matteodimaria
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martedì 1 maggio 2012
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l'inconfondibile tocco di aki
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Marcel Marx (Andrè Wilms), elegante lustrascarpe con un passato da clochard parigino, vive con la moglie Arletty (Kati Outinen) in un quartiere di Le Havre.
I pochi soldi che riesce a tirare su permettono ad entrambi di condurre una vita umile ai limiti della povertà. Quando all'improvviso Arletty si ammala, Marcel incontra Idrissa (Blondin Miguel), giovane clandestino scappato alle autorità francesi. Così nel film si tessano una tragedia personale e il dramma di un ragazzo in cerca di un posto migliore.
Scritto dallo stesso Aki Kaurismaki 3 anni prima di cominciare a produrlo, Miracolo a le Havre è un opera asciutta ed essenziale, che fa riflettere sull'attuale diseguaglianza sociale ed economica presente nei paesei europei.
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Marcel Marx (Andrè Wilms), elegante lustrascarpe con un passato da clochard parigino, vive con la moglie Arletty (Kati Outinen) in un quartiere di Le Havre.
I pochi soldi che riesce a tirare su permettono ad entrambi di condurre una vita umile ai limiti della povertà. Quando all'improvviso Arletty si ammala, Marcel incontra Idrissa (Blondin Miguel), giovane clandestino scappato alle autorità francesi. Così nel film si tessano una tragedia personale e il dramma di un ragazzo in cerca di un posto migliore.
Scritto dallo stesso Aki Kaurismaki 3 anni prima di cominciare a produrlo, Miracolo a le Havre è un opera asciutta ed essenziale, che fa riflettere sull'attuale diseguaglianza sociale ed economica presente nei paesei europei.
La messa in scena del film richiama il neorealismo italiano del duo De Sica/ Zavattini e sembra voglia dimostrare che i miracoli possono succedere persino fuori da Milano.
Le Havre è la città perfetta per questo gioiellino, i colori di questa cittadina del Nord, il suo porto, i suoi tunnel e le sue taverne calzano a pennello con l'argomento trattato nella pellicola (tema sviluppato recentemente anche da Crialese, in un opera più drammatica e cruda -Terraferma-). Gli interni delle case spoglie, i colori stravaganti delle pareti dei locali sono in perfetto stile Kaurismaki, così come anche le tante riprese frontali ed il montaggio limpido.
I protagonisti della vicenda si muovono con grande naturalezza in questi luoghi recitando dialoghi ridotti all'osso, sostanziali e talvolta rigorosi, come quando Marcel dice ad Idrissa di non piangere perchè non serve a niente.
In questa frase c'è tutto l'essenziale cinema di Kaurismaki, che non si perde mai in un bicchier d'acqua ma arriva sempre dritto al traguardo, attraverso una trama ed una tecnica precisa.
Questa è l'abilità dell'autore.
Per lui, i quattro personaggi principali sono sufficenti a raccontare un problema complesso che in Europa sussiste da decenni, quello della clandestinità. Ma proprio quello che fa di "Miracolo a Le Havre" un film di rara bellezza è lo stile umanistico e surreale con cui si affronta il tema, questa insistente voglia di giustizia, di democrazia, di parità di diritti, che ci martella per tutto il film fino all'inaspettato finale.
In quest'opera poetica, però, non c'è solo questo, c'è tempo anche per distendersi, commuoversi, divertirsi, canticchiare e poi ...poi un cancro che svanisce ed un ciliegio in fiore come ultima fotografia di questo piccolo miracolo di celluloide. Perchè nei film di Kaurismaki tutto è concesso: anche i miracoli.
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flyanto
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lunedì 28 novembre 2011
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a volte i miracoli accadono...
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Film concepito come una favola dove il protagonista assiste ad un miracolo dopo essersi a lungo adoperato per proteggere e far fuggire un clandestino. Delicato, sensibile e per chi ama il cinema di Kaurismaki fatto di situazioni ed atmosfere surreali. Molto suggestiva e malinconica la fotografia che ritrae il quartiere del porto di Le Havre.
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angelo umana
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giovedì 1 dicembre 2011
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da noi un lustrascarpe lo chiamano terrorista
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Aki Kaurismaki viene annoverato tra i grandi registi e malgrado suoi criptici e lenti film su solitudini finlandesi è chiamato “pittore di cinema”. Nel caso di Le Havre o Miracolo a Le Havre egli ha scritto diretto e prodotto un quadretto ben disegnato, pare un set teatrale anche nelle scene da esterni; è una favola con ogni cosa al suo posto e nemmeno l’umorismo manca. Finisce anche bene come nelle migliori commedie. I miracoli che vi si compiono sono ben due, uno è che il ragazzo gabonese, Idrissa, di cui l’anziano Marcel si prende cura - rimasto al chiuso e al buio di un container con altri connazionali durante tre settimane, secondo i funzionari francesi per un semplice “problema di registrazione” - riesce a raggiungere sua madre a Londra a bordo di un peschereccio e l’altro miracolo è la guarigione da un tumore della moglie di Marcel, Arletty, malgrado essa stessa dica che i miracoli non accadono nel suo quartiere.
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Aki Kaurismaki viene annoverato tra i grandi registi e malgrado suoi criptici e lenti film su solitudini finlandesi è chiamato “pittore di cinema”. Nel caso di Le Havre o Miracolo a Le Havre egli ha scritto diretto e prodotto un quadretto ben disegnato, pare un set teatrale anche nelle scene da esterni; è una favola con ogni cosa al suo posto e nemmeno l’umorismo manca. Finisce anche bene come nelle migliori commedie. I miracoli che vi si compiono sono ben due, uno è che il ragazzo gabonese, Idrissa, di cui l’anziano Marcel si prende cura - rimasto al chiuso e al buio di un container con altri connazionali durante tre settimane, secondo i funzionari francesi per un semplice “problema di registrazione” - riesce a raggiungere sua madre a Londra a bordo di un peschereccio e l’altro miracolo è la guarigione da un tumore della moglie di Marcel, Arletty, malgrado essa stessa dica che i miracoli non accadono nel suo quartiere.
Si tratta di un film sull’immigrazione e sull’integrazione, sempre complicata. Buoni sentimenti e solidarietà tra la gente umile del quartiere e i nuovi arrivati, c’è uguaglianza tra i residenti che hanno molto poco, che tendono a una vita fatta di quasi nulla o solo di rapporti umani (che non è poco!) e gli uomini che fuggono dai loro paesi, protesi verso uno status anche solo un poco più decente, sebbene in questi luoghi il lustrascarpe Marcel venga chiamato terrorista dal commesso di un negozio per gente “bene”. Ci sono infatti “più certificati di nascita che pesci nel Mediterraneo”, un documento falso pur di sopravvivere nell’occidente con la polizia sguinzagliata alla ricerca di clandestini.
Curzio Maltese ha scritto a proposito del film che “da uomo e da poeta Kaurismaki giudica semplicemente ignobile qualsiasi legge o sistema che impedisca a un figlio di raggiungere la propria madre”, ed è il miglior riassunto del film, ma sicuramente i film e i libri sul fenomeno delle grandi migrazioni contemporanee sono numerosi, certo mai quanto il numero di persone che cerca di raggiungere i nostri paesi o quello di coloro che non arrivano alla meta. Allora i confronti con altri film sul tema diventano inevitabili, e il pensiero non può non andare a Welcome di Philippe Lioret, senz’altro più realista e meno decorativo di Le Havre: così è, qualcuno ci fa sembrare la scena più vera e vissuta, qualcuno no. Senza voler essere irriguardosi questo film è “scritto diretto e prodotto” da Kaurismaki ma copiato da Welcome – e poi imbellettato ma pure appesantito da incredibili macchiette come il cantante “little boy”, passato in tutti i sensi, dagli euro già circolanti accanto ad arcaiche Renault e abbigliamenti dei ’70.
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pipay
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domenica 11 dicembre 2011
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noia a le havre
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Un film sulla solitudine e l'emarginazione, sulla solidarietà e sulla generosità. Lento e costellato di scene di squallida ambientazione, rivela anche qualche pecca nella regia e nella recitazione. Non entusiasma, non avvince, e l'elogio dei buoni sentimenti è soffocato dal grigiore e dalla labilità della trama.
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(di budmud)
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