze, lascia intravedere. Il richiamo delle sirene in costumi succinti ed olezzanti di olio di cocco è forte e rischia di disorientare e dividere la minuscola comunità.
Ma una imprevista ondata più travolgente di qualsiasi maroso incombe sull’isola, e ne sconvolge i già precari equilibri, costringendo gli abitanti a prendere posizione tra diverse opzioni ed a mettere in gioco le proprie coscienze. La migrazione dei disperati in fuga da forze distruttrici non segue le normali regole, assume spesso le forme impetuose del panico e della ricerca spasmodica di qualsiasi espediente utile alla sopravvivenza.
Davanti a tanta caotica energia umana che si riversa nel mare antistante o sulle spiagge della isola, deflagra l’immobilismo già tremulo della popolazione e si scatenano dinamiche che pongono in contrasto principi morali, spinte emotive e considerazioni opportunistiche.
La legge del mare (“Io non ho mai abbandonato nessuno tra le onde”) scritta sull’acqua, la legge dello Stato (il trattamento dei clandestini è compito delle Forze dell’ordine) scritta sui codici e sulle Gazzette Ufficiali, e la legge dello struzzo (divertitevi, che qui non c’è nessun ospite sgradito) scritta sui conti correnti bancari, si scontrano incrinando l’amalgama che ha legato e favorito nel tempo la convivenza dei residenti: il consenso basato sulla solidarietà e sulla tradizione.
Tutto questo si riflette nei rapporti di una famiglia composita del luogo (nonno pescatore, due figli di cui uno inghiottito dalla furia del mare e l’altro animatore turistico, la nuora vedova che vorrebbe evadere verso lidi migliori ed un nipote 20enne in affanno tra i triboli delle incertezze), che si disperde tra sentimenti diversi ed in tumultuoso divenire soprattutto quando il patriarca decide di salvare con la propria barca una migrante incinta ed il suo figlioletto. L’allargamento forzato della famiglia crea dapprima incomprensione e rigetto verso i nuovi innesti, ma la nascita del nuovo venuto riduce le distanze, ponendo le basi per un’alleanza tra madri e figli ospitanti ed ospitati, che consentirà ai più coraggiosi di cercare altrove nuove possibilità di autorealizzazione e nel contempo di trovare la propria terraferma interiore.
Terzo film di quella che potremmo chiamare la trilogia del mare di Crialese, dopo Respiro e Nuovomondo, Terraferma non delude le aspettative, non tanto per i temi trattati quanto per l’angolazione da cui viene visto il rapporto tra popolazione e migrazione. I barconi fanno una fugace apparizione, i volti dei migranti si intravedono nella loquace sofferenza dei loro volti, l’assalto disperato dei naufraghi alla barca del giovane Filippo, avviene di notte e lo sguardo è più concentrato sulla reazione inconsulta e violenta del giovane che non sulle mani e sui corpi dei naufraghi. Insomma il dramma si intuisce in tutta la sua portata dalle dinamiche psicologiche e comportamentali dei familiari, da alcune magistrali sequenze sottomarine (in cui appaiono inerti sul fondo diari e libri aperti, scarpe ed altri oggetti personali che trasudano morte), da assimilazioni paradossali (il barcone gremito di bagnanti festanti al ritmo di musica spensierata da lontano assomiglia tanto a quello di una massa di disperati che agita le braccia in cerca di aiuto). Le immagini, particolarmente quelle del mare, parlano come e più dei dialoghi, come peraltro in altri film del regista.
In fondo il viaggio dei transfughi dall’isoletta sicula verso la speranza riprende lo schema contestuale del Nuovomondo, ma cambiano le dimensioni: qui si abbandona la Sicilia verso enormi territori come l’America su un transatlantico, lì la fuga inizia da una piccola isola assente dai mappamondi per terminare sulla penisola italica, con l’utilizzo di una modesta barca da pescatori. Ma resta il mare il protagonista delle peregrinazioni fisiche ed emozionali dei personaggi, il testimone delle loro avventure, tragiche o a lieto fine che siano, il portatore dell’imprevedibilità degli esiti delle grandi azioni, lo spettatore muto e gelido dei tentativi anche estremi di salvare o dare un senso ad una vita irrisolta.
La padronanza di un cineasta ancora giovane come Crialese nel creare emozioni attraverso immagini spesso poetiche e sempre accuratissime ed evocative è sorprendente; i giochi di luce (basti pensare al dialogo finale tra madre etiope e la sua benefattrice, tutto imperniato sull’alternarsi di luci, ombre e penombre), la capacità di proporre immagini che creano altre immagini (la barca che nel finale fende le onde e solleva due scie di spuma ai lati, quasi fossero due braccia che cercano nuotando di agevolare la velocità della fuga) dànno un prezioso valore aggiunto ad una prova che, se non raggiunge i vertici del precedente film, contribuisce a nobilitare la presenza a Venezia del cinema italiano, ed a richiamare in modo intelligente ed originale –al di là di facili polemiche antirazziste- l’attenzione pubblica, comprensibilmente distratta da altri problemi, su una biblica tragedia umana tutt’altro che risolta.
Claudio
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[+] assolutamente d'accordo
(di frankieb)
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